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venerdì 20 giugno 2025

SCENARI DI GUERRA
di Maurizio Vezzosi




Israele contro Iran. O Stati Uniti contro Iran?


L
a cronaca d’Oltreoceano e del Vicino Oriente fa apparire almeno possibile il coinvolgimento diretto degli Stati Uniti nella guerra contro l’Iran: un coinvolgimento che costituirebbe il contrario di quanto affermato per anni da Donald Trump riguardo il ruolo di Washington nella regione. Mentre tutto il personale militare statunitense di stanza nell’area del golfo si trova in stato di massima allerta, il blocco di potere trumpiano sta facendo i conti condefezioni illustri, ma soprattutto con quella che sembra la mancanza di una vera visione politica degli Stati Uniti e del loro ruolo globale. È improbabile che Benjamin Netanyahu abbia imboccato la strada della guerra aperta contro Teheran senza essere certo di un rapido intervento degli Stati Uniti. Ogni giorno che passa i margini dell’autonomia israeliana si riducono, erodendo soprattutto la sua capacità difensiva. I calcoli di Benjamin Netanyahu potrebbero quindi anche rivelarsi errati. Scommettendo sulla sollevazione dei curdi iraniani, dei nazionalisti del Balocistan, di una parte della popolazione e sull’opposizione in esilio. Israele sta compiendo ogni sforzo per distruggere l’Iran: distruggerlo come entità statuale, non semplicemente riducendo la sua capacità nucleare o forzando un ipotetico cambio di regime. Tutti gli attori in campo sanno che Israele non potrebbe resistere a lungo ad una tale pressione senza il sostegno di Washington, Benjamin Netanyahu in primis. Israele non è riuscito a sconfiggere la resistenza palestinese a Gaza ed in Cisgiordania, nonostante oltre un anno e mezzo di guerra di annientamento, né quella yemenita, Pur infliggendo duri colpi all’Iran, Israele ha confermato di non poter sostenere uno scontro aperto qualora questo dovesse dilatarsi nel tempo. Sei giorni di attacchi missilistici, sono stati sufficienti a palesarlo. Il Pakistan, peraltro, ha già dichiarato la propria disponibilità a fornire armi nucleari all’Iran qualora fosse necessario. 



La proposta russa, messa sul tavolo da Vladimir Putin al forum economico di San Pietroburgo, costituisce per il momento l’unica possibile soluzione politica allo scontro tra Tel Aviv e Teheran: in questa ipotesi, l’eventuale ruolo di Mosca garantirebbe la sicurezza nucleare di entrambi i paesi. L’atteggiamento russo potrebbe radicalmente cambiare qualora una possibile mediazione tra le parti non dovesse funzionare. Un attacco all’Iran può essere interpretato come un attacco al ruolo russo e cinese nel Vicino oriente e nell’Asia Centrale. L’Iran è tra i principali fornitori energetici di Pechino, insieme al confinante Turkmenistan. È improbabile, dunque, che Mosca e Pechino accettino passivamente un eventuale crollo di Teheran. Al netto di alcune difficoltà, sia Mosca che Pechino potrebbero approfittare di un eventuale attacco statunitense per aumentare la propria pressione militare in Ucraina e su Taiwan. Ma le conseguenze negative per gli Stati Uniti e per i paesi europei potrebbero essere molto più ampie. L’Iran potrebbe reagire attaccando direttamente le basi e le portaerei statunitensi nell’area del Golfo, oltre a tentare di un blocco sullo stretto di Hormuz e sul quello di Bab el-Mandeb. Uno scontro diretto tra Stati Uniti ed Iran avrebbe conseguenze potenzialmente devastanti per l’economia globale. Oltre ai rischi di carattere militare, il prezzo del petrolio potrebbe raggiungere i suoi massimi storici. A questo proposito, vale la pena ricordare come la rivoluzione iraniana del 1979 abbia innescato la seconda crisi petrolifera più grave dopo quella del 1973. Una nuova fase, ancora più pericolosa, della guerra mondiale combattuta a pezzi.

MEDITARE E DISCUTERE
di Alfonso Gianni
 


Come impedire che l’astensione distrugga i referendum.
 
Il netto insuccesso della prova referendaria di giugno su tematiche della massima importanza come il lavoro e la cittadinanza ci costringe - ed è indispensabile che ciò avvenga - a considerazioni di fondo sullo stato dell’orientamento democratico della società civile, dove è evidente l’azione corrosiva portata dalle destre. Questa risulta particolarmente sottolineata constatando la distanza considerevole che ha separato i Sì al primo dei quattro quesiti sul lavoro (quello relativo alla reintegra nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo anche per chi è stato assunto dopo il 7 marzo 2015) da quello sulla cittadinanza. I numeri parlano chiaro: il primo quesito, il più votato tra quelli sul lavoro, ha raggiunto 13.310.443 voti (comprendendo anche quelli provenienti dall’estero), mentre quello sulla cittadinanza (sempre con i voti esteri) si è fermato a 9.748.806. Nella provincia di Bolzano, ove si è votato di meno che nel resto d’Italia, il No al dimezzamento degli anni d’attesa per conseguire la cittadinanza ha addirittura superato i Sì con il 52% dei voti. Vi è chi attribuisce la differenza di quasi tre milioni e mezzo di voti interamente ai 5stelle lasciati liberi da indicazioni di voto, ma probabilmente le ragioni di una simile diversità sono più complesse e profonde. Gli studi offerti da vari centri sondaggistici (mi pare interessante quello fatto sulla città di Torino) aiutano certamente alla comprensione dell’esito del voto, ma dovrebbero e potrebbero essere accompagnati - ecco un’occasione da non perdere - da un lavoro d’inchiesta, che permetterebbe, venendo a contato diretto con la popolazione, di registrarne finalmente l’effettivo punto di vista, anziché dedurlo da presunte corrispondenze meccanicistiche tra voto referendario e scelta politica.



