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martedì 11 febbraio 2025

CONFLITTO GIUDICI GOVERNI   
di Luigi Mazzella


 
Il match che appassiona l’Occidente
 
Non si è rilevato a sufficienza che l’uso dei tazebao con slogan propagandistici delle varie parti politiche nelle aule parlamentari è un chiaro segno del decadimento dell’istituzione rappresentativa della nostra cosiddetta  democrazia”. Gli eletti dal popolo Italiano, verosimilmente, non credono più di poter raggiungere risultati utili a una accettabile se non tranquilla convivenza grazie all’uso colloquiale del linguaggio e delle parole, consapevoli, come, molto probabilmente,  sono diventati, che una cultura composta da tre assolutismi religiosi e due politici, irriducibili e inconciliabili, determinando il sonno della ragione possa solo generare mostri (come insegna il dipinto di Goya). Dopo l’uso dei telegrafici cartelli propagandistici c’è solo da attendersi che deputati e senatori emettendo aspri  rumori gutturali (più simili ai ruggiti, agli ululati e ai barriti che non ai miagolii), affrontino l’inevitabile lotta corporale, con esito disastroso per gli esemplari più deboli. Nella sovrana assenza del potere legislativo, gli altri due (esecutivo e giudiziario) si menano botte da orbi, imitando ciò che avviene anche negli Stati Uniti d’America ritenuto (non si sa ancora per quanto tempo, dato il visceralismo anti-Trumpiano diffuso dai “Democratici” transnazionali presenti in tutto l’Occidente) “Paese Guida” delle “Democrazie” (in cui il popolo con somma e callida  ironia, continua a essere definito “sovrano”). In quel Paese, ritenuto supremo garante dei diritti umani nonostante l’ inutile atomica a Nagasaki, il napalm in Vietnam e il waterboarding a Guantanamo, il Ministro per l’efficienza nella vita amministrativa del Paese, su incarico del Presidente della Repubblica, si apprestava a eseguire un controllo sulle spese militari, quando è stato “bloccato” da un ordine del potere giudiziario che  gli vietava e impediva di svolgere un ruolo che, secondo il risultato delle nobili fatiche del volenteroso Montesquieu di qualche secolo fa, si doveva ritenere  appartenente al governo. Gli esempi fanno scuola. In Italia, mentre le forze politiche sostengono accese discussioni sulla linea del governo di sistemare gli emigranti in Albania con l’uso di dispendiosi mezzi economici (ritenuti dalle opposizioni degni di miglior causa) un organo giudiziario decide non di togliere ma di aggiungere “castagne al fuoco” (id est: altre spese per il viaggio di ritorno) ordinando il rientro degli immigrati “deportati” nei nostri confini. Ciò non basta. A bloccare sostanzialmente o a perseguire, in vario modo, sul piano giudiziario, iniziative del governo si pongono addirittura  i rappresentanti della pubblica accusa, sorretti nelle loro iniziative dal clamore suscitato da rappresentanti del sistema mass-mediatico nazionale.



La gente comincia a capire sempre meno ciò che accade e si dimena  nel marasma di idee più assoluto. Le polemiche in corso per la separazione delle carriere di organi giudicanti e requirenti aumentano la sua confusione mentale. C’è chi si oppone alla separazione, dando un’interpretazione del tutto anomala e contraria alla sua etimologia della parola “giurisdizione” (dal romano iuris dictio) di cui i pubblici ministeri pretendono di fare parte (come, a loro dire,  dimostrerebbe l’unificazione della loro carriera a quella dei giudici). C’è invece chi auspica la separazione, sostenendo che la verità è ben diversa. Il potere di ius dicere (id est: giurisdizionale = stabilire qual è il diritto e dalla parte di chi sta) competerebbe solo a chi giudica e non a chi accusa. Altrimenti, si osserva, si finirebbe con il dire che una parte del processo, a differenza dell’altra, abbia un ruolo diverso e più pregnante  nella decisione. 
Anche un “quidam de populo” comincia a chiedersi dove vada a finire la tanto millantata equivalenza di accusa e difesa nel contraddittorio. Essa varrebbe nelle cause civili per gli avvocati dell’Avvocatura dello Stato  e non in quelle penali per gli avvocati della Pubblica Accusa? Perché mai?
Esaminare quali effetti sulla vita sociale e collettiva italiana abbia prodotto e produca una situazione così confusa potrebbe avere un senso se lo scontro tra Magistratura e Governo non avesse assunto proporzioni di tale entità da mettere a rischio di crollo tutta l’impalcatura di uno Stato, ancora detto, senza pudore alcuno, “di diritto”. Allo stato delle cose non c’è che da attendere e chiedersi nel frattempo, se non si condivide la mia tesi sui cinque assolutismi inconciliabili e generatori di irrazionalismi irriducibili, quali siano le ragioni di tanto caos nella vita dell’Occidente.
 

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