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mercoledì 19 marzo 2025

ARTICOLO 21
di Luigi Mazzella


 
I problemi giuridici che sono profondamente politici.
 
I più ciechi ed ottusi assertori dell’esistenza in Occidente della migliore forma di democrazia (e sono, purtroppo, in stragrande maggioranza) non riescono ad apprezzare (e, quindi, a condividere) la lucida razionalità di Donald Trump nell’individuare, invece, i mali che affliggono tale forma di governo, in preda, ormai quotidianamente e dappertutto, agli scontri più atroci e furibondi, causati da odi e rancori nascenti da fideismi e fanatismi irrazionali e violenti.
Convinti, contro l’evidenza di prove decisamente contrarie, di essere i cittadini più protetti del mondo sotto il profilo delle cosiddette libertà democratiche, non possono accettare che Donald Trump, per ciò che riguarda gli Stati Uniti d’America, oltre a non amare i rappresentanti occulti ed oscuri del Deep State 
(CIA, NSA, FBI, Pentagono, Diplomatici di Carriera, Finanzieri e Costruttori di armi) dei quali intende fare a meno nei limiti del possibile (e non gli sarà facile, per quanto si è visto nell’incontro senza schermi di feluche e 007 con Zelensky alla Casa Bianca), non  ama i rappresentanti né dell’Ordine giudiziario né dell’Ordine dei giornalisti, avendo rilevato, in buona sostanza, che entrambi sono veri strumenti dell’apparato (prevalentemente nascosto) di potere e che da quest’ultimo sono utilizzati per determinare l’eliminazione dalla scena politica di ogni avversario scomodo (ovviamente, per i poteri occulti). Per quanto riguarda i primi (posti, a dispetto dei nobili sforzi di Montesquieu, al di sopra di ogni altro potere dello Stato) egli mette a nudo che le roboanti parole di “indipendenza e autonomia” della giurisdizione, nascondono una realtà ben diversa e abbastanza squallida. Per i secondi, Trump nota che il sistema mass-mediatico di cui fanno parte è ormai totalmente dipendente dal sostegno di Wall Street e risulta, quindi, fazioso e inaffidabile. 



Il Presidente americano sa bene che il problema riguardante la privacy e la riservatezza dei cittadini è negli Stati Uniti più grave che in ogni altro luogo dell’Occidente, ma sa pure che togliere ai  giudici e ai cronisti della carta stampata e del sistema radiotelevisivo la “licenza” di “massacrare” (idealmente s’intende) una persona politicamente sgradita, utilizzando dati, spesso contraffatti, di  aziende come Facebook, Google, Microsoft e Apple (che la NSA lascia filtrare, dopo averli elaborati, previa raccolta a danno della quasi totalità della popolazione esistente al mondo) può risultare oltremodo difficile, ma consapevole della lucidità della sua analisi non intende tacere. 



Se vivesse e operasse nel “Bel Paese”, Donald Trump dovrebbe constatare che gli Italiani, oltre che indifesi in tema di privacy e di riservatezza, sono in condizione anche peggiore dei nord-americani. E ciò perché la loro tutela dell’onore e della reputazione è ridotta pressoché a zero.  
I cittadini frequentemente lesi dall’azione congiunta di pubblici ministeri, inclini all’uso politico della giustizia e di cronisti spregiudicati se non corrotti, sono tanti e per loro, come disse autorevolmente Francesco Carnelutti, maestro del diritto, sono state praticamente abolite (dai giudici, non abrogate dal Parlamento) le norme previste dal codice penale sull’ingiuria e sulla diffamazione.
Prima Domanda: Perché?  Come è stata possibile una tale aberrazione? Che cosa ha offerto ai cronisti la “licenza” di “starnazzare” su avvisi di garanzia, spesso del tutto infondati, dei pubblici ministeri, aggiungendo propri ulteriori improperi e calpestando senza possibilità di adeguata difesa l’onore, la reputazione e, quindi, la dignità dei cittadini? 
Risposta: Non è stata colpa della Costituzione ma del modo con cui è stato interpretato dai giudici l’articolo 21 della carta fondamentale. Altra grave responsabilità è quella del Parlamento che in molti e molti decenni non è riuscito a prendere atto che nell’interpretazione i giudici hanno scambiato lucciole per lanterne e non è intervenuto per chiarire, richiamandosi a un buon uso della lingua italiana, la vera dizione dell’articolo malamente interpretata dai giudici e porre, così, un legittimo argine allo strapotere dei giornalisti.



Seconda domanda: Perché l’esegesi dei giudici farebbe strame della lingua italiana? 
Risposta: Perché l’articolo 21 della Costituzione, prevedendo il diritto di dare libera concretezza al proprio pensiero, include in tale libertà, il diritto di cronaca, ponendolo allo stesso livello di altri diritti umani, nel rispetto, cioè, della dignità degli individui. Raccontare i fatti del giorno, soprattutto se con il necessario spirito critico, altro non è, infatti, che una tipica manifestazione del pensiero. Il macroscopico errore dei giudici è stato quello di ignorare il lessico italiano e di non consultare il vocabolario, ritenendo che, a loro giudizio, pensiero e opinione fossero sinonimi (ed è chiarissimo che non lo sono) e che, in conseguenza i Costituenti avessero sbagliato nel non prevedere la libertà di cronaca. Considerandosi investiti della ritenuta “nobile” funzione di correggere gli errori commessi dagli eletti dal popolo, i magistrati ritennero doveroso costruire giudizialmente il diritto di cronaca configurandolo addirittura come un diritto-dovere d’informazione sovraordinato a ogni altro diritto di libertà. A giudizio dei giudici, infatti, quello dei cronisti doveva essere considerato come un vero e proprio “superpotere”, che per la sua pretesa, nobile, funzione informativa sopravanzava e mortificava, praticamente abolendo la tutela costituzionale dell’onore e della reputazione. 



Ovviamente, la storia dei primi anni del dopoguerra con la lotta senza quartiere tra democristiani e comunisti e con l’ottusa cecità di tutti quelli che “credevano” senza “pensare” al Verbo dominante negli schieramenti politici maggiori, spiega bene perché la tesi da me esposta non trovasse consensi in fideisti di opposta e al tempo stesso uguale natura. Oggi, però, che tutti si dicono “liberali” voler dimostrare di porre una maggiore attenzione ai problemi di “libertà” e ai limiti giustamente posti dalla Costituzione alle offese all’onore e alla reputazione dei cittadini, potrebbe essere la volta buona di spiegare, con una norma costituzionale chiarificatrice, che opinione e pensiero non sono sinonimi, come ritenuto da giudici lessicalmente   impreparati. Ciò consentirebbe forme di convivenza meno incivili e selvagge in un Paese che pure ha dato natali a personaggi illustri del giure.