Ci sono
sempre storie antiche o remote dietro ogni raccontare, ma qui sembrano
veramente tanto dimenticate che secondo me l’Autore se le è inventate del
tutto. Dico anche che, ai miei occhi, i fatti narrati contano meno della
scrittura che li espone; e di questa scrittura ogni lettore si farà una propria
esperienza. Ci sono
formiche sperdute? Un freddo occhio lontano coglierà un sistema di movimenti,
veri o falsi scopi, attese e più raramente domande con poche risposte. Con più
attenzione si vedono figure divergenti che cercano di sfuggire a un ordine
stabilito. In particolare, singoli percorsi anomali appartengono a un progetto
che non appare definito, è in costruzione o forse non esiste. Questa la
situazione di base, territorio fisico dei tre racconti che si trovano sotto lo
stesso titolo. Il tempo vi è differenziato e sostiene diversità di esperienze,
che sempre appaiono estreme. Per penetrare nel tessuto di questi racconti è
bene utilizzare la chiave d’ingresso disponibile fin dall’inizio: «e io adesso
non so se sto entrando in un sogno o in un pensiero». Il disegno
del sole. Il protagonista, senza nome, e altri insieme a lui, lavorano
su di un percorso non sempre comune, in una attività di copiatura o riproduzione
di spazi e di oggetti, di cui non si conosce lo scopo o il senso. Sono stati
assunti, con termini accettati volontariamente per quanto imprecisi, per un
lavoro ben organizzato, in luoghi sempre diversi, e finalità che sembrano
mutare. Sovente si disperdono su compiti o desideri o ordini che stanno nelle
cose, non proprio in una mente percepibile. I loro rapporti si sciolgono e si
riannodano sul filo di memorie instabili, senza certezza del passato, a cui non
torneranno. E con percorsi prossimi i cui termini non sono detti né previsti.
Si direbbe una odissea senza presenza di una isola nei sogni. Lentamente intravedono un orizzonte in cui viene costruito
un nuovo spazio con edifici, aeroporti, torri e costruzioni non comuni, come un
nuovo mondo a cui ci si avvicina come esseri minuscoli, insignificanti e la cui
esistenza muta rapidamente, quando ricordando e quando dimenticando una vita
che è ancora in corso. Una mutazione quasi parrebbe in atto negli organi vitali
e nella mente; i ricordi poco aiutano perché sono alterati, e la realtà
nascente cresce sulle rovine di quella precedente: si intravvedono appena in
lontananza i resti di biblioteche, stadi, chiese, edifici, confusi in una
polvere dominante. Residui inutili. C’è solo una fatale attesa, che può essere
innescata, o non ancora parole per dirla.
Gli
architetti della memoria, dopo la città. Situazioni della vita già nota al passato, sovente oggetto
narrato della storia, qui comunemente vissuta da personaggi singoli, o in
coppia, con situazioni complicate e deteriorate, danno vita a dialoghi ed
eventi costantemente monitorati da un lucido sistema. C’è un ordine onnisciente
che controlla i protagonisti, ne valuta la situazione, ne programma il futuro o
ne decide la cancellazione. Il racconto si svolge per frammenti registrati di
vita reale seguiti da relative schede di valutazione. Il potere dominante
osserva e regola la presenza delle persone secondo una valutazione psico-medica
utilizzando parametri di fredda gestione della loro memoria dopo la scomparsa dei
parametri riconoscibili nelle città del passato. Un solo personaggio, Chronos, si differenzia, sembra non
ricadere dentro i parametri correnti di valutazione, avendo una storia
personale sfuggente, anomala, in apparenza individuale quanto labile. Si direbbe
una anomala formica, o una possibile quanto stanca figura prometeica. Queste
sue caratteristiche rendono incapace il sistema di rilevare i dati di fondo di
un dissidente. È allora lo stesso “controllante schedatore”, a perdere
lentamente la propria logica e finisce per disperdersi in un primitivo
linguaggio amorfo, asintattico, dislessico. Tutto dovrebbe essere
riconfigurato. E non c’è indizio di diversa libertà o soprattutto di nuovi
ruoli. Cito due epigrafi, inquietanti: «A questo punto dovrei chiedermi chi
sono io. Forse sono da inventare i ricordi». «Il vento sfoglia il libro
perduto. È bene che resti bianco».
Trittico
corinzio. L’antica città di Corinto è il luogo straordinario in cui si
frammenta una storia di esaltazione e di scomparsa di alcuni personaggi storici
(o prossimi alla storia) per un verso, o coinvolti in una evoluzione
avventurosa non documentabile. L’intensità delle loro esperienze sfugge alla
loro stessa volontà di definirsi. A volte sembrano aver perso consistenza e a
volte ripiombano nella realtà comune, o sforano le barriere del sogno, verso la
storia. I documenti storici e ambientali faticano a contenere tutte le
possibilità degli eventi e delle persone, che hanno una pur temporanea
datazione: le passioni sembrano essere distruttive di ogni vero documento. Il
comandante della rocca di Corinto in decadenza cerca di convincere il proprio
straordinario cavallo a saltare insieme a lui nel vuoto. La meravigliosa e
mitica Ionia, per forza e per intensità di inimitata bellezza, tradisce, trama,
governa post-barbariche schiere di armati in confuso contrasto fra di loro.
Limberakis Gerakanis bey, protagonista della sesta guerra turco-veneta,
traditore di molte bandiere, morto nelle prigioni di Brescia nel 1710, subisce
il fascino di Corinto tanto da vantarsi falsamente di averla conquistata; non
ha il coraggio di possedere Ionia; si accanisce (documenti dubbi) su Millia di
Chios, sua ipotetica controfigura, in seguito sposa di un nobile veneziano
(1701) e già infermiera del doge Morosini, morente a Nauplia (1694). In almeno
due occasioni vengono osservate da parte dei personaggi teorie di formiche su
percorsi contrastanti e fra di loro opposti, come una andata e un ritorno, di
cui non si vede la partenza né l’arrivo. Alcune altre, poche, divergono
dall’itinerario comunemente calpestato. Non si sa mai se quelle formiche fuori
sentiero siano sperdute o piuttosto delle esploratrici, in avanscoperta, o
frammenti di un progetto errato. O dimenticato.
Bruno
Briganti Ci sono formiche sperdute? Di
Felice Edizioni, 2025