Qualcosa era accaduto durante la notte.
Non si sa bene come fosse avvenuto, ma qualcosa di strano e imponderabile era
successo. Quali mani o, meglio, quale Dio si fosse scomodato perché tutto ciò
avvenisse, non si sa, ma di sicuro si era trattato di cataclisma che nella
piana dei Sette Canali aveva colto tutti di sorpresa. Non era possibile che
tutti quelli che da sempre adoperavano la mano destra, all’improvviso si erano
svegliati mancini, mentre tutti quelli che si erano beccati rimproveri,
punizioni e perché no, anche qualche sonoro ceffone, perché non volevano
abituarsi a cambiare mano, quella mattina usavano il coltello e la penna con la
mano destra a meraviglia. Persino giocatori blasonati per l’uso
eccelso del piede mancino come Maradona, Messi, Gullit si erano improvvisamente
scoperti destrorsi, e pugili che avevano costruito la loro carriera sul destro
al fulmicotone si erano svegliati mancini. Ma il cambiamento non si limitava solo a
mani e piedi, ma investiva tantissime altre parti del corpo, dalla masticazione
alla minzione, dal braccio da dare alla sposa nell’accompagnarla all’altare al
porgere l’altra guancia per accogliere il ceffone dello schiaffeggiatore di
turno. Per esempio, chi da sempre usava la
mandibola destra per la masticazione ora usava la sinistra e viceversa, e chi
dirigeva gli schizzi durante la minzione un po’ più a sinistra ora li dirigeva decisamente
a destra. Ma questo era niente di fronte ai cambiamenti che stavano avvenendo
in campo politico. Al Bar Sport tutti quelli che si erano
caratterizzati e professati di destra, sostenendo che bisognava fare piazza
pulita di migranti, extracomunitari, percettori di redditi a sbafo,
nullafacenti e teorizzatori dell’espropriazione delle proprietà private, quella
mattina si professavano tolleranti, accoglienti e collettivisti, con sulla
punta della lingua lo slogan quello che è tuo è anche mio. Persino il barone Pompeo Denari, che
nella sua vita aveva sempre restituito pan per focaccia e che non aveva mai
porto l’altra guancia a chicchessia, nemmeno per una carezza, quella mattina
sembrava disposto a baciare la mano del boia di turno.
Chi invece si creava problemi nel
servire i clienti ai tavoli del suo bar era Mario Schipano, il titolare del
locale, che era in gran confusione perché anche lui quella mattina usava la
mano sinistra per servire caffè, cappuccino e bibite, anziché la destra e per questo
temeva di poter offendere i clienti di destra, che poi erano la maggior parte,
che avevano sempre preteso che le bevande fossero somministrate loro con la
mano destra. Come al solito, il povero Mario si
sbagliava perché non ci poteva essere cosa più gradita per gli ex clienti di
destra che, essendo diventati tutti mancini, poter essere serviti con la mano
del cuore. Fra complimenti e qualche rimostranza Mario riuscì a cavarsela senza
aver perso un cliente quel giorno. Anzi, ricevette più di una pacca sulla
spalla in segno di approvazione. Anche nella seduta comunale di quella
sera le cose erano completamente cambiate. In primis i banchi che di solito
erano occupati dalla destra furono presi dalla sinistra e viceversa. Nessuno
protestò ad onor del vero ad eccezione dell’uomo delle pulizie che, avendo
usato lo Chanteclair per pulire i banchi di destra e il proletario Cif
ammoniacale per quelli di sinistra, ora temeva seriamente che potesse
determinarsi un’allergia a livello dei deretaniche, essendo abituati a dimorare troppo a lungo sugli scanni del potere,
qualche irritazione la rischiavano seriamente. Lo speaker del Consiglio, un ometto
tutto verve e tic, che nel Principe di Galles grigio, taglia 42 ci stava
due volte, che da un po’ di tempo si era conformato, sebbene a fatica, al
linguaggio del risarcimento nei confronti delle donne per tutte le
discriminazioni subite nel corso dei secoli, dando loro la precedenza, sempre,