Naturalmente è giusto sottolineare anche alcuni aspetti specifici che hanno influito negativamente sull’andamento del voto. Tra questi va considerata senza dubbio la arbitraria cancellazione del referendum sull’autonomia differenziata operata dalla Consulta sulla base di motivazioni che sfidano prima ancora la logica più che il diritto. La richiesta di abrogazione totale della legge Calderoli avrebbe costituito un traino ideale per portare alle urne i cittadini, favorendo così, anche se certamente di per sé non garantendo, il voto sugli altri quesiti referendari. Certo la controprova non c’è, ma gli indizi a nostra disposizione ci portano a credere che la presenza del quesito contro la legge Calderoli avrebbe potuto raggiungere e superare il quorum per la sua dimostrata capacità di penetrazione anche in ambiti elettorali legati alle destre specialmente nel Mezzogiorno.  In ogni caso questa vicenda dimostra la necessità, modificando la legge 352/1970 che la verifica di costituzionalità dei quesiti avvenga prima e non dopo la raccolta delle firme evitando almeno di mortificare la volontà espressa, in questo caso, da quasi un milione e 300mila cittadine e cittadini.



È giusto anche sottoporre a critica il modo con cui soprattutto le forze politiche sostenitrici del Sì hanno condotto la campagna elettorale. L’avere messo a un certo punto in primo piano le possibili conseguenze politiche del voto referendario (tutte peraltro da dimostrare), addirittura evocando lo sfratto al governo Meloni, ha più che altro nuociuto all’esito della prova favorendo la chiamata all’astensione. Peraltro questa non è neppure stata contrastata a dovere, visto che è stata evocata da figure istituzionali le cui funzioni andrebbero adempiute “con disciplina ed onore” (art. 54 Cost.). Non solo ma la legislazione ancora vigente, derivante dal Testo unico sulle leggi elettorali del 1948, la cui validità sul punto specifico è stata ribadita anche per le campagne referendarie dalla legge 352/1970, ribadisce che atti e parole che inducono all’astensione, a differenza del comune cittadino, sono perseguibili con previsione delle pene comminabili.  



La Cgil, per bocca del suo segretario generale, ha giustamente ribadito di essersi mantenuta ben lontana da questo scivolamento dell’asse tematico e finalistico che di per sé è da considerarsi estraneo alla stessa ratio del confronto referendario. Ma anche il maggiore sindacato italiano ha delle domande da porsi e delle riflessioni da fare. La novità, giustamente sottolineata, del ricorso all’istituto referendario da parte del sindacato in prima persona, è risultata insufficiente per la rivitalizzazione dell’organizzazione e la sua trasformazione in un sindacato di strada, un obiettivo per il cui raggiungimento è ineludibile l’essere sindacato nel senso più pieno e forte della parola, facendo i conti con le modificazioni intervenute nelle condizioni e nei rapporti di lavoro. Ma la sconfitta va persino al di là di questi ambiti, e ci induce a riflettere su l’istituto stesso del referendum abrogativo, cioè dell’unica forma nella quale si esprime pienamente la democrazia diretta come previsto dalla Costituzione. Data la direzione che le classi dirigenti hanno preso - non solo nel nostro paese - di sancire la rottura del rapporto fra capitalismo e democrazia con rovesciamenti istituzionali che la codifichino, è decisivo difendere e ampliare la possibilità che i cittadini con un Sì o con un No producano un effettivo ed immediato cambiamento. È dal 2011, dai referendum vincenti sull’acqua e sul nucleare (i cui esiti sono stati a lungo boicottati e che ora le destre cercano di capovolgere) che il quorum non viene raggiunto. Per di più entro un quadro di astensionismo crescente anche nelle consultazioni politiche: nelle ultime europee ha votato la minoranza degli aventi diritto.



Il referendum di giugno ha cozzato contro un muro di silenzio elevato in nome dell’astensione che è stata contrabbandata come un diritto al pari di quello del voto. Non lo è. Perché il secondo è un dovere civico. Non vi è da stupirsi visto che la scelta dell’astensione è stata fatta in passato anche dalle forze del centrosinistra, e suoi esponenti autorevoli posti in collocazioni apicali delle istituzioni, come Giorgio Napolitano, avevano concesso all’astensione l’imprimatur della legittimità. Quindi la recente prova ribadisce che il principale nemico del referendum abrogativo è l’astensione. Ovvero il referendum è costretto a una gara impari in partenza, anche perché alla crescente astensione - che molti definiscono cronica - si aggiunge quella scelta e organizzata nelle specifiche prove.



Lo riconosceva anche un organo consultivo del Consiglio d’Europa, la Commissione di Venezia, fin dal 2006, quando scriveva che il rifugiarsi nell’astensione «non è sensato per la democrazia». Se si vuole salvare il referendum e non assistere immobili al suo boicottaggio, serve una riforma - necessariamente costituzionale trattandosi di modificare il 4° comma dell’art. 75 Cost. - dell’istituto referendario che non può che prendere di mira il ricorso all’astensione. Non penso sia opportuna la cancellazione totale di ogni quorum, che indebolirebbe proprio la forza di espressione della sovranità popolare, che è l’anima del referendum e che si esprime anche attraverso la partecipazione di una consistente massa critica di cittadini. Né bisogna inventarsi parziali quanto opinabili riduzioni dell’attuale quorum. Non trovo convincente il cosiddetto “quorum mobile” per cui gli aventi diritto al voto coinciderebbero con i votanti nelle ultime elezioni politiche, perché stabilirebbe un nesso assai poco virtuoso fra voto sulla rappresentanza politica e quello su specifiche questioni dotate di una potenziale trasversalità, oltre a dare per strutturale l’aumento dell’astensione nelle votazioni politiche.



