Ho ascoltato con attenzione la versione originale
del discorso di Robert Fitzgerald Kennedy Jr, figlio di Bob e nipote di John F.
Kennedy, riproposto da “Odissea”, domenica 23 febbraio, in prima pagina insieme
con la ben articolata relazione di Alessandro Pascolini su “The Iron Dome for
America” e con le mie quattro parole su “Pace e Dominio”. La prima
osservazione è che quel discorso sulla Pace è una nobilissima e a tratti
commovente rappresentazione dello spirito che io e la mia generazione di
giovani liceali di quel tempo avevamo percepito dalle dirette parole
pronunciate esattamente sessanta anni prima dall’illustre Zio dell’oratore, il
compianto presidente JFK. Si tratta del famoso discorso del 10 Giugno 1963 all’American
University di Washington DC, un discorso che sono andato a riascoltare per
rinfrescarmi la memoria. In quella
orazione, non piccola, c’era tutta la dirompente novità di quella presidenza
americana che aveva entusiasmato molti giovani in tutto il mondo, soprattutto
il mondo occidentale di quel tempo. I punti salienti toccati da JFK riguardano
l’idea della assoluta necessità da parte delle potenze nucleari di
addivenire ad accordi inalienabili per contrastare la proliferazione e lo
sviluppo delle armi atomiche all’interno e all’esterno delle due potenze, gli
USA e l’Unione Sovietica. L’altro tema toccato con passione è quello della
necessità di smentire con parole chiare e soprattutto con azioni indiscutibili,
la propaganda sovietica che addita gli Stati Uniti come il nemico da abbattere
in quanto esportatore di un imperialismo capitalista che vuole acquisire al suo
dominio tutte le nazioni europee ed oltre, attraverso la dottrina capitalista e
contro il benessere sociale garantito dal comunismo.
L’idea di pace che JFK
propugna in quello storico discorso è quella di una convivenza tra popoli
evoluti e consapevoli della necessità del rispetto reciproco nelle diversità.
Una comunità umana che si prende cura del pianeta in cui vive e che rispetta i
principi della vita e della convivenza nella conoscenza e nel sapere che le
istituzioni accademiche perseguono (parlava all’Università). Un’alternativa
alla pace, in un mondo in cui una sola delle migliaia di testate nucleari ha un
potenziale distruttivo pari a tutte le armi utilizzate nel secondo conflitto
mondiale, non esiste. Devono essere banditi tutti i test per lo sviluppo di
armi nucleari e devono essere avviati accordi per prevenire errori catastrofici.
È altrettanto chiaro che non esiste nemmeno la pace assoluta totale e perenne;
ci saranno sempre conflitti e divergenze che possono sfociare in azioni
violente anche fra stati e nazioni. Ma il principio da perseguire dovrà essere
quello di trattati e accordi che portino il più rapidamente possibile alla
soluzione dei conflitti. Così come capita in una famiglia, in un vicinato, in
regioni limitrofe, in stati confinanti, ci saranno sempre divergenze ma queste
devono essere affrontate con la volontà di superarle, non con la volontà di
sopprimere chi dissente dalle proprie convinzioni. La popolazione russa non è
diversa dalla popolazione americana, proviamo a immaginarci come loro,
mettiamoci nei panni dei cittadini sovietici e vedremo che non sono diversi da
noi americani. Tutti aspiriamo a un mondo di pace dove i deboli si sentano
protetti anche se non dispongono della forza necessaria per difendersi dagli
attacchi di chi potrebbe minacciarne la libertà…
Chiunque
può ora immaginare la profonda sensazione di perdita che si impadronì dei
giovani della mia generazione che credevano negli ideali della democrazia
liberale e della pace, nel novembre di quello stesso anno, con l’assassinio del
presidente John Kennedy. Da quel giorno ci siamo sentiti tutti orfani di quel
pensiero e di quella volontà. Una sensazione solo vagamente lenita da alcuni
dei successori che ogni tanto, a parole, sembravano voler ricalcare quelle
grandi orme, mai più uguagliate. Di
quell’originale discorso di JFK ho accennato solamente alcuni dei punti che
