Visionario sin dalla tenera età,
fervido sostenitore della rivoluzione francese e ribelle verso tutto ciò che
incatena l’immaginazione in regole e dogmi, Sir William Blake è noto
soprattutto per essere un abile incisore più che il poeta inglese della cerchia
dei romantici; si dice che, in punto di morte, stesse proseguendo la propria opera
di incisione della Divina Commedia del sommo poeta, commissionatagli dal
pittore John Linnel. Nella sua raccolta di poesie Songs of Innocence and of Experience, edita nel 1794 durante gli
anni del regime del terrore, e dal poeta definita “illuminated books”, libri
profetici, Blake ci rende partecipi di un vero e proprio viaggio metaforico-allegorico
negli stati contrari dell’anima e della coscienza che solo l’immaginazione,
vero motore della gnosi, può sintetizzare. Essa si materializza nella parola
poetica, superando la dicotomia fra bene e male e rendendo possibile la
simbiosi con il divino, con l’universo. Blake aspira dunque a superare sia la
concezione manichea veicolata dai rigidi dogmi delle istituzioni ecclesiastiche
della sua epoca, sia l’idea del peccato originale, causa di sofferenze
esistenziali. Esemplari a tal proposito sono i Canti dell’esperienza e dell’innocenza
intitolati ‘Lo Spazzacamino’ (The Chimney
Sweeper) in cui leggiamo versi altamente ossimorici: “and because I am
happy & dance& sing, they think they have done me no injury… who make
up a heaven of our misery/ e poiché sono felice danzando e cantando, loro
pensano di non avermi fatto del male, preti e re,i quali sono coloro che hanno creato il
paradiso della nostra miseria) o ancora nel canto ‘Londra’ (London), “but
most thro’ midnight streets I hear how the youthful Harlot’s curse blasts the
new born Infant’s tear…/ ma ciò che più odo, aggirandomi per le strade a
mezzanotte è la maledizione della giovane prostituta che inaridisce il pianto del
neonato…). Analogamente,
per il Canto The Human Abstract, ho cercato di
conservare la rima nella resa in lingua italiana. Qui il mistero del frutto
dell’inganno, di cui la Chiesa detiene il significato più profondo, assurge a
simbolo dei limiti imposti dalla ragione umana sull’antitesi fra bene e male,
creando false illusioni: una corrispondenza totalmente inesistente in natura. L’originalità
e universalità della poesia blakeana consistono nel dare voce poetica alle
miserie, timori e drammi dell’umana esistenza facendo appello alla facoltà
immaginativa capace di fondersi, proprio come in una incisione a rilievo su
lastra, con la Divina Immagine, custode di amore, grazia, pietà e pace.
Sunto
dell’Umanità Pietà
non vi sarebbe, se
non fosse creata la Povertà, né
vi sarebbe Carità se
tutti fossimo felici allo stesso modo. Pace
porta la reciproca paura Finché
l’amore di sé cresce in dismisura, la
Crudeltà quindi tesse la sua trappola e diffonde
le proprie esche con cura. Con
sacro timore ella siede inondando
di lacrime il terreno, l’Umiltà
spunta allora sotto il suo piede. Presto
la cupa ombra del Mistero si
dispiega sulla sua testa e
bruco e mosca ne traggono festa. Esso
sostiene il frutto del Peccato, dannato
e dolce a mangiarsi mentre
il corvo, all’ombra più corposa il
suo nido ha già formato. Gli
Dei del Mare e della Terra invano questo
albero in Natura hanno cercato: è
tutto frutto dell’umana mente.