Si può invece capovolgere il criterio su cui viene calcolato il quorum, ricorrendo semplicemente ad una soglia di voti positivi a favore della proposta referendaria. Il meccanismo è semplice, basta partire dall’attuale situazione. Secondo l’art.5 Cost “la proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto al voto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi.” Bene. Partiamo dal caso limite. Se nella votazione ha partecipato il 50% più uno degli aventi diritto, la soglia di sicurezza per la vittoria del Sì, cioè della proposta referendaria, è costituita dal superamento della metà di quel voto, cioè il raggiungimento del 25% più uno degli aventi diritto. Se si toglie, come propongo, il quorum rappresentato dalla maggioranza della partecipazione al voto degli aventi diritto, resterebbe quest’ultima soglia, quella del 25% più uno l’unica da raggiungere e meglio ancora superare, per dichiarare valida la consultazione e approvata la proposta referendaria. A questo punto il ricorso all’astensione diventerebbe un puro suicidio perché anche se raggiungesse il 75% meno uno perderebbe comunque. Quindi il Sì e il No si troverebbero a fronteggiarsi in aperta e democratica contesa. In questo modo si tornerebbe a dare valore al referendum abrogativo che i padri costituenti, dopo non semplice discussione, gli avevano dato: quello della possibilità dei cittadini di correggere o cancellare direttamente una decisione sbagliata o ingiusta assunta dal Parlamento, attraverso il voto su una richiesta referendaria, filtrata attraverso il parere della Corte di cassazione e, preventivamente alla raccolta delle firme come sarebbe più logico, della Consulta. Si salverebbe così l’unico strumento di democrazia diretta previsto in Costituzione dallo strangolamento operato dall’astensione voluta da quelle stesse forze che, in base ad una maggioranza parlamentare che è tale solo per una legge elettorale truffaldina, hanno votato quelle leggi.

 

IN PIAZZA DEI MERCANTI




giovedì 19 giugno 2025

ESCALATION: VA SEMPRE PEGGIO


 
Il cancelliere Merz, il più idiota dei super-idioti europei, ha almeno il merito di dire quello che pensa: noi stiamo con Israele non solo per mettere la parola fine al programma nucleare iraniano, ma per bloccare l’esportazione del terrorismo da parte di Teheran. Il discorso viene completato e ripulito degli evidenti equivoci dalla neonazi Kallas che prima si nasconde dietro alla de-escalation - una parola che serve per confondere le acque e le responsabilità, ossia per non criticare Israele; la legge internazionale, vedi il post di El Baradei, già direttore dell’IAEA, va ri
chiamata solo quando serve - poi, in risposta a una domanda, chiarisce cosa si intende per terrorismo: il sostegno alla Russia in Ucraina. L’appoggio a Israele contro l’Iran fa dunque parte della guerra europea alla Russia - indebolendo l’uno si indebolisce l’altra. Ai super-idioti va almeno riconosciuto di avere delle priorità, e di perseguirle - detto per inciso, tra queste priorità non ci sono i palestinesi. Fonte Bloomberg, Merz, lunedì, aveva anche previsto - previsione da super-idiota - che entro la mezzanotte di ieri Trump avrebbe deciso l’attacco all’Iran. Un’altra notizia di Bloomberg - una vera bomba - è l’affermazione dello stesso Trump che le sanzioni danneggiano l’America! Sulla decisione del presidente americano probabilmente grava ancora l’incertezza, però possiamo essere certi che al suo posto una Kamala Harris, tanto per fare un nome, avrebbe già dato il via alle ostilità. In attesa della conclusione del processo decisionale, vanno notate le prime incertezze del mainstream. France 24 si chiede: ma qual è il vero obiettivo di Israele? Il “regime change” a Teheran è realistico? È però il WP a mettere il dito nella piaga: le difese antiaeree israeliane sono inadeguate, costose e sufficienti solo per una guerra che non duri più di due settimane. Sulla stessa linea è Bhadrakumar che cita fonti russe. [Franco Continolo]

 

 
Il Cancelliere Friedrich Merz afferma di aver parlato con il governo degli Stati Uniti di un possibile intervento militare nella guerra tra Israele e Iran. Ha anche elogiato i successi dell’esercito israeliano. Secondo il Cancelliere Friedrich Merz (CDU), il governo degli Stati Uniti sta valutando un intervento militare nella guerra tra Israele e Iran. “Ne abbiamo discusso, ma ovviamente non c’è ancora una decisione da parte del governo degli Stati Uniti”, ha dichiarato Merz a margine del vertice del G7 in Canada, in uno speciale di WELT Talk con Jan Philipp Burgard, caporedattore del WELT Group. “Ora dipende molto da quando il regime dei mullah sarà disposto a tornare al tavolo delle trattative. In caso contrario, potrebbero esserci ulteriori sviluppi. Ma dovremo aspettare e vedere. Le decisioni saranno probabilmente prese nel prossimo futuro”. Merz ha anche sottolineato i successi dell’esercito israeliano. Israele ha distrutto “con grande successo” le strutture del programma nucleare iraniano. Oggi, si potrebbe probabilmente dire: non ci sono armi nucleari in Iran. Ci sarà ancora “lo stesso livello di finanziamento e sostegno al terrorismo globale da parte di questo Paese”. Il regime dei mullah è “molto indebolito” e probabilmente non tornerà alla sua precedente forza, ha affermato Merz. “Non tornerà a essere com’era fino a giovedì scorso”. L’esercito israeliano ha dimostrato le sue capacità negli ultimi giorni. Il futuro dell’Iran è incerto. “Noi europei ci siamo offerti di fornire tutta l’assistenza diplomatica. Se, ad esempio, ci fosse una ripresa dei colloqui diplomatici, saremmo pronti a partecipare”, ha affermato Merz. Nell’intervista, il Cancelliere ha anche contraddetto il Presidente degli Stati Uniti, che all’inizio del vertice aveva definito un grave errore l’esclusione del Presidente russo Vladimir Putin dal formato. “Continuo a credere che l’esclusione di Putin dal formato G8, come si chiamava all’epoca, dopo l’annessione della Crimea, sia stata corretta”, ha sottolineato Merz. “Non siamo qui seduti in questo formato con signori della guerra o criminali di guerra. Ed è per questo che rimane il fatto che Putin non ha posto a questo tavolo”.
 