in qualunque manifestazione, quella mattina anziché iniziare con “signore e
signori” esordi con il vecchio e abusato “signori” per entrambi i sessi. Il
povero uomo temeva una sonora levata di scudi per cotanto ardire invece fu
sommerso da una cascata di complimenti da parte di tutti che trovavano
eccessivo l’ostentazione del fair play. Il primo a chiedere la parola, non
appena il segretario dichiarò aperta la seduta, fu un consigliere di minoranza
di estrema sinistra, un rompicoglione della miseria, che non gli andava
bene mai nulla e su ogni cosa chiedeva e pretendeva la verbalizzazione. Il suo
discorso, ripulito dalle solite e colorite espressioni da scaricatore di porto,
era moderato, contenuto e persino un po’ forbito quella sera. “Cusa l’è!”, esclamò uno dei banchi
della maggioranza, “Sei stato a colloquio con il Santo Padre questa mattina?”. L’uomo non rispose. Gli andò vicino e
gli porse un garofano bianco con sfumature di rosso e di verde. L’altro prese
il fiore, se lo portò al naso, l’odorò e gli strinse la mano in segno di
ringraziamento e riconciliazione. Cinquant’anni di insinuazioni, di accuse, di
denunce, di processi e di lotte all’ultimo fendente sembravano essersi
stemperati in quella stretta di mano.
Anche l’ordine del giorno era cambiato.
Cosa fosse stato o non fosse stato, non ci è dato saperlo, ma era cambiato.
Quello che all’origine era: “misure di difesa del territorio e dei cittadini
dall’invasione degli extracomunitari: installazione di mille telecamere di
ultima generazione con occhio a 360 gradi, era diventato stranamente “misure di
accoglienza degli stranieri e rimozione di mille telecamere dalle piazze e
dalle vie principali del paese perché violano la privacy. La discussione che ne seguì non fu
proprio da fratelli di latte o da ramoscello d’ulivo, ma rispetto alle risse
cui ci si era abituati sembrava che tutti fossero passati prima del Consiglio
Municipale dal confessionale di Padre Perdono. La sinistra, che si era sempre
battuta per le politiche di accoglienza, di fronte all’esproprio del suo più
grande cavallo di battaglia da parte della destra, l’accoglienza appunto, ora
argomentava che bisognava contingentare gli ingressi, espellere gli
indesiderati, installare nuove telecamere perché i cittadini andavano difesi e
tutelati da possibili atti di violenza da parte dei troppi stranieri che
circolano sul territorio esercitando l’arbitrio e l’impostura. Le schermaglie che ne erano scaturite e
che minacciavano di degenerare in un corpo a corpo da tango argentino, si
stemperarono tutte nella votazione che ebbe esito di parità: dieci voti la
destra e dieci la sinistra. A questo
punto, visto che entrambi gli schieramenti sostenevano che la volontà popolare
è sovrana, la cosa saggia da fare fu lasciare le cose così com’erano, e cioè
che ognuno si arrangiasse e si regolasse in base ai propri convincimenti
personali e politici se accogliere o respingere i migranti. In fondo,
l’accoglienza o la non accoglienza, è soltanto un punto di vista che dipende da
quale angolo guardi il problema, dicevano i più. Al secondo punto all’ordine del giorno
c’era l’esproprio di un’area di cinquemila metri quadrati nel centro del paese
per farci un centro sociale e di accoglienza. Anche su questo ordine del giorno
le parti risultavano invertite. I paladini dell’inviolabilità e sacralità della
proprietà privata ora sostenevano che si doveva procedere con l’esproprio
perché in democrazia conta la volontà della maggioranza ed essa era stata
chiara: esproprio. La sinistra, che nel corso del tempo aveva presentato più
d’una interrogazione sull’argomento dicendo che bisognava passare ai fatti espropriando,
ora invece sosteneva la sacralità della proprietà privata che nessuno, dicasi
nessuno, ha il diritto di mettere in discussione.
