IN NOME DELL’IGNORANZA
UNIVERSALE di Romano Rinaldi
Una
vecchia canzone goliardica recitava il ritornello: “(…) in nome della
fratellanza universale…” a corollario di una iconoclastica e irriverente
sequela di lazzi e derisioni, storpiature di litanie liturgiche al limite della
blasfemia. Il significato di tale liceità era assai chiaro; gli studi superiori
aprivano la mente al libero pensiero e la prima libertà si esprimeva con
l’affrancamento dalla liturgia religiosa con le sue ripetizioni ossessive di
frasi che proprio in virtù di quella ripetizione, diventavano ineludibili
obblighi per il popolo ma apparivano come esecrandi esercizi di stoltezza per
le menti pensanti. Altrettanto chiaro è il fatto che il cosiddetto
“Sessantotto” e le sue rivolte anti-baronali si è portato via tutta questa
contro-liturgia caratteristica della goliardia perché a quel contraltare non
faceva più riscontro l’altare a cui voleva far fronte ed era giunto il tempo di
liberarsene definitivamente.
In pratica, l’Università si stava
appropriando definitivamente del ruolo di libera istituzione che era l’esatta
cifra della sua fondazione, pur avendo avuto come levatrici le chiese e gli
ordini monastici non solo cristiani ma anche delle altre religioni, a partire
probabilmente dal buddismo e dall’islamismo. Cosa sta ora avvenendo
all’istituzione universitaria negli Stati Uniti d’America? E in quale misura
dobbiamo attrezzarci per evitare la solita emulazione “culturale”? Quali sono i
motivi per cui la presente e da pochissimo insediata nuova amministrazione si
sta producendo in un osceno attacco alle più blasonate e antiche università
private di quel Paese, meta delle migliori menti (spesso sostenute dalle
famiglie più abbienti) dei giovani provenienti da ogni parte del mondo, oltre
che naturalmente da tutti gli Stati dell’Unione? In nome di quale mai principio
superiore, l’attuale dirigenza politica americana ha scatenato una tanto
scriteriata opposizione alle Istituzioni di più elevata educazione, perno e
fucina del pensiero e della evoluzione scientifica, tecnica, giuridica,
economica, medica e di tutto lo scibile per cui si sono distinte nei secoli?
Quale mai ragione possono accampare con la sottostante pretesa di ridare
all’America la grandezza a cui ambiscono, decantata in coro negli slogan
elettorali, soffocando la libertà delle istituzioni che annoverano il più alto
numero di premi Nobel tra i loro docenti ed ex discenti? Quale arcano timore di
perdere il potere conquistato col voto popolare scuote l’attuale dirigenza
politica americana, nei confronti delle libere istituzioni di educazione
superiore che vantano il diritto di discutere la dottrina del maestro come
principio per l’avanzamento della conoscenza e della civiltà?
Se e quando ognuno di noi avrà
trovato una ragionevole e convincente risposta in senso positivo e migliorativo
a queste poche, essenziali domande, allora e solo allora, in nome
dell’ignoranza universale, avrà conquistato il pieno diritto di spalleggiare a
casa propria e negli stati Uniti d’America il corso politico che ambisce a
questa regressione. Se non altro in nome della libera scelta e del consapevole
libero arbitrio. Con tanti auguri per il
raggiungimento delle mete interplanetarie di cui vanno blaterando e persino per
il mantenimento del primato tecnologico delle comunicazioni e dei satelliti coi
quali credono di poter governare un mondo sempre più inviluppato nei conflitti
che contribuiscono con le loro stolte politiche a fomentare. Altroché Pace!
Tantomeno nelle prime 48 ore o 48 giorni dall’insediamento alla presidenza
della meno probabile autorità culturale e politica del secolo.