Nota critica su L’angelo
accorre allo spettacolo di Rita Morandi Nel presentare l’ultimo libro di Rita
Morandi, L’angelo accorre allo spettacolo, la cui prima di
copertina “Pescatore d’anime” è un dipinto a olio della stessa autrice, occorre
innanzitutto fare una premessa. Per accostare i lettori alla poetica di Rita
Morandi, infatti, sarà necessario calarli nelle regioni dell’inconscio e dei
simboli, là dove pescano i sogni messaggeri, l’arte e la poesia - come attesta
l’elegante prefazione di Claudio Zanini, anch’egli poeta e artista visivo. E lo
confermano gli esergo, tratti dall’opera dei grandi della letteratura e del
pensiero, come Blake in primis, ma anche Rilke, Mandel’stam, Celan,
La Forgue, Bachelard. Ma qui la funzione degli esergo non è soltanto di
testimonianza dei motivi ispiratori dell’Autrice, piuttosto, dislocati
opportunamente negli snodi della narrazione, essi forniscono delle vere e
proprie chiavi interpretative dell’opera, fortemente irraggiata dall’inconscio.
E dall’inconscio molto attivo di Rita, affinato nel tempo da un’assidua pratica
psicanalitica junghiana, affiorano ora parole, ora immagini che danno vita al
suo mondo, senza che lei sappia dapprima dove andrà a parare (salvo
coscientizzarlo poi), poiché – come lei dice – la poesia l’attraversa, con
un’idea, un’atmosfera, un ritmo che la muovono a scrivere o a dipingere. E
spesso questi due linguaggi – arti visive e scrittura – convergono, come in
alcune pagine del libro, dove i testi sono inseriti nei disegni-visioni in
bianco e nero. Per Rita Morandi la poesia viene da un altrove; e che sia
l’inconscio personale o collettivo o chissà quale mondo sottile, questa
scrittura ha un andamento carsico. E poiché nasce così a ridosso
dell’inconscio, i suoi temi sono quelli della morte e rinascita, della
reincarnazione, dei déjà vus e delle seconde vite. Tutti temi
che avevamo già frequentato nella precedente trilogia, ma che in questo ultimo
libro trovano un loro compimento, una sintesi, un’armonica chiusura del
cerchio; approdando a un’opera in cui tutto tende alla circolarità di
inizio-fine-inizio, con una sospensione tra una vita e l’altra.
Il libro presenta, infatti, una struttura interna tripartita: la Sparizione, lo
Spazio intermedio e l’Apparire (anche se la struttura formale è divisa in sole
due parti, la Sparizione e l’Apparire). Ma questo Spazio intermedio tra la
morte e la vita, dov’è felicità anche nella caduta nell’Abisso, è – a detta
della stessa Autrice – il più importante, poiché è qui che l’Angelo accorre
allo spettacolo (lo spazio intermedio e l’angelo essendo dei chiari riferimenti
a Rilke). È l’Angelo ambasciatore tra cielo e terra, è l’Angelo testimone,
testimone dello spettacolo del ciclo vitale di vita morte e rinascita. E
veniamo, dunque, alla prima parte, la Sparizione. Assimilata alla morte,
all’apocalisse, all’abisso che si apre per la perdita di due figure
fondamentali (il compagno Greg e la madre-mare, la madre- conchiglia), la
Sparizione dà avvio a una grande elaborazione del lutto. Chiude poi la prima
parte, come di sospensione, lo Spazio intermedio, per aprire alla seconda
parte, l’Apparire. Questa seconda parte del libro apre con il simbolismo
dell’acqua e le rêveries di Bachelard, e in incipit viene
posto un enigma: che legame può esserci tra una conchiglia e una cattedrale?
Sciogliere l’enigma sarà l’impresa del viaggio…o forse di un rito di
morte-rinascita, quale lo sparagmòs o smembramento, dove alla
discesa che frantuma, seguirà la risalita che ricompone. Del rito magico, infatti,
il testo contiene ripetizioni e refrains, al pari di formule
magiche. Qui la figura di Greg è un continuo riapparire in forma duplice; due
Greg opposti e simmetrici, due facce della stessa medaglia, laddove la dinamica
dell’uno precipita verso il basso e quella dell’altro vola verso l’alto, finché
– come suggerito dall’inconscio attraverso il sogno - la dualità si ricompone,
e i due Greg riuniti vanno a formare una conchiglia in cima a una cattedrale.
