ICASTICITÀ DEI
ROMANI
di LuigiMazzella
“Neminem laedere” e “nullum crimen, nulla poena sine
lege”. Id est: Non arrecare danni agli altri per evitare le punizoni previste dalla
legge per riparare al torto arrecato. I nostri antenati. Padri
di una vera civiltà (nata sullo Stivale e sulle sponde del Mediterraneo)
arginavano cosi, con la saggezza di Pallade-Athena-Minerva la tendenza a
delinquere dei troppi “Centauri”, metà uomini e metà bestie, che popolavano già
allora la terra.
Il presupposto di tanta saggezza era la concretezza
di una visione empiristica di una realtà considerata come unica, nell’assenza
di fumisterie dualistiche (religiose o filosofiche). Con le visioni da incubo
(notturne, alla luce della luna, e diurne, sotto il sole infuocato) di insonni e
stremati carovanieri del deserto e con le fantasticherie iperuraniche di un uomo
ambizioso e supponente, desideroso di condizionare, con metodi autoritari, il
comportamento dei suoi discepoli accademici l’icasticità romana finì nel gorgo
dei vortici metafisici di doppia natura.
Altre visioni della vita si sovrapposero con
prepotenza: c’erano in campo, ormai, non visti ma “sentiti” per il miracolo
della “fede”, un Dio giustiziere e misericordioso, a seconda dell’umore, c’era
un Diavolo sempre “maligno” e costantemente in agguato sotto sembianze varie
(prediletta quella del serpente) che di nequizie una ne combinava e un’altra ne
pensava, il delitto entrava in famiglia (Caino ammazzava il fratello Abele e
probabilmente era condannato all’inferno, una realtà nuova di fiamme avvolgenti
misteriosamente alimentate), il pentimento, però, poteva fare il miracolo ed
“emendare” (id est: rendere nuovamente “puliti e più bianchi del bianco” anche
i colpevoli più incalliti se c’erano, ovviamente, come artefici del lavaggio, i
necessari, indispensabili sacerdoti), si studiavano, nelle sacrestie delle
parrocchie, casistiche dettagliate e minuziose per stabilire quali fossero gli
orifizi del corpo umano consentiti per la penetrazione e quali proibiti, si
rimpinzavano i codici penali di violenze svariate facendone graduatorie spesso
incomprensibili qoad poenam, si consentivano come esimenti di delitti anche
atroci odi e rancori religiosamente motivati e si guardava con indulgente
benevolenza o con severa acredine ai moti popolari anche furibondi a seconda
della loro ispirazione a una passionalità politica vicina o distante rispetto
alla propria. In poche parole il mondo (quello nostro, dell’Occidente)
abbandonava la calma distesa di mare azzurro dell’icasticità romana e si
tuffava nelle onde grigiastre dell’agitata area mediorientale. In quei flutti
ancora si dimena: quo usque tandem?