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domenica 25 maggio 2025

SCAFFALI
di Gabriella Galzio
 

Nota critica su L’angelo accorre allo spettacolo di Rita Morandi
 
Nel presentare l’ultimo libro di Rita Morandi, L’angelo accorre allo spettacolo, la cui prima di copertina “Pescatore d’anime” è un dipinto a olio della stessa autrice, occorre innanzitutto fare una premessa. Per accostare i lettori alla poetica di Rita Morandi, infatti, sarà necessario calarli nelle regioni dell’inconscio e dei simboli, là dove pescano i sogni messaggeri, l’arte e la poesia - come attesta l’elegante prefazione di Claudio Zanini, anch’egli poeta e artista visivo. E lo confermano gli esergo, tratti dall’opera dei grandi della letteratura e del pensiero, come Blake in primis, ma anche Rilke, Mandel’stam, Celan, La Forgue, Bachelard. Ma qui la funzione degli esergo non è soltanto di testimonianza dei motivi ispiratori dell’Autrice, piuttosto, dislocati opportunamente negli snodi della narrazione, essi forniscono delle vere e proprie chiavi interpretative dell’opera, fortemente irraggiata dall’inconscio. E dall’inconscio molto attivo di Rita, affinato nel tempo da un’assidua pratica psicanalitica junghiana, affiorano ora parole, ora immagini che danno vita al suo mondo, senza che lei sappia dapprima dove andrà a parare (salvo coscientizzarlo poi), poiché – come lei dice – la poesia l’attraversa, con un’idea, un’atmosfera, un ritmo che la muovono a scrivere o a dipingere. E spesso questi due linguaggi – arti visive e scrittura – convergono, come in alcune pagine del libro, dove i testi sono inseriti nei disegni-visioni in bianco e nero. Per Rita Morandi la poesia viene da un altrove; e che sia l’inconscio personale o collettivo o chissà quale mondo sottile, questa scrittura ha un andamento carsico. E poiché nasce così a ridosso dell’inconscio, i suoi temi sono quelli della morte e rinascita, della reincarnazione, dei déjà vus e delle seconde vite. Tutti temi che avevamo già frequentato nella precedente trilogia, ma che in questo ultimo libro trovano un loro compimento, una sintesi, un’armonica chiusura del cerchio; approdando a un’opera in cui tutto tende alla circolarità di inizio-fine-inizio, con una sospensione tra una vita e l’altra.



Il libro presenta, infatti, una struttura interna tripartita: la Sparizione, lo Spazio intermedio e l’Apparire (anche se la struttura formale è divisa in sole due parti, la Sparizione e l’Apparire). Ma questo Spazio intermedio tra la morte e la vita, dov’è felicità anche nella caduta nell’Abisso, è – a detta della stessa Autrice – il più importante, poiché è qui che l’Angelo accorre allo spettacolo (lo spazio intermedio e l’angelo essendo dei chiari riferimenti a Rilke). È l’Angelo ambasciatore tra cielo e terra, è l’Angelo testimone, testimone dello spettacolo del ciclo vitale di vita morte e rinascita. E veniamo, dunque, alla prima parte, la Sparizione. Assimilata alla morte, all’apocalisse, all’abisso che si apre per la perdita di due figure fondamentali (il compagno Greg e la madre-mare, la madre- conchiglia), la Sparizione dà avvio a una grande elaborazione del lutto. Chiude poi la prima parte, come di sospensione, lo Spazio intermedio, per aprire alla seconda parte, l’Apparire. Questa seconda parte del libro apre con il simbolismo dell’acqua e le rêveries di Bachelard, e in incipit viene posto un enigma: che legame può esserci tra una conchiglia e una cattedrale? Sciogliere l’enigma sarà l’impresa del viaggio…o forse di un rito di morte-rinascita, quale lo sparagmòs o smembramento, dove alla discesa che frantuma, seguirà la risalita che ricompone. Del rito magico, infatti, il testo contiene ripetizioni e refrains, al pari di formule magiche. Qui la figura di Greg è un continuo riapparire in forma duplice; due Greg opposti e simmetrici, due facce della stessa medaglia, laddove la dinamica dell’uno precipita verso il basso e quella dell’altro vola verso l’alto, finché – come suggerito dall’inconscio attraverso il sogno - la dualità si ricompone, e i due Greg riuniti vanno a formare una conchiglia in cima a una cattedrale. Vale la pena evidenziare che questo processo magico è presieduto dal femminile materno associato alla conchiglia: “Rannicchiata nella sabbia come feto nel grembo/ Madre… conchiglia…/ Vegliare una conchiglia chiusa/ i movimenti della vita dentro/ il sacro si compie” (p. 76). E non è dunque un caso se a coronamento di questa fiaba, dalla junghiana Melusina dalla doppia testa (come doppio era Greg), “quasi una fanciulla era sgorgata/ sul capo una corona” (p. 185). Così si conclude il libro.



