“La strana coppia” (The
odd couple), la divertente commedia di Neil Simon, portata sullo schermo da
Gene Saks con due geni hollywooodiani della risata, Walter Matthau e Jack
Lemmon, non c’entra proprio nulla conciò che intendo raccontarvi oggidi Ursula Von der Leyen e Antonio Tajani. Anche,
anche se entrambi i predetti personaggi sono, sotto certi profili, un pochino strani,
essi non sono una coppia. Naturalmente, i “ritratti” che l’opinione pubblica
(nella quale mi includo) ne ha sono quelli che possono dedursi dalle
descrizioni dei giornalisti. Ursula è “narrata”, almeno nelle parole dei suoi
avversari politici, come prepotente,
aggressiva, prevaricante, invasiva, tendente a occupare spazi sempre più ampi
rispetto a quelli di sua competenza. Antonio è rappresentato, invece, anche
attraverso foto che lo riproducono con uno sguardo costantemente dimesso, come
una persona conciliante, remissiva, usa a obbedir tacendo (come si diceva, un
tempo, dei carabinieri), refrattaria al
comando e alle responsabilità, impacciata come uno scolaro al primo giorno di
scuola. Può darsi che ciò che si racconta di loro non sia esatto se non addirittura
falso. E con i tempi di rancore
diffuso oggi dominante non è improbabile che sia così: gli eventi recenti,
però, susseguiti all’imposizione dei dazi da parte di Donald Trump
sembrerebbero confermare la vox
populi. A quanto risulta, né
l’una né l’altro hanno, ufficialmente, messo in dubbio il diritto degli Stati
Uniti d’America di scegliere liberamente la propria politica fiscale,
ammettendo che in tale diritto rientrasse con certezza quello di imporre dazi
sui beni provenienti dall’estero nel momento del passaggio in dogana: con
altrettali indubbi effetti sulla politica commerciale internazionale. La
“strana coppia” si è trovata sul tavolo la questione su chi dovesse negoziare
con gli Stati Uniti (Paese ricevente): se l’Unione Europea (secondo Ursula) o il
Paese produttore ed esportatore del bene (secondo quanto suggerito al Ministro
degli Esteri italiano e suo collega alla Vice Presidenza del Consiglio da
Matteo Salvini e dalla Lega). L’uso della logica avrebbe favorito certamente
una ragionevole soluzione del contrasto ed evitato a Tajani di prendere
l’ennesima decisione contraria al suo partner di coalizione, che fa
sghignazzare il Partito Democratico trasversale e transnazionale, perdente in
America ma ancora forte e aggressivo in Europa. È noto, però, che la
razionalità è latitante in Occidente (come dice il titolo del mio ultimo libro).
E, nella diatriba, non si è voluto tener conto che è solo il Paese produttore
ed esportatore e non l’Unione Europea nel suo insieme che riceverà un danno per
l’eventuale calo nelle vendite causato dai dazi. Monsieur De La Palice
(modernizzato in Lapalisse) avrebbe dedotto che è conseguentemente una
esclusiva prerogativa del Paese produttore ed esportatore trattare con lo Stato
che impone il dazio (al fine di trattare
per una riduzione eventuale della sua portata o altro). Se, per esempio, viene in
ballo il parmigiano reggiano è solo l’Italia che ha competenza per affrontare
un problema che per altri Paesi europei deve restare una res inter alios acta. Così come sarebbe per l’Italia un’eventuale
trattativa relativa al salmone, affumicato o non che sia. Il remissivo e succube
Tajani, chinando il capo di fronte alla pretesa di Ursula, ha ritenuto, invece,
nell’ennesimo conflitto con Salvini, le buone ragioni della Commissaria Europea
a ritenere il problema comerientrante nella politica commerciale dell’Unione. Ora
è chiaro che tale politica attiene, invece, a mio avviso, a un campo ben
diverso: quello di adottare normative valide all’interno dell’Unione per
indirizzare uniformemente l’attività dei suoi membri e magari anche negoziare e
concludere accordi internazionali purché validi e riguardanti unitariamente tutti i Paesi membri. Nel caso in esame gli
eventuali accordi riguarderebbero gli Stati Uniti e, di volta in volta, il
singolo Paese produttore e sarebbero diversi e specifici per ognuno di essi. Non
si tratterebbe, in altre parole, diadottare strategie (arti e scienze di
operazioni) commerciali di natura diversa dalla linea comune europea che non
può esservi, data la diversità delle merci), ma di trattative per contenere il
male specifico (o preteso tale) relativo a un singolo e peculiare prodotto. Strano
a dirsi, ma nessuno si è preoccupato di sondare l’orientamento degli Stati
Uniti di Trump che in questi frangenti non sembrano nutrire particolare
propensione a trattare con l’Unione Europea, ritenuta al servizio di Obama,
Biden, CIA, Pentagono e via dicendo.