CONFLITTO GIUDICI GOVERNI
di Luigi Mazzella
Il match che appassiona
l’Occidente
Non si è
rilevato a sufficienza che l’uso dei tazebao con slogan
propagandistici delle varie parti politiche nelle aule parlamentari è un chiaro
segno del decadimento dell’istituzione rappresentativa della nostra cosiddetta “democrazia”. Gli eletti dal popolo Italiano, verosimilmente,
non credono più di poter raggiungere risultati utili a una accettabile se
non tranquilla convivenza grazie all’uso colloquiale del linguaggio e
delle parole, consapevoli, come, molto probabilmente, sono diventati, che
una cultura composta da tre assolutismi religiosi e due politici, irriducibili
e inconciliabili, determinando il sonno della ragione possa solo generare
mostri (come insegna il dipinto di Goya). Dopo l’uso dei telegrafici
cartelli propagandistici c’è solo da attendersi che deputati
e senatori emettendo aspri rumori gutturali (più simili ai
ruggiti, agli ululati e ai barriti che non ai
miagolii), affrontino l’inevitabile lotta corporale, con esito
disastroso per gli esemplari più deboli. Nella sovrana assenza del potere
legislativo, gli altri due (esecutivo e giudiziario) si menano botte da orbi,
imitando ciò che avviene anche negli Stati Uniti d’America ritenuto (non si sa
ancora per quanto tempo, dato il visceralismo anti-Trumpiano diffuso dai “Democratici”
transnazionali presenti in tutto l’Occidente) “Paese Guida” delle “Democrazie”
(in cui il popolo con somma e callida ironia, continua a essere
definito “sovrano”). In quel
Paese, ritenuto supremo garante dei diritti umani nonostante l’ inutile atomica
a Nagasaki, il napalm in Vietnam e il waterboarding a Guantanamo, il Ministro
per l’efficienza nella vita amministrativa del Paese, su incarico del
Presidente della Repubblica, si apprestava a eseguire un controllo sulle spese
militari, quando è stato “bloccato” da un ordine del potere giudiziario
che gli vietava e impediva di svolgere un ruolo che, secondo il
risultato delle nobili fatiche del volenteroso Montesquieu di qualche secolo
fa, si doveva ritenere appartenente al governo. Gli esempi fanno scuola. In Italia, mentre le forze
politiche sostengono accese discussioni sulla linea del governo di sistemare
gli emigranti in Albania con l’uso di dispendiosi mezzi economici (ritenuti
dalle opposizioni degni di miglior causa) un organo giudiziario decide non di
togliere ma di aggiungere “castagne al fuoco” (id est: altre spese per il
viaggio di ritorno) ordinando il rientro degli immigrati “deportati” nei nostri
confini. Ciò non
basta. A bloccare sostanzialmente o a perseguire, in vario modo, sul piano
giudiziario, iniziative del governo si pongono addirittura i
rappresentanti della pubblica accusa, sorretti nelle loro iniziative dal
clamore suscitato da rappresentanti del sistema mass-mediatico nazionale.
La gente comincia a capire sempre
meno ciò che accade e si dimena nel marasma di idee più assoluto. Le
polemiche in corso per la separazione delle carriere di organi giudicanti e
requirenti aumentano la sua confusione mentale. C’è chi si oppone alla
separazione, dando un’interpretazione del tutto anomala e contraria alla
sua etimologia della parola “giurisdizione” (dal romano iuris dictio)
di cui i pubblici ministeri pretendono di fare parte (come, a loro
dire, dimostrerebbe l’unificazione della loro carriera a quella dei
giudici). C’è
invece chi auspica la separazione, sostenendo che la verità è ben diversa. Il
potere di ius dicere (id est: giurisdizionale = stabilire qual
è il diritto e dalla parte di chi sta) competerebbe solo a chi giudica e non a
chi accusa. Altrimenti, si osserva, si finirebbe con il dire che una
parte del processo, a differenza dell’altra, abbia un ruolo diverso e
più pregnante nella decisione.
Anche un “quidam de populo”
comincia a chiedersi dove vada a finire la tanto millantata equivalenza di
accusa e difesa nel contraddittorio. Essa varrebbe nelle cause civili per gli
avvocati dell’Avvocatura dello Stato e non in quelle penali per gli
avvocati della Pubblica Accusa? Perché mai?
Esaminare quali effetti sulla
vita sociale e collettiva italiana abbia prodotto e produca una situazione così
confusa potrebbe avere un senso se lo scontro tra Magistratura e Governo non
avesse assunto proporzioni di tale entità da mettere a rischio di
crollo tutta l’impalcatura di uno Stato, ancora detto, senza pudore
alcuno, “di diritto”. Allo stato delle cose non c’è che da attendere e
chiedersi nel frattempo, se non si condivide la mia tesi sui cinque assolutismi
inconciliabili e generatori di irrazionalismi irriducibili, quali siano le
ragioni di tanto caos nella vita dell’Occidente.
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