(Trad. di Google)

GUERRA E MODERNITÀ
di Franco Astengo
 

La guerra sembra riaffacciarsi sullo scenario geopolitico come una prospettiva “globale”.
 
I conflitti in corso in particolare quelli in Ucraina, Iraq e Siria e lo spostamento d’asse nei principali equilibri internazionali hanno fatto riprendere consistenza all’ipotesi di un conflitto generalizzato di dimensioni planetarie che veda di fronte gli Stati Uniti e la coalizione occidentale (comprensiva del Giappone che, com’è noto geograficamente, si colloca nell’Estremo Oriente) e la Russia alla quale si sta accostando la Cina. Si tratterebbe di una deflagrazione a intensità altissima, quasi insopportabile per l’intera umanità: un rischio da scongiurare assolutamente ma che appare verosimile perché hanno ormai perso di forza e di autorevolezza quegli organismi internazionali che durante l’epoca del bipolarismo” atomico” Usa/Urss (1948-1991) avevano bene o male garantito la mediazione necessaria e l’insorgere, conclusa anche la fase della sola superpotenza, di una molteplicità apparente di conflitti dalle diverse motivazioni (compresa quella dello “scontro di civiltà, tra Occidente e Islam fondamentalista) della possibilità di una risoluzione del “contenzioso” (in particolare dal punto di vista degli approvvigionamenti energetici) attraverso una guerra di tipo generale. Soprattutto però è cambiato il concetto di “guerra” dal punto di vista della concezione della “modernità” e della possibilità di giustificare storicamente, e anche dal punto di vista filosofico, l’evento bellico.
La fase che stiamo attraversando appare proprio quella del superamento del ruolo degli USA a disporre da soli dello “ius ad bellum”: in questo periodo la guerra è rientrata in circolazione come moneta sonante del pagamento dell’azione politica anche nell’area europea, sia a livelli sub-statuali (quella definita come “terrorismo”) intrecciati a livelli sovra-statuali (appunto il già citato “scontro di civiltà”). In questo quadro, contraddistinto proprio dall’unicità di presenza di una sola superpotenza, quella statunitense e a fronte della già ricordata palese obsolescenza del sistema di legalità internazionale fondato sull’ONU, si era ricorsi ad un uso “normalizzante” della guerra: quella “asimmetrica” contro il cosiddetto terrorismo, quella “umanitaria” che oltrepassava il principio di non ingerenza; quella “preventiva” che andava oltre il divieto della guerra d’aggressione, fino alla guerra “per la democrazia” che si fondava sull’ipotesi che vi fossero nessi cogenti fra la qualità interna di un ordine politico e la sua propensione alla guerra, e che in un mondo democratizzato” all’occidentale” le guerre sarebbero state impossibili. Dal cappello dell’apprendista stregone di questi concetti sono sorti, non tanto improvvisi, mostri dalle diverse teste: i Talebani in Afghanistan, il Califfato del Levante e quello della Nigeria, tanto per fare degli esempi concreti oltre alle nuove dittature islamiche e/o militari in Egitto, Tunisia, Algeria e il dissolvimento d’intere unità statuali, dall’Iraq alla Libia dalla Somalia all’Eritrea al Sud Sudan. Sono ormai saltati quei principi che la teoria e la filosofia politica avevano ricercato per creare le condizioni e le modalità di una possibile “guerra giusta” (un ideale inseguito fin dalla prima filosofia cristiana in Agostino e poi nella Scolastica da Tommaso): limiti dell’ingerenza in difesa dei diritti umani; proporzione degli atti di guerra rispetto alle offese da riparare; problema della liceità delle armi di distruzione di massa.



La scienza politica aveva affrontato, da parte sua, il problema attraverso i metodi e le categorie dell’idealismo e del realismo, attraverso le nozioni di equilibrio e di egemonia. Oggi tutta questa impalcatura teorica e ideologica sembra saltata e siamo alla guerra globale dove è saltata la distinzione fra guerra e terrorismo, tra civili e militari, fra Stati e gruppi armati “privati”.
La scena internazionale appare così percorsa da innumerevoli conflitti di vario livello e diversa intensità, con base su sfondi apparenti anche diversi da quelli di tipo economico come quelli religiosi o identitari. Quale migliore occasione allora per “ripristinare l’ordine” per via bellica da parte di chi intende affermare un nuovo multipolarismo concepito in modo tale da usarne i meccanismi per puntare al recupero del bipolarismo presentandosi come il propugnatore di un diverso equilibrio rispetto a quello imperniato su di una sola superpotenza?
Potrebbe esser questo il tema all’ordine del giorno nei prossimi mesi, attorno al quale riflettere soprattutto da parte di chi sa benissimo che non è proprio il caso di cadere nella trappola dello “scontro di civiltà” e che la logica dominante rimane quella dello sfruttamento dell’uomo e del pianeta e che in gioco c’è proprio la libertà di poter disporre a proprio piacimento della facoltà di sfruttare al massimo dell’intensità senza tener conto della necessità di un equilibrio riguardante la presenza (ormai a rischio) del genere umano sul pianeta.