Il roboante discorso del sindaco,
dottor Carlo Privato, che solo la settimana prima aveva difeso a spada tratta
la proprietà privata, dicendo che essa è inviolabile perché racchiude gocce di
sudore che si sono sedimentate nel tempo, ora si diceva a favore
dell’esproprio. Lo disse con un tale fervore che al segretario del partito
popolo sovrano caddero in un solo colpo 12 denti, fra incisivi e molari. Il terzo punto all’ordine del giorno
era la costruzione del Ponte della Cuccagna, che avrebbe dovuto unire le due
sponde delle regioni più estreme d’Italia divise soltanto da una striscia di
mare larga pochi chilometri. Pietro Converso, che da decenni guidava
cortei di protesta contro la costruzione di un’opera inutile, di grande impatto
ambientale, costosissima, gradita soprattutto alle mafie, e rischiosa per via
dei terremoti e maremoti che in quell’area non sono proprio rari, sosteneva con
argomentazioni articolate e precise che bisognava iniziare l’opera che per
troppi anni era stata inutilmente avversata, perché sarebbe stata di grande
giovamento per le economie delle due regioni meno sviluppate d’Italia. Anzi,
sarebbe stato il volano del loro rilancio. Alla fine della discussione in cui
fautori e contrari non si erano risparmiate accuse, la votazione venne rinviata
perché ci si accorse che mancava il parere dell’armocromista sulla scelta del
colore in cui dovevano essere dipinte le campate dell’avveniristico ponte.
Fra
le varie ed eventuali c’era “contributo a fondo perduto a favore di istituzioni
private: scuole, asili, cliniche, centri sportivi, eccetera”. Era questo un
punto che era stato sempre glissato per via delle grandi liti che scatenava fra
i due schieramenti. La destra, da sempre favorevole al foraggiamento delle
istituzioni private, ora sosteneva che compito dello Stato è quello di
rafforzare e qualificare i servizi pubblici non certo quello di distrarre soldi
a favore dei privati,mentre quelli di
sinistra, che in passato avevano fatto le barricate contro il finanziamento
delle istituzioni private, sostenevano che in uno stato veramente democratico e
garantista ognuno deve avere il diritto di potersi scegliere liberamente il
servizio che più gli aggrada, sia esso privato o pubblico. La discussione non
fu proprio pacifica per le accuse che i due schieramenti si scambiarono. Alla
fine però fu trovata la sintesi e cioè, per principio, in uno paese laico e
democratico lo Stato deve garantire il servizio di cui un cittadino ha bisogno,
ma nello stesso tempo ognuno, proprio perché individuo e con esigenze personali
diversificate, ha diritto di rivolgersi al privato senza che ci sia l’esborso
di un centesimo. Giovanni Peloso continuò a grattarsi la
testa. Non sapeva se avesse sognato o se tutto quello che aveva visto e sentito
era reale. Le carte erano state mischiate così bene che non era per niente semplice
capire cos’è la destra e cos’è la sinistra oggi. Professarsi dell’uno o
dell’atro schieramento sembra essere solo una questione umorale, dipendente da
come ci si alzava la mattina e dalla qualità della caffeine che introitiamo con
il primo caffè. In fondo, da un po’ di tempo la differenza fradestra e
sinistra è stata ridotta a simboli esteriori che riguardano tanto
l’abbigliamento quanto la scelta del locale o della discoteca dove passare la
serata. Il paradosso è che lo stesso paio di scarpe di pseudomarca se comprato
al mercato a prezzo stracciato è di sinistra, se comprato in un negozio alla
moda a prezzo quintuplicato diventava di centro ma se comprato in una boutique
di via Montenapoleone e dei Parioli a Roma, a prezzo più che decuplicato, è
chiaramente di destra. Giovanni finì di grattarsi la testa,
poi commentò amaramente: “È proprio vero che più ci rubano gli occhi più ci
affanniamo a cercare le ciglia.