La guerra è nemica della cultura e i criminali sono i governanti
La scelta dei luoghi che dovrebbero
costituire i “siti del cosiddetto Patrimonio dell’Umanità”, culturale e
artistico ma anche naturale e paesaggistico, non può essere affidata, con buona
evidenza, al solo Occidente e peggio ancora ai rappresentanti di una
cultura eurocentrica, quale si desume che sia quella dominante nell’UNESCO.
Oltre tutto porre sullo stesso piano di distruttività, come fa quell’organismo, i
conflitti armati (che derivano dalla stupidità e malvagità umana) e le
condizioni climatiche (legate a fattori cosmici) è piuttosto sconcertante.Ciò
d’altronde non esclude che i dati fin qui elaborati possano risultare
confermati in una più ampia e diversa sede internazionale ove siano presenti
non solo funzionari pubblici europei ma anche operatori privati nel settore del
turismo mondiale.Anche sul problema dell’individuazione
dei siti più pregevoli e importanti da sottrarre al pericolo di
distruzione, le idee correnti in Occidente sono ritenute, a livello
mondiale, piuttosto confuse e non sfuggono a critiche anche serrate.Per
ciò che riguarda l’Italia, la cui primazia nel globo sembra essere
universalmente riconosciuta (non solo quindi dall’UNESCO) sia per le bellezze
artistiche sia per quelle naturali, ritengo che sia proprio la legislazione
nazionale a essere carente sotto il profilo della prevenzione dei pericoli di
distruzione la cui gravità maggiore è data, senza ricorrere a inutili
ipocrisie, dai conflitti armati. Ergo: la prima, evidente responsabilità
è quella dei rappresentanti del popolo in Parlamento e dei Governanti che non rendono
la protezione adeguata a difendere un “bene” collettivo di inestimabile
valore.Per
preservare un patrimonio di tale ricchezza culturale e paesaggistica la neutralità del
Paese in qualsiasi tipo di guerra che non sia chiaramente e indiscutibilmente
difensiva è una priorità necessaria e ineludibile che non può essere ancora
ignorata a lungo. Ed è l’unica via possibile dopo che,
cervelloticamente, non si è voluto tenere nel debito conto
l’argomentazione secondo cui la NATO, traendo la sua ragion d’essere politica
dalla necessità di difendersi dall’eventuale aggressione dei Paesi del Patto di
Varsavia, avrebbe dovuto sciogliersi con il crollo dell’Unione Sovietica e con
la conseguente caduta e fine del Patto.Pur essendo fondata su una logica
rigorosa sul piano consequenziale la tesi è stata del tutto disattesa
dall’Occidente, patria dell’irrazionalità più assoluta. Domanda: Che fare?In
primis, partire dalla constatazione che l’articolo 11 della Costituzione è solo
un inganno perpetrato a danno degli Italiani con l’uso della roboante espressione
terminologica “ripudio della guerra”. Si tratta di uno specchietto per allodole
con l’insidia nascosta nei “distinguo” criptici (se non subdolamente
mascherati) dello stesso articolo.Come poi è stato, invece, molto
chiaramente enunciato nell’articolo 117 della stessa Carta fondamentale nella
versione in vigore dal 2014 in poi. E ciò imponendo il rispetto oltre
che della Costituzione (peraltro, ovvio) dei vincoli derivanti dall’ordinamento
comunitario e dagli obblighi internazionali. È qui che casca l’asino e la
guerra “ripudiata” nell’articolo 11 ritorna nell’italica alcova con l’articolo 117 della stessa Costituzione. Naturalmente la filiale italiana
del Partito Democratico Transnazionale dei Biden e degli Obama, per bocca della
Schlein (che pure, da mezza svizzera dovrebbe conoscere i vantaggi della
neutralità), farebbe fuoco e fiamme. I “Democratici” mondiali (uniti
dalla CIA e dai servizi deviati) non vogliono allontanare l’Occidente da
quel cupio dissolvi che consegue all’irrazionalità della
sua forma mentis e al suo legame alla “cultura di guerra” (e
di morte) uscita sconfitta dalle urne elettorali americane. Fortunatamente,
la vittoria di Trump ha cambiato le carte in tavola ed una neutralità italiana
potrebbe anche garantire al Bel Paese di non finire nella sacrosanta lista dei
reprobi guerrafondai!