 

 

A NAPOLI
Contro il massacro dei giornalisti liberi.




TEATRO
“L’Occhio del Ciclone a Lucca”




 

mercoledì 18 giugno 2025

‘FUORI, SUL MARCIAPIEDE!’
di Associazione di volontariato Idra


 
 
Rischio idraulico e informazione nella Regione Toscana. 
 
Meno rischio in Toscana! Siamo d’accordo!’, spiega il responsabile di Idra al momento di porgere a chi è in fila nel vestibolo del Teatro della Compagnia un contributo temerariamente intitolato Nessuna Risposta, né in diretta né in differita, né a voce né per iscritto’.
È lunedì 16 giugno mattina, via Cavour, appuntamento finale del ‘percorso formativo e di comunicazione’ sulle politiche di contrasto ai guai idrogeologici intitolato Meno rischio in Toscana.
‘Ma lei, è dell’evento?’, obietta una ragazza dell’organizzazione.
‘Certo: sono registrato!’
‘Sì, però non si può distribuire materiale, se non è quello della Regione!’
‘Ma esistono ancora i cittadini!? niente spazio qui per le associazioni di volontariato?’
‘È così: non si possono dare i volantini’
‘Questo non è un volantino: è informazione! Questo contributo voi l’avete ricevuto, a suo tempo, e non avete risposto. Ci permetterete di farlo sapere a chi interviene, no?’
Subentra un’affabile responsabile di grado superiore.
‘Guardi, le devo chiedere di farlo fuori! Sul marciapiede!’
Indicazione perentoria. Ma, ammettiamolo, non inattesa.
‘D’accordo’.


Fuori, sul marciapiede, quella che il cronista annota è in buona parte una simpatica sfilata di gala.  Del resto, oggi sarà giorno di attestati, e premi, e foto, e celebrazioni. Qualcuno compulsa incerto il magico aggeggio e interpella l’indiscreto cittadino con quei fogli in mano, scambiandolo per usciere, a sincerarsi che sia questo il portone giusto.
‘Sì, è qui la festa!’, risponde lui ammiccando e porgendo una delle centocinquanta copie di pericolose integrazioni informative di cui è munito. Ma per correttezza aggiunge: ‘Non appartengo al Palazzo, rappresento l’opposizione!’.
Sgrana un attimo gli occhi.
‘No, non quella al governo della Regione, s’intende! Quella al Sistema’.
C’è chi afferra, chi meno, ma tutti - tranne uno, forse un po’ nervoso - accolgono il fronte/retro proposto. Qualcuno chiede addirittura spiegazioni.
‘Eccole! Sono scritte nelle prime righe. A Firenze abbiamo un caso-scuola di rischio idraulico gigantesco, concreto e attuale, acclarato e pervicace, grande come una casa, anzi come una stazione: l’enorme buca TAV che si scava da anni - senza valutazione di impatto ambientale - in un’area classificata ad elevato rischio idraulico’.
‘Cioè?’
‘Vede. Quella voragine fra viale Redi, viale Corsiva e via Circondaria doveva nascere molto più a est, all’incrocio col viale Belfiore. Ma poi, al momento dell’approvazione in conferenza di servizi, 26 anni fa, il disegno di quella stazione non piacque: prevedeva la demolizione di un’architettura razionalista storica. E allora si rifece il progetto, e la nuova stazione fu approvata nel 2003 accanto al subalveo del torrente Mugnone, in un’area di esondazione a pericolosità idraulica classificata ‘alta’ nelle carte dell’Autorità di bacino!’
‘È così!?’


‘Già! Si preferì evitare di riattivare una noiosissima (!) procedura di valutazione di impatto ambientale e si scolpì nella pietra delle carte ministeriali questa frase, che tutte le autorità di controllo accolsero con gioia: “Per quanto riguarda la nuova stazione AV restano confermate le valutazioni già espresse nella Conferenza dei servizi del 3.3.1999”. Solo che quelle valutazioni riguardavano un contesto urbanistico e trasportistico abbastanza differente. E, soprattutto, una fossa programmata a parecchie centinaia di metri a est del Mugnone, in un’area che l’Autorità di bacino definisce a pericolosità né alta né media, bensì bassa!’.
‘Se è vero, come si chiama questa, se non pirateria?’, obietta l’interlocutore.
‘Non esageriamo, nella neolingua si può ben chiamare… ‘democrazia’! La mancata procedura di VIA per la stazione Foster, e di VIA regionale o di altro tipo per l’adeguamento idraulico di Mugnone e Terzolle, ha impedito infatti scientificamente alla cittadinanza e alle autorità tecniche indipendenti l’accesso alla conoscenza dei progetti e l’esercizio del diritto di proporre osservazioni, correzioni, integrazioni!’



