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mercoledì 5 marzo 2025

INDUSTRIA DI GUERRA E NUCLEARE    
di Franco Astengo


 
Il deficit della sinistra nella capacità di progettare una visione alternativa di società e di modello di sviluppo sta misurandosi con una realtà molto difficile che l’attualità ci pone di fronte ogni giorno. L’esito delle elezioni USA ha portato in una situazione in cui l’effetto immediato sarà quello del rovesciamento delle istituzioni sovranazionali compresa l’Unione Europea. 
La condizione generale di conflitto e di conseguente crisi energetica in relazione al modello di sviluppo capitalistico impostosi negli ultimi anni sta portando a un disegno di mutazioni già in atto: ad esempio guardando all’Italia Leonardo in joint venture con il colosso Rheinmetall per la produzione di mezzi corazzati e l’attività di Iveco Defense ma si coltiva anche l’idea di un piano segreto del governo per riconvertire parte dell’industria automobilistica in industria bellica. 



In questo momento l’industria bellica appare essere quella dall’impatto più positivo dal punto di vista del rendimento economico: uno studio del Senato dimostrerebbe che per ogni euro di valore aggiunto creato dal settore Difesa, si generano un euro e sessanta centesimi addizionali di valore aggiunto: il 71% in più rispetto alla media nazionale. Tutto questo sistema però, almeno a nostro giudizio, finirebbe con il convergere all’interno della filiera produttiva tedesca per ragioni di materie prime, capacità tecnologica, know-how complessivo.
Egualmente per quel che riguarda il rilancio del nucleare definito di seconda generazione: in realtà rimangono ferme tutte le ragioni “storiche” del rifiuto (in Italia suffragato anche da due consultazioni referendarie), in primis il tema dell’allocazione delle scorie e dell’intreccio inevitabile tra civile e militare. In ogni caso per quel che riguarda l’Italia rispetto al tema nucleare rimarrebbe comunque una difficoltà di approvvigionamento e di ritardo tecnologico. Il vero nodo di questa situazione risale però alla difficoltà di espressione di un modello alternativo a quello di un impianto industriale complessivamente orientato verso la guerra, compresa l’evoluzione costante della tecnologia e dello sviluppo scientifico come nel caso dell’utilizzo dell’AI.



Nasce da queste constatazioni la proposta del “socialismo della finitudine” che si coglie l’occasione di rilanciare in questa sede. “Socialismo della finitudine” per ripartire dall’idea dell’impossibilità, rispetto a quello che abbiamo pensato per un lungo periodo di tempo, di procedere sulla linea dello sviluppo infinito inteso quale motore di una storia inesorabilmente lanciata verso “le magnifiche sorti e progressive”. Il primo punto di un programma così teoricamente impostato dovrebbe allora essere quello rappresentato dalla progettazione e da una programmazione di un gigantesco spostamento di risorse tale da modificare profondamente il meccanismo di accumulazione dominante secondo i principi della programmazione democratica e una visione di “società sobria” di forte tensione verso l’uguaglianza e fondata sull’intervento pubblico in economia verso settori decisivi dell’industria, dell’ambiente, dei trasporti, della scuola(la cui priorità di intervento dovrebbe essere quello di affrontare il deficit cognitivo che assilla diversi settori sociali) della sanità. Oggi il ritorno della guerra come prospettiva globale, il riferimento a innovazioni tecnologiche in grado di mutare il quadro di riferimento sociale, l’emergere di tensioni “dittatoriali” sconvolgono l’assetto consolidato in un momento in cui si sta attraversando una forte difficoltà per quell’accelerazione nei meccanismi di scambio che abbiamo definito come “globalizzazione” e di evidente ripresa del nazionalismo. “Socialismo della finitudine” come elaborazione resa al fine di realizzare un mutamento sociale posto nel senso del passaggio dall’individualismo competitivo a una nuova realtà di responsabilità collettiva per avanzare un disegno di mutamento nell’offerta politica.