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domenica 25 maggio 2025

SOLITUDINE
di Angelo Gaccione



Meglio soli che male accompagnati” recita un famoso e impietoso adagio popolare, e non possiamo certo dargli torto. Ma Paul Valery ci mette in guardia: scegliere i compagni giusti è un conto, ma attenzione a non esagerare, a non estremizzare, si rischia di cadere nella trappola della diffidenza e diventare un “orso” precipitando nel baratro della solitudine. Il suo pensiero è chiarissimo in proposito:Un uomo solo è sempre in cattiva compagnia”. Stiamo parlando di isolamento, ovviamente; un isolamento che può divenire doloroso, patologico, escludente. L’uomo è fondamentalmente un “animale sociale”, zôon politikòn lo ha definito Aristotele, e in quanto tale si unisce con i suoi simili per dar corpo alla società. Soprattutto agisce all’interno di essa con altri uomini e la trasforma in meglio; o almeno dovrebbe farlo. Di isolamento e di solitudine ne sanno qualcosa gli anziani poveri e soli che si trovano senza sostegno e senza affetti. Ognuno può immaginare come questa condizione possa diventare psicologicamente feroce per un individuo e renderlo vulnerabile. Naturalmente tutto questo non ha nulla a che vedere con quelle attività umane e sociali che obbligano a condurle nel silenzio più assoluto e nella solitudine più “piena”. Non ho usato a caso l’aggettivo piena, e ci ritornerò più avanti. Soffermiamoci intanto su alcune di quelle che non abbisognano né di solitudine, né di silenzio. Ciascuno di noi ne conosce diverse: per esempio l’attività del barbiere o del parrucchiere, del sarto, del falegname e via enumerando. Tutte queste professioni si possono svolgere sia collettivamente, sia conversando; se si vuole si può ascoltare la radio e sentire della musica. Anche il pittore e lo scultore possono lavorare godendo del piacere della musica, e soprattutto il musicista che il suono lo deve sentire mentre esegue o compone, e quindi appartiene a questa categoria dei fortunati. Così il regista di cinema e di teatro, anch’egli un privilegiato della socialità e della compagnia.

 

La lettura e lo studio obbligano, invece, ad un silenzio assoluto; e bisogna essere soli per non essere distratti. Lo scrittore è l’essere più solitario in assoluto, più del monaco e dell’eremita; costoro possono, se vogliono, pregare a contatto con la natura, deambulando, fissando l’orizzonte, facendosi inondare dal sole e dalla luce. Lo scrittore deve necessariamente stare fermo in un luogo, inchiodato su una sedia e davanti ad una tastiera, ristretto dentro uno spazio limitato, protetto da ogni voce, da ogni rumore, da ogni presenza molesta, da ogni distrazione. Da questo punto di vista non c’è condizione più derelitta di questo strano creatore. Basta un nonnulla perché un pensiero che si stava strutturando evapori, un dialogo che stava prendendo forma dissolversi, un’immagine che stava affiorando svanire… E quella frase che stava aspettando, quella parola necessaria su cui si stava dannando da ore, spegnersi per sempre alla minima intrusione esterna, come la vita di uno dei personaggi di cui ora non ricorda più nulla: inabissatosi al semplice movimento della maniglia della porta della sua stanza.


È solitario il mestiere di scrittore, come abbiamo visto, ma non è solitudine la sua. Il suo mondo è fin troppo pieno e affollato di persone, di volti, di ambienti, di parole, di eventi. Egli è costantemente in compagnia della sua immaginazione; si tratta di una solitudine creativa, visionaria, affollata di tante vite quante sono i personaggi a cui conferisce un nome e un volto, e che getta nel mare tempestoso della vita. Egli è tuttavia in pericolo come il più misero dei mortali: e muore tutte le volte che i suoi fantasmi lo abbandonano.