Un’amica ex cronista è lì che ascolta. Il responsabile di Idra le domanda a bruciapelo: ‘A proposito di bufale, lo sai dove vanno le terre di scavo delle gallerie della ‘grande opera’?’
‘No: dove?’
‘In discarica!’
‘Ma dài!’
‘Infatti. Nessuno dei ‘grandi giornali’ lo scrive. Lo abbiamo fatto sapere a tutti i media, in tutte le salse. Ma loro, zitti! Che mestiere è diventato mai quello dei giornalisti?’
E allora, quando il volontario-non-allineato, esaurito il proprio compito sul marciapiede, entra in sala per registrare l’esposizione compiaciuta dei risultati del percorso formativo e di comunicazione intitolato Meno rischio in Toscana. Nuove soluzioni contro alluvioni e frane’, qualcuno dovrebbe spiegargli come potrebbe ritenersi credibile e dignitoso quel coro di impegni, rassicurazioni, plausi, lodi e ringraziamenti di cui si è intessuto l’evento. Vano è stato chiedere del resto all’ingresso se ci fosse spazio per una breve comunicazione. ‘Possono parlare soltanto i premiati’, è stato sentenziato. Ma capiterà mai a Idra di esserlo?
Nessuno, del resto, che abbia osato fare dal palco un pur lontano riferimento ai contenuti della dettagliata incursione informativa sul caso più eclatante e concreto di apparente incuria amministrativa  sollevato e documentato ‘sul marciapiede’ da un’associazione che dal 1994 segue, monitora e - all’occorrenza - attesta nelle competenti sedi giurisdizionali l’avventura non sempre gloriosa delle cantierizzazioni per Alta Velocità ferroviaria, dal Mugello a Monte Morello, da Sesto Fiorentino alla città Unesco chiamata Firenze. Anche dal responsabile della Direzione Difesa del suolo e Protezione civile della Regione Toscana, cui sono state affidate le conclusioni dell’evento, né ieri né ieri l’altro né stamani è arrivato ai cittadini un qualsivoglia riscontro alla richiesta di colloquio e alle proposte trasmesse per Pec a gennaio da Idra. Cosa si chiedeva? Semplicemente che il progetto di bypass del Mugnone lì sotto il fascio ferroviario che origina in Santa Maria Novella tenga conto di due esigenze prioritarie che - ad avviso dell’associazione - sarebbe opportuno soddisfare.



La prima, quella di un’adeguata rivisitazione del progetto alla luce dei nuovi fattori di rischio sopraggiunti: si tratta di ricalcolare idraulicamente il dimensionamento dell’intervento, in relazione ai parametri cui è tenuto ad attenersi (fra questi, il set di dati pluviometrici, che risultavano (risultano ancora?) fissati un quarto di secolo fa, prima cioè che si rendessero palpabili i drammatici incrementi di rischio derivanti  dall’accresciuta frequenza e intensità di fenomeni meteorici estremi.
La seconda, quella della contestuale messa in sicurezza dell’intera asta del torrente, in termini di cura, manutenzione e interventi di sistema miranti a restituire - anche attraverso attività strutturate - equilibrio al territorio collinare, periurbano e urbano: la mera apertura di un quarto fornice, infatti, potrebbe non bastare a salvaguardare Romito e stazione AV dal rischio di esondazioni dovute a fango, rami secchi, sabbia e detriti di risulta provenienti da monte. I recenti episodi di piena del Mugnone, che ha lambito la base dei ponti su cui transitavano Italo e Freccia Rossa (28 gennaio, 14 marzo), stanno lì drammaticamente a ricordarlo. In ogni caso, giova aggiungere, quanta informazione è stata fornita ai cittadini che abitano l’area interessata dall’intervento del bypass, non banale né breve né indolore, in zona Romito?

LE PAROLE
di Vinicio Verzieri


 
Le parole o i termini, i vocaboli, sono nati senza una data precisa e nemmeno si sa chi sono i creatori. Hanno una sonorità che dovrebbero accostarsi alla forma della cosa definita o, nel caso del suono, al verso di un animale o di un rumore. Esse non seguono queste regole sempre a causa delle diverse lingue, quindi una parola viene scritta o detta in modo diverso. Gli scrittori vanno alla ricerca di quelle per meglio esprimersi e dare un valore letterario, per meravigliare e in alcuni casi le inventa. In altri ambiti tecnici fanno la catena delle derivazioni come dal greco, poi dal latino e infine all’italiano. Ci sono le appropriazioni da altre lingue, quelle che imbarbariscono fino a scomparire, possono essere lunghe o breve, fare commuovere, ridere, riflettere, zittire, entusiasmare, creare emozioni, fare innamorare e molto altro. Le parole non sono flessibili, eppure molti le interpretano a piacimento, sono inequivocabili, ma un sì diventa una negazione e viceversa. A voce si modellano con toni diversi, cambiano volto e si perdono. Quando scrivo non sempre rincorro un termine giusto, è esso che si presenta e scivola sul foglio con un seguito che molti dicono sia frutto di un momento creativo o ispirazione. Ti do la mia parola, ma ci si può fidare? Non sempre. Nel dormiveglia a volte creo pensieri scaturiti da una parola insolita e mi dico che non ho la forza di scriverli, lo farò domani, tanto è facile da ricordare. Invece non sempre ci riesco e mi rimprovero per non essermi svegliato. Che io sia ignorante è ovvio, non conosco tutte le parole del dizionario e anche quelle tecniche che non vi sono e nascono di continuo. Molte parole sono definite erroneamente, altre ambigue, non tutte di una valenza. Comunque, quelle che vorrei, non ci sono per descrivere quelle sensazioni emozioni e sentimenti che sono nel mondo delle astrazioni. Il silenzio a volte è più eloquente e sincero delle parole. Per esprimermi e comunicare percorro strade parallele con il disegno, la pittura e la scultura. Dove trovare l’archetipo che descrive l’interiore? Nella bellezza? Nella poesia? Ma esse sono astrazioni, e allora? Non trovo risposte, solamente interrogativi e dubbi. In tal caso mi chiedo come possono essere soddisfatti e appagati con presunzione gli scrittori? Tacere sempre non si può. Allora la vita è legata alla parola? Come hanno fatto i nostri progenitori e come fanno gli animali, le piante e le cose a intendersi? Ho letto delle risposte e certamente contribuisce l’intuito.