Vale la pena evidenziare che questo processo magico è presieduto dal femminile
materno associato alla conchiglia: “Rannicchiata nella sabbia come feto nel
grembo/ Madre… conchiglia…/ Vegliare una conchiglia chiusa/ i movimenti
della vita dentro/ il sacro si compie” (p. 76). E non è dunque un caso se a coronamento
di questa fiaba, dalla junghiana Melusina dalla doppia testa (come doppio era
Greg), “quasi una fanciulla era sgorgata/ sul capo una corona” (p. 185). Così
si conclude il libro.
E veniamo allo stile. La cifra della poesia di Rita Morandi è la forma
poematica, che non si lascia confinare in ben distinti poemetti, poiché la
narrazione richiede una gittata più estesa; come più estesi sono i registri,
poiché attinge alla dimensione simbolica, al mito e sfocia anche nella
narratività fiabesca: “E così fu per giorni e notti e soli e lune…” (p. 95).
Del resto, testimonia questo flusso narrativo continuo l’assenza di
punteggiatura, non fosse che per i puntini di sospensione e la presenza delle
maiuscole. Quanto ai tempi della narrazione, lo spettro spazia con passaggi
repentini dal passato remoto al presente: es. “vidi e non vidi nella nebbia/
Ora che il sole i vetri acceca…” (p. 20). La narrazione procede spesso per
continue riprese e ripetizioni espansive del verso, come questa: “Sotto ho
guardato/ sotto il cappello ho guardato /.../ sento la morte tra i giorni/
sento la tua e la mia preghiera” (p. 28); e dove frequente ricorre l’anafora:
“Acqua limpida come vita antica /.../ Acqua limpida solo macchiata /.../ Acqua
che bagna i volti e lava/ e ritorna chiara” (p. 74). Non siamo in presenza di
una versificazione - e tanto meno di una metrica – regolare. Piuttosto si
assiste all’alternanza di versi più lunghi e versi più brevi, dettati dallo
sviluppo stesso della narrazione. Ad es. con il ritorno fantasmatico del
compagno, si apre un’altra dimensione, e anche graficamente compaiono le
quartine, di versi brevi e incisivi e con la forza espressiva di immagini
plastiche: “Cade il sole dalle nubi/ come un uovo dal suo guscio/ Sotto la
terra i morti ballano/ terra che odora di mele marcite” (p. 36); e dove vi sono
momenti di forte condensazione tra cosmo-corpo-storia come in questi pochi
versi: “Dai muri scivola la luce della luna/ che versa il suo liquido veleno/
dentro la bocca/ che inghiotte tutti i secoli di storia” (p. 56). E condensato
è anche l’uso del mito, incastonato - quello dello Stige – in una quartina,
stretto nell’assonanza tra notte e lutto: “La notte inizia e scorrono lacrime
nelle acque nere dello Stige/ pianto nello schianto furioso tra le catene/ un
brivido nel ricordo dell’antico lutto” (p. 61). Talvolta il mito non è così
esplicito, ma riconoscibile, come quello del vaso di Pandora, da cui si
sprigiona una forza cosmogonica: “E il vaso oscuro si aprì e rovesciò ruggiti e
grida/ lacrime uscirono dalle fontane e dalle cascate/ Dal vento si liberò il
respiro che inondò la terra/ e il mare si fece unica onda” (p. 49).
Il suo verbo è il vedere, ma è un vedere sensitivo - “Io li vedo i morti nel
giardino” (p. 22) – che dà vita a una fabula visionaria e onirica, a
delle rêveries, dove le ombre si mescolano a una realtà
fantasmatica. E proprio come in Blake, fanno la loro comparsa delle dramatis
personae, l’Angelo, il più riconoscibile, ma anche il Poeta dell’Altrove,
lo Spietato, l’Alba, i Salvatori ecc., tutti in maiuscolo. E il suo vedere è a
tinte forti: “bevemmo…/ in una coppa di sangue e oro” (p. 52) oppure “Oh come
si infuriarono le fiamme/ che ora ci circondano per divorarci/ Suona la campana
nel paese vicino/ poi esplode nel rimbombo (p. 54). Morandi è poeta di fuoco,
non le compete il passo di terra e di pianura, sua è la verticale, l’archetipo
della caduta e della risalita, il volo mistico, della preghiera, “grazia e
requie”. Tutt’al più affiora una poetica del giardino che la terra solleva al
rito: “Con le mani nude tocco la terra e la sollevo e spero/ che di te faccia
un giardino dove le stelle/ nella notte cadono e sprofondano fino a
raggiungerti/ corpo lucente e fiorito in tutte le notti il rito” (p. 50). Dovessi dire in sintesi di Rita, direi che non è di questo mondo.
Rita Morandi L’angelo
accorre allo spettacolo
Prefazione di Claudio Zanini Midgard Editrice 2024