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martedì 8 aprile 2025

UNA “STRANA COPPIA”  
di Luigi Mazzella
 



La strana coppia” (The odd couple), la divertente commedia di Neil Simon, portata sullo schermo da Gene Saks con due geni hollywooodiani della risata, Walter Matthau e Jack Lemmon, non c’entra proprio  nulla con  ciò che intendo raccontarvi oggi  di Ursula Von der Leyen e Antonio Tajani. Anche, anche se entrambi i predetti personaggi sono, sotto certi profili, un pochino strani, essi non sono una coppia. Naturalmente, i “ritratti” che l’opinione pubblica (nella quale mi includo) ne ha sono quelli che possono dedursi dalle descrizioni dei giornalisti. Ursula è “narrata”, almeno nelle parole dei suoi avversari politici,  come prepotente, aggressiva, prevaricante, invasiva, tendente a occupare spazi sempre più ampi rispetto a quelli di sua competenza. Antonio è rappresentato, invece, anche attraverso foto che lo riproducono con uno sguardo costantemente dimesso, come una persona conciliante, remissiva, usa a obbedir tacendo (come si diceva, un tempo,  dei carabinieri), refrattaria al comando e alle responsabilità, impacciata come uno scolaro al primo giorno di scuola. Può darsi che ciò che si racconta di loro non sia esatto se non addirittura falso.
E con i tempi di rancore diffuso oggi dominante non è improbabile che sia così: gli eventi recenti, però, susseguiti all’imposizione dei dazi da parte di Donald Trump sembrerebbero confermare la vox populi.
A quanto risulta, né l’una né l’altro hanno, ufficialmente, messo in dubbio il diritto degli Stati Uniti d’America di scegliere liberamente la propria politica fiscale, ammettendo che in tale diritto rientrasse con certezza quello di imporre dazi sui beni provenienti dall’estero nel momento del passaggio in dogana: con altrettali indubbi effetti sulla politica commerciale internazionale. La “strana coppia” si è trovata sul tavolo la questione su chi dovesse negoziare con gli Stati Uniti (Paese ricevente): se l’Unione Europea (secondo Ursula) o il Paese produttore ed esportatore del bene (secondo quanto suggerito al Ministro degli Esteri italiano e suo collega alla Vice Presidenza del Consiglio da Matteo Salvini e dalla Lega). L’uso della logica avrebbe favorito certamente una ragionevole soluzione del contrasto ed evitato a Tajani di prendere l’ennesima decisione contraria al suo partner di coalizione, che fa sghignazzare il Partito Democratico trasversale e transnazionale, perdente in America ma ancora forte e aggressivo in Europa. È noto, però, che la razionalità è latitante in Occidente (come dice il titolo del mio ultimo libro). E, nella diatriba, non si è voluto tener conto che è solo il Paese produttore ed esportatore e non l’Unione Europea nel suo insieme che riceverà un danno per l’eventuale calo nelle vendite causato dai dazi. Monsieur De La Palice (modernizzato in Lapalisse) avrebbe dedotto che è conseguentemente una esclusiva prerogativa del Paese produttore ed esportatore trattare con lo Stato che impone il dazio (al fine di  trattare per una riduzione eventuale della sua portata o altro).
Se, per esempio, viene in ballo il parmigiano reggiano è solo l’Italia che ha competenza per affrontare un problema che per altri Paesi europei deve restare una res inter alios acta. Così come sarebbe per l’Italia un’eventuale trattativa relativa al salmone, affumicato o non che sia.
Il remissivo e succube Tajani, chinando il capo di fronte alla pretesa di Ursula, ha ritenuto, invece, nell’ennesimo conflitto con Salvini, le buone ragioni della Commissaria Europea a ritenere il problema comerientrante nella politica commerciale dell’Unione. Ora è chiaro che tale politica attiene, invece, a mio avviso, a un campo ben diverso: quello di adottare normative valide all’interno dell’Unione per indirizzare uniformemente l’attività dei suoi membri e magari anche negoziare e concludere accordi internazionali purché validi e riguardanti unitariamente  tutti i Paesi membri. Nel caso in esame gli eventuali accordi riguarderebbero gli Stati Uniti e, di volta in volta, il singolo Paese produttore e sarebbero diversi e specifici per ognuno di essi. Non si tratterebbe, in altre parole, diadottare strategie (arti e scienze di operazioni) commerciali di natura diversa dalla linea comune europea che non può esservi, data la diversità delle merci), ma di trattative per contenere il male specifico (o preteso tale) relativo a un singolo e peculiare prodotto. Strano a dirsi, ma nessuno si è preoccupato di sondare l’orientamento degli Stati Uniti di Trump che in questi frangenti non sembrano nutrire particolare propensione a trattare con l’Unione Europea, ritenuta al servizio di Obama, Biden, CIA, Pentagono e via dicendo.