 

GAS E GENOCIDIO 



PER I DIRITTI E PER LA PACE
Sciopero generale! 




ARCHIVIO MORONI
La guerra è reazionaria e contro i popoli. 




martedì 17 giugno 2025

“PERSONE PER BENE”
di Angelo Gaccione



Questo bambino della foto di chiama Adam, è un palestinese, l’esercito criminale israeliano (tutti gli eserciti sono criminali perché ubbidiscono a ordini criminali e non si fanno mai nessuna domanda su chi gli ordina di andare ad ammazzare alla cieca e perché; soprattutto esseri umani, esseri vegetali ed esseri animali che non hanno colpa alcuna e che la guerra sono costretti a subirla, non la vogliono, non la dichiarano) gli ha massacrato quasi l’intera famiglia. Non ha più il papà, non ha più i tanti fratellini, ed è vivo per miracolo. Le bombe dell’esercito israeliano lo hanno ridotto come lo vedete. Non era un terrorista, non voleva la morte dei bambini israeliani e a questa età non sapeva nulla del perché gli adulti si fanno la guerra, ma ammazzano i bambini. I bambini non sanno che gli adulti (non tutti, per carità! Non mi si fraintenda, se fosse così sarebbe meglio che un’epidemia cancellasse prima possibile tutto il genere umano) sono dei vili: creano contrasti fra loro ma invece di sfidarsi a duello e risolvere con il loro sangue i problemi che creano, mandano i soldati ad ammazzare e a farsi ammazzare. Ai giorni nostri i soldati e le armi ammazzano soprattutto gente innocente che la guerra non la vuole e non la dichiara. Quelli che la vogliono e la dichiarano è raro che muoiano in guerra e quasi sempre la fanno franca. A volerla e a dichiararla è un gruppo limitato di concittadini che eleggiamo con il nostro voto. Li eleggiamo perché si occupino del buon funzionamento della comunità in cui viviamo, se ne prendano cura e risolvano, nei limiti del possibile, le difficoltà di tutti noi assolvendo al loro compito con onestà ed onore. Votandoli non gli abbiamo affidato nessun mandato per portarci in guerra, ma di stabilire relazioni pacifiche in modo che la nostra bella patria possa andarne fiera. Io non mi vergogno di usare la parola patria perché amo la sua lingua e come scrittore non poteva capitarmi una lingua più bella; amo il suo patrimonio culturale e vorrei fosse preservato per l’eternità, se davvero l’eternità esistesse.


90 anni, ma non si arrende.
Io ne ho di meno, ma come lei non mi 
arrendo.

Molti di coloro che eleggiamo hanno volti rassicuranti, sono moderati e ben vestiti. Hanno modi delicati e possono vantare buoni studi; frequentano chiese, sono affettuosi con i figli e spesso hanno in casa animali di compagnia che trattano bene e nella vita di tutti i giorni, se avete modo di parlarci, ragionano con il buon senso di ciascuno di noi. Ripeto, sono persone moderate e mai vi aspettereste che si possano trasformare in criminali. Eppure la guerra è una brutta bestia e le trasforma. “Sono proprio queste persone per bene a volere la guerra” ha detto domenica scorsa il mio amico scrittore Cataldo Russo, durante un incontro di poeti in un bellissimo giardino della cittadina di Pero. Queste persone per bene le mani di sangue direttamente non se le sporcano; se ci parlate assieme hanno persino orrore del sangue e se gli fate notare che le bombe potrebbero uccidere anche i loro figli e i loro padri, devastare le loro belle case, si affrettano a dirti che loro lavorano per evitarle le guerre. Così dicono, però usano le loro cariche di ministri e di governanti per autorizzare l’invio di armi a chi si fa la guerra. In questo modo la guerra la alimentano invece di farla cessare, e contribuiscono alle morti e alle distruzioni. Potrebbero usare moderazione e diplomazia, e invece mandano armi. Queste persone per bene ogni tanto si commuovono: prima però devono morire tanti bambini, tante mamme, tanti nonni, tanti papà innocenti che la guerra non la vogliono e non la causano. Per lungo tempo dormono tranquilli e la loro coscienza di cristiani e di credenti non li turba. Poi, finalmente, hanno un piccolo sussulto e dopo aver mandato le armi che hanno massacrato senza colpa alcuna la famiglia di Adam, e reso Adam stesso un orfano e un sopravvissuto, lo mandano a prelevare e lo portano a Milano per curalo in un grande ospedale della città. Si fanno anche fotografare mentre attendono che barella lo cali giù dall’aereo appena atterrato. Ed è una scena commovente, edificante. 

REFERENDUM: UNA SCONFITTA ANNUNCIATA
di Adam Vaccaro
 

Perché il PD - Cgil e annessi - hanno perso questo referendum? Per rispondere occorre però stare fuori dalla pozzanghera odierna. E porsi tante altre domande nel tempo lungo di almeno 4 decenni.

1-  Perché il PCI a guida Berlinguer tra gli anni ‘70 e ’80 - con un consenso elettorale intorno al 35%, (34,37% del 1976), e 33,33% (nel 1984), con superamento della DC (al 32,96%), non riuscì subito dopo la morte di Berlinguer, a tradurre la forza elettorale in vittoria al Referendum abrogativo del 1985, della legge del governo Craxi contro la Contingenza, minimo strumento d protezione dei salari? La coscienza critica del popolo di sinistra attribuì il risultato deludente (45,68% di sì e 54,32% di no) alla politica di scelte moderate, avviata con il governo di unità nazionale (1976) Berlinguer-Andreotti. Politica consociativa di cui beneficiò il neoliberismo sempre più incisivo su forze politiche e rabbia sociale, disillusa e a caccia di appigli impropri di speranza, tra cui ricordiamo il processo di Mani pulite Ma qui il discorso sarebbe ancora più lungo.