E veniamo allo stile. La cifra della poesia di Rita Morandi è la forma poematica, che non si lascia confinare in ben distinti poemetti, poiché la narrazione richiede una gittata più estesa; come più estesi sono i registri, poiché attinge alla dimensione simbolica, al mito e sfocia anche nella narratività fiabesca: “E così fu per giorni e notti e soli e lune…” (p. 95). Del resto, testimonia questo flusso narrativo continuo l’assenza di punteggiatura, non fosse che per i puntini di sospensione e la presenza delle maiuscole. Quanto ai tempi della narrazione, lo spettro spazia con passaggi repentini dal passato remoto al presente: es. “vidi e non vidi nella nebbia/ Ora che il sole i vetri acceca…” (p. 20). La narrazione procede spesso per continue riprese e ripetizioni espansive del verso, come questa: “Sotto ho guardato/ sotto il cappello ho guardato /.../ sento la morte tra i giorni/ sento la tua e la mia preghiera” (p. 28); e dove frequente ricorre l’anafora: “Acqua limpida come vita antica /.../ Acqua limpida solo macchiata /.../ Acqua che bagna i volti e lava/ e ritorna chiara” (p. 74). Non siamo in presenza di una versificazione - e tanto meno di una metrica – regolare. Piuttosto si assiste all’alternanza di versi più lunghi e versi più brevi, dettati dallo sviluppo stesso della narrazione. Ad es. con il ritorno fantasmatico del compagno, si apre un’altra dimensione, e anche graficamente compaiono le quartine, di versi brevi e incisivi e con la forza espressiva di immagini plastiche: “Cade il sole dalle nubi/ come un uovo dal suo guscio/ Sotto la terra i morti ballano/ terra che odora di mele marcite” (p. 36); e dove vi sono momenti di forte condensazione tra cosmo-corpo-storia come in questi pochi versi: “Dai muri scivola la luce della luna/ che versa il suo liquido veleno/ dentro la bocca/ che inghiotte tutti i secoli di storia” (p. 56). E condensato è anche l’uso del mito, incastonato - quello dello Stige – in una quartina, stretto nell’assonanza tra notte e lutto: “La notte inizia e scorrono lacrime nelle acque nere dello Stige/ pianto nello schianto furioso tra le catene/ un brivido nel ricordo dell’antico lutto” (p. 61). Talvolta il mito non è così esplicito, ma riconoscibile, come quello del vaso di Pandora, da cui si sprigiona una forza cosmogonica: “E il vaso oscuro si aprì e rovesciò ruggiti e grida/ lacrime uscirono dalle fontane e dalle cascate/ Dal vento si liberò il respiro che inondò la terra/ e il mare si fece unica onda” (p. 49).




Il suo verbo è il vedere, ma è un vedere sensitivo - “Io li vedo i morti nel giardino” (p. 22) – che dà vita a una fabula visionaria e onirica, a delle rêveries, dove le ombre si mescolano a una realtà fantasmatica. E proprio come in Blake, fanno la loro comparsa delle dramatis personae, l’Angelo, il più riconoscibile, ma anche il Poeta dell’Altrove, lo Spietato, l’Alba, i Salvatori ecc., tutti in maiuscolo. E il suo vedere è a tinte forti: “bevemmo…/ in una coppa di sangue e oro” (p. 52) oppure “Oh come si infuriarono le fiamme/ che ora ci circondano per divorarci/ Suona la campana nel paese vicino/ poi esplode nel rimbombo (p. 54). Morandi è poeta di fuoco, non le compete il passo di terra e di pianura, sua è la verticale, l’archetipo della caduta e della risalita, il volo mistico, della preghiera, “grazia e requie”. Tutt’al più affiora una poetica del giardino che la terra solleva al rito: “Con le mani nude tocco la terra e la sollevo e spero/ che di te faccia un giardino dove le stelle/ nella notte cadono e sprofondano fino a raggiungerti/ corpo lucente e fiorito in tutte le notti il rito” (p. 50). 
Dovessi dire in sintesi di Rita, direi che non è di questo mondo.



Rita Morandi
L’angelo accorre allo spettacolo
Prefazione di Claudio Zanini
Midgard Editrice 2024