I problemi giuridici che sono
profondamente politici. Ipiù ciechi ed ottusi assertori
dell’esistenza in Occidente della migliore forma di democrazia (e sono,
purtroppo, in stragrande maggioranza) non riescono ad apprezzare (e, quindi,
a condividere) la lucida razionalità di Donald Trump nell’individuare, invece,
i mali che affliggono tale forma di governo, in preda, ormai quotidianamente e
dappertutto, agli scontri più atroci e furibondi, causati da odi e rancori
nascenti da fideismi e fanatismi irrazionali e violenti. Convinti, contro l’evidenza di prove
decisamente contrarie, di essere i cittadini più protetti del mondo sotto il
profilo delle cosiddette libertà democratiche, non possono accettare che Donald
Trump, per ciò che riguarda gli Stati Uniti d’America, oltre a non amare i
rappresentanti occulti ed oscuri del Deep State (CIA, NSA, FBI, Pentagono, Diplomatici
di Carriera, Finanzieri e Costruttori di armi) dei quali intende fare a meno
nei limiti del possibile (e non gli sarà facile, per quanto si è visto
nell’incontro senza schermi di feluche e 007 con Zelensky alla Casa Bianca),
non ama i rappresentanti né dell’Ordine giudiziario né dell’Ordine
dei giornalisti, avendo rilevato, in buona sostanza, che entrambi sono veri
strumenti dell’apparato (prevalentemente nascosto) di potere e che da
quest’ultimo sono utilizzati per determinare l’eliminazione dalla scena
politica di ogni avversario scomodo (ovviamente, per i poteri occulti). Per
quanto riguarda i primi (posti, a dispetto dei nobili sforzi di Montesquieu, al
di sopra di ogni altro potere dello Stato) egli mette a nudo che le
roboanti parole di “indipendenza e autonomia” della giurisdizione, nascondono
una realtàben diversa e abbastanza
squallida. Per i secondi, Trump nota che il
sistema mass-mediatico di cui fanno parte è ormai totalmente dipendente
dal sostegno di Wall Street e risulta, quindi, fazioso e inaffidabile.
Il Presidente americano sa bene che
il problema riguardante la privacy e la riservatezza dei
cittadini è negli Stati Uniti più grave che in ogni altro luogo dell’Occidente,
ma sa pure che togliere ai giudici e ai cronisti della carta
stampata e del sistema radiotelevisivo la “licenza” di “massacrare” (idealmente
s’intende) una persona politicamente sgradita, utilizzando dati,
spesso contraffatti, di aziende come Facebook, Google, Microsoft e
Apple (che la NSA lascia filtrare, dopo averli elaborati, previa raccolta a
danno della quasi totalità della popolazione esistente al mondo) può risultare
oltremodo difficile, ma consapevole della lucidità della sua analisi non
intende tacere.
Se vivesse e operasse nel “Bel
Paese”, Donald Trump dovrebbe constatare che gli Italiani, oltre che
indifesi in tema di privacy e di riservatezza, sono in condizione anche
peggiore dei nord-americani. E ciò perché la loro tutela dell’onore e
della reputazione è ridotta pressoché a zero. I cittadini frequentemente lesi
dall’azione congiunta di pubblici ministeri, inclini all’uso politico della
giustizia e di cronisti spregiudicati se non corrotti, sono tanti e per loro,
come disse autorevolmente Francesco Carnelutti, maestro del diritto, sono state
praticamente abolite (dai giudici, non abrogate dal Parlamento) le norme
previste dal codice penale sull’ingiuria e sulla diffamazione. Prima Domanda: Perché? Come è stata
possibile una tale aberrazione? Che cosa ha offerto ai cronisti
la “licenza” di “starnazzare” su avvisi di garanzia, spesso del tutto
infondati, dei pubblici ministeri, aggiungendo propri ulteriori improperi e
calpestando senza possibilità di adeguata difesa l’onore, la reputazione e,
quindi, la dignità dei cittadini? Risposta: Non è stata colpa della
Costituzione ma del modo con cui è stato interpretato dai giudici l’articolo 21
della carta fondamentale. Altra grave responsabilità è quella
del Parlamento che in molti e molti decenni non è riuscito a prendere
atto che nell’interpretazione i giudici hanno scambiato lucciole per
lanterne e non è intervenuto per chiarire, richiamandosi a un
buon uso della lingua italiana, la vera dizione dell’articolo malamente
interpretata dai giudici e porre, così, un legittimo argine allo
strapotere dei giornalisti.
Seconda domanda: Perché l’esegesi dei giudici farebbe
strame della lingua italiana? Risposta: Perché l’articolo 21 della
Costituzione, prevedendo il diritto di dare libera concretezza al proprio
pensiero, include in tale libertà, il diritto di cronaca, ponendolo allo
stesso livello di altri diritti umani, nel rispetto, cioè, della dignità degli
individui. Raccontare i fatti del giorno, soprattutto se con il necessario
spirito critico, altro non è, infatti, che una tipica manifestazione del
pensiero.Il macroscopico errore dei giudici è
stato quello di ignorare il lessico italiano e di non consultare il
vocabolario, ritenendo che, a loro giudizio, pensiero e opinione fossero
sinonimi (ed è chiarissimo che non lo sono) e che, in conseguenza i Costituenti
avessero sbagliato nel non prevedere la libertà di cronaca. Considerandosi
investiti della ritenuta “nobile” funzione di correggere gli errori commessi
dagli eletti dal popolo, i magistrati ritennero doveroso costruire
giudizialmente il diritto di cronaca configurandolo addirittura come un
diritto-dovere d’informazione sovraordinato a ogni altro diritto di libertà.A giudizio dei giudici, infatti,
quello dei cronisti doveva essere considerato come un vero e proprio “superpotere”,
che per la sua pretesa, nobile, funzione informativa sopravanzava e
mortificava, praticamente abolendo la tutela costituzionale dell’onore e
della reputazione.
Ovviamente, la storia dei primi anni
del dopoguerra con la lotta senza quartiere tra democristiani e comunisti e con
l’ottusa cecità di tutti quelli che “credevano” senza “pensare” al Verbo
dominante negli schieramenti politici maggiori, spiega bene perché la tesi da
me esposta non trovasse consensi in fideisti di opposta e al tempo stesso
uguale natura. Oggi, però, che tutti si dicono “liberali” voler
dimostrare di porre una maggiore attenzione ai problemi di “libertà” e ai
limiti giustamente posti dalla Costituzione alle offese all’onore e alla
reputazione dei cittadini, potrebbe essere la volta buona di spiegare, con una
norma costituzionale chiarificatrice, che opinione e pensiero non sono
sinonimi, come ritenuto da giudici lessicalmente impreparati. Ciò consentirebbe forme
di convivenza meno incivili e selvagge in un Paese che pure ha dato natali a personaggi
illustri del giure.