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domenica 4 maggio 2025

LA NOSTALGIA DI MASCHA KALÉKO
di Anna Rutigliano


Mascha Kaléko
 
Lo psichiatra e saggista italiano Eugenio Borgna le avrebbe attribuito la definizione di “arcipelago di patrie”. È proprio così. Se ci immergiamo nella produzione poetica della poetessa galiziana, di origine ebrea, Mascha Kaléko, respiriamo istantaneamente, dai testi, quel senso di perenne spaesamento che contraddistinse la sua vita. Da Cracovia a Berlino, sino all’esilio negli Stati Uniti nel 1938, per poi ritornare nel 1956 a Berlino, raggiungere Israele negli anni ’60 e concludere la sua vita in terra svizzera, Mascha sperimentò sempre quel senso di estraniamento rispetto al luogo in cui si recava, non certo per diletto ma per sfuggire alla guerra, e al contempo, quel sentimento di attaccamento al luogo che si lasciava alle spalle. Nel suo scritto Interview mit mir selbst (Intervista con me stessa), appartenente alla sua prima raccolta di poesie del 1933, Das lyrische Stenogrammheft (Il Quaderno di stenoscritti poetici), così tanto apprezzato dal premio Nobel della letteratura Hesse leggiamo: “Ich war schon sechs, als ich noch immer dachte, dass wenn die Kriege aus sind, Frieden sei”, ossia “avevo già sei anni quando ancora pensavo che a guerra finita ci sarebbe stata la Pace”,  la poetessa vive da bambina, sulla propria pelle, un duplice disagio: quello della guerra e quello della necessità di fuggire da quei luoghi tragici e trovare riparo altrove, una condizione che si rispecchierà simmetricamente nella vita di migrante di suo figlio Eviatar durante il loro esilio negli Stati Uniti. È in questo ciclo emotivo fra il dolce, l’amaro ed il satirico, che si dipana il sentimento di “Heimweh” della Kaléko. Letteralmente il dolore di casa, la nostalgia della propria patria, esso si riferisce in particolare al periodo in cui da Frankfurt am Main , Mascha si trasferisce nel 1918 a Berlino, a guerra finita, con la sua famiglia; quel sentimento nostalgico di matrice kantiana e successivamente studiato dalla psicanalisi freudiana che non sarà altro che il recupero non tanto del luogo dell’infanzia quanto del tempo irreversibile dell’amore materno, vissuto proprio durante l’infanzia, un tempo che potrà rivivere soltanto attraverso la poesia, l’immaginazione, il sogno, come si evince nella lirica: Gesucht ein Irgendwo von dazumal (Si cerca un posto da qualche parte del tempo che fu): “wie seltsam: der erste Tag, und ich fühle  mich selig zuhause!... Vertraut ist mir die Landschaft längst, sah alles so oft schon im Traum” (“che strano- il primo giorno e mi sento beatamente a casa! Ormai il paesaggio è familiare, l’ho visto tutto più volte già in sogno”)



Il sentimento di Heimweh è anche il leitmotiv che sottende alla lirica Einmal mochte ich dort noch gehen… (Ancora una volta vorrei recarmi…) di cui vi propongo la traduzione qui di seguito. Essa è dedicata al primo ritorno della Kaléko a Berlino, nel 1956: emblematici non sono solo i luoghi berlinesi menzionati nei versi ma anche i puntini sospensivi nel titolo della poesia, ad indicare la speranza di un recupero del tempo infantile ormai perduto, così come l’aggettivo “Heimlich”, il primo dei tre aggettivi in climax asindetico, nel verso finale, in cui si materializza poeticamente l’intimità del calore materno vissuto in patria berlinese (Heim/Casa-lich/suffisso per aggettivi o avverbi), quella stessa città in cui, però, l’essere ebrea, avrebbe confinato la nostra poetessa in terre straniere a causa del regime nazista; il tutto rivisitato con gli occhi di una adulta ormai nostalgicamente spaesata e disillusa.
 


Giorgio Colombo
Omaggio a Casorati


Una volta ancora vorrei recarmi…


Una volta ancora vorrei recarmi al piccolo Ring,
in cui a passettini camminavo verso la mano
della mia mamma.
Fiori blu fiorivano lungo il fiume
quando ricevetti il mio primo bacio e
concepii il mio primo verso.


Una volta ancora vorrei recarmi al vecchio Tor,
in cui persi il mio dentino da latte ed il mio cuore.
Coloro che ho amato, sono andati via col vento,
eppure il loro canto di congedo da me
ancora risuona nel mio orecchio.


Una volta ancora vorrei recarmi al nuovo Graben,
in cui abbiamo avuto il nostro primo incontro.
Ragazze, i vostri sorrisi, spenti prematuramente
e le voci dei giovani dati per morti,
saranno sempre motivo di pianto per il mio Cuore.


Una volta ancora vorrei vederlo quel paese,
che mi ha confinata in terre straniere,
camminare per i suoi rinomati vicoli,
trovarmi davanti le rovine della mia giovinezza
segretamente, senza invito, inosservata.