ancora ricordavo da quel lontano passato ma che hanno particolare pertinenza
con temi che vengono trattati oggi quando si parla di accordi di pace tra gli
USA e la Federazione Russa a proposito della guerra in Ucraina. Non
dimentichiamo che il discorso originario di JFK era quello di un presidente in
carica. Mettiamolo a confronto coi discorsi che sentiamo oggi dall’attuale
presidente. La carica di dirompente novità può apparire simile… ma il
contenuto…? Vediamo dunque
l’attualità e nello specifico, la riproposizione del discorso del nipote Robert
Kennedy jr. Una volta riconosciuto il nobile intento di far risuonare una voce
di pace da parte degli odierni Stati Uniti, deve tuttavia essere considerato il
corretto contesto temporale. L’attuale oratore tenne quel discorso oltre un
anno e mezzo fa, nel Giugno del 2023, quando si presentava come candidato
indipendente alla carica di presidente degli Stati Uniti. Progetto che poi
abbandonò nell’Agosto 2024, per appoggiare la candidatura dell’attuale
presidente. È dunque evidente che si tratta di un discorso elettorale e qui
lascio al lettore qualsiasi parallelo con discorsi elettorali de’ noantri… Non credo
pertanto che si possano utilizzare quelle parole per conoscere l’impostazione
nei confronti dell’idea di pace da parte dell’attuale amministrazione
americana. In altre parole è un “wishful thinking”. Tradotto letteralmente
significa pensiero beneaugurante ma condito dal dubbio che mai si realizzerà.
In pratica un “aspetta e spera”. Inoltre, il fatto che il relatore insista sui
suoi ricordi personali di quel discorso dello zio e di quei tempi in cui
bazzicava nella Casa Bianca coi suoi cugini e fratelli, è un altro elemento che
deve essere contestualizzato. RFK jr a quel tempo aveva nove anni, un’età in
cui la percezione dei concetti che esprime nel suo discorso non è certamente
formata. Infatti lo si può riconoscere molto più fedelmente nella sua
narrazione del bambino che, avvertito che il telefono rosso non si può toccare,
appena sfugge al controllo, prova a sollevarlo…
Vale
inoltre la pena ricordare altri dettagli del suo proseguimento della corsa
presidenziale dopo aver ritirato la sua candidatura. Egli spiegava ai suoi
elettori che il voto per lui, in uno Stato “rosso” o “blu” non avrebbe
danneggiato alcuna delle due candidature principali ma gli avrebbe consentito,
in caso di risultato paritetico (269 a 269) dei due principali contendenti, di
salire comunque alla Casa Bianca. Un comportamento che svela una attitudine di
sconcertante opportunismo. Non proprio l’investitura popolare che ci si
dovrebbe attendere da un fervente populista quale ha dimostrato di essere da
quando si è affacciato alla vita pubblica; a cominciare dalla sua opposizione
alla prevenzione vaccinale in nome di principi sconfessati già da molti anni
dalla ricerca scientifica ed epidemiologica. Il fatto che la presente
amministrazione gli ha affidato l’incarico del ministero della salute, fa
venire un certo brivido lungo la schiena. Siamo alla proposta di somministrazione
di ipoclorito di sodio per via orale o parenterale per contrastare la pandemia,
tanto per ricordare la famosa uscita “out of the box” dell’attuale presidente
durante il suo primo mandato all’epoca del Covid-19. In
conclusione, stante questa ennesima prova da parte di RFK jr di fondamentale e
profondo scostamento dai principi propugnati nell’azione politica e di governo
da suo padre e dai suoi due zii, dobbiamo prendere in seria considerazione qual
è effettivamente la sua relazione col resto della famiglia che continua a
riconoscersi in quei valori e di cui lui sfrutta il nome e la fama contando
sulla scarsa conoscenza della vera natura della sua personalità. Sua sorella Kerry
Kennedy, anche a nome dei suoi numerosi fratelli e cugini, ha reso una
dichiarazione pubblica che recita pressappoco così “…La decisione di Bobby (RFK
jr) di appoggiare oggi la candidatura di Trump è un tradimento dei valori
più cari a nostro padre e alla nostra Famiglia. La triste fine di una storia
triste.” Mi scuso per la eventuale
delusione.