2- perché gli eredi (D'Alema e C.), mentre facevano finta di combattere Berlusca, hanno ignorato il Referendum vincente sui Beni Comuni (acqua, luce, gas ecc.), realizzando poi entrambi (un colpo al cerchio e uno alla botte) le stesse politiche di privatizzazioni selvagge, facendo passare per progressismo il cappio al collo della popolazione, che oggi sentiamo stringersi con bollette raddoppiate nel giro di un anno- dopo di che I sapientoni ci dicono sconsolati, è la speculazione! Come fosse un dio cui non si può opporre nulla!


3- perché agli stessi questi di quest'ultimo referendum, quando questi capponi 'de sinistra' sono stati al governo, non hanno messo mano?


4- perché il PD al governo col salvatore della patria, Supermario Draghi, Landini che invoca ora la rivolta popolare, fece solo 2 h di sciopero simbolico contro la mazzata sulle pensioni della legge Fornero?


Credo siano queste domande che vanno ben oltre le patetiche figurine (femminili e maschili di oggi), ossequiosi a progetti di riarmo degli idioti criminali al comando della giostra di questa UE zerbino USA e getta, di guerre senza fine con connivenze silenti col genocidio in atto dal nazi-sionismo. 
È questa catastrofe politica che mostra come il Pd (e code varie) sia non da oggi, un aggregato informe di destra neoliberista, che ha tra i suoi dettami, per la zattera Italia, libera circolazione dei poveri affamati del mondo. Una moderna versione di tratta di schiavi, o un continuo rifornimento dell'esercito di riserva dei lavoratori (come chiamato 200 anni fa da un visionario come Marx), al fine di incrementare il saggio di profitto. Si creano le guerre tra poveri che abbiamo sotto gli occhi, che in Italia producono quei livelli salariali e crescita di poveri, su cui piangono sconsolati i censori 'de sinistra', incapaci di proporre azioni verticali per ridurre gli accumuli concentrati di ricchezza che la giostra finanziaria magicamente produce.
Purtroppo, una vera sinistra con analisi e azioni adeguate rispetto a questo vittorioso paradiso infernale, non c'è. E allora non restano che stupide illusorie battaglie perse orizzontali, come polli di Renzo, contro l'altra destra, che ha buon gioco a raccogliere le delusioni sociali di coloro che si sentono nauseati e traditi da questa sinistra che una testa libera e pensante come Moni Ovadia invita a chiamare nuova destra.
Capisco che per i bruchi rimasti fermi a schemi e memorie del passato morto e sepolto, queste mie chiose siano odiate e insopportabili. Ma capisco anche l'angoscia e la disperazione se si prende atto del vuoto, in cui cercare un'alternativa. Inutile farsi illusioni, ci sono fasi storiche distopiche come questa, che chiedono almeno il coraggio della verità. Per pensare un Altro e Oltre, serve anche un po' di sarcasmo satirico, che giustificava già decenni fa il vecchio sfogo popolaresco di Bartali: “l'è tutto da rifare!”.

 

CAMPI ELISI
di Vincenzo Talerico


Gino Meringolo
 
In ricordo di Gino, il reichiano.
 
Il 13 giugno scorso è morto Carmine Meringolo. Noi che frequentavamo i movimenti libertari e anarchici dalla fine degli anni ’60, a Cosenza e ad Acri, lo abbiamo conosciuto come Gino; e io lo ritrovai al Circolo Cafiero di Via Paglietta a Bologna, dove affrontava con interesse gli aspetti “organizzativi” del movimento, il dibattito su questi aspetti, che erano e sono gli argomenti sostanziali dello stesso anarchismo, avendo a che fare con l’autogestione delle lotte che creano la nuova comunità. Lì a Bologna frequentava la facoltà di chimica industriale e la sua formazione scientifica era evidente nel come affrontava anche qualunque discorso sociale o politico. Rimasi impressionato dalle raccolte di “schede perforate” che si portava in borsa assieme a libri di anarchici e a quelli di Wilhelm Reich. Le prime gli servivano per preparare la sua tesi di laurea sperimentale, facendo uso del calcolatore elettronico (uno dei primi e pochi in Italia) che la sua facoltà con parsimonia faceva usare anche ai laureandi; i libri erano il pane per l’arricchimento della mente, e Gino ne aveva e ne leggeva tanti. Di Reich, all’epoca, gli piacevano le sue analisi sulla “funzione dell’orgasmo” e le sue tesi su come la liberazione sessuale potesse incidere sulla rivoluzione sociale in senso libertario. Erano, innanzitutto, gli studi sulla psicologia di massa che gli interessavano, quelle analisi che materializzano nelle dinamiche familiari (patriarcali) e sociali (stesse strutture autoritarie e militariste in ogni organizzazione) l’ideologia del fascismo; di quella peste bruna che aveva preso piede nell’Europa degli anni 20-30, quando Reich la analizzava sul nascere e che in qualche modo è rimasta tale nonostante le importanti lotte antifasciste.


Wilhelm Reich

Gino si laurea prima della metà degli anni ’70 e lascia Bologna per tornare in Calabria a fare il professore di chimica. Ma i suoi interessi principali rimangono quelli sociali e culturali. Frequenta il gruppo anarchico di Cosenza, nel quale propone le analisi reichiane. Anzi, in questo periodo Gino approfondisce anche l’aspetto più terapeutico dello psicanalista “eretico”. E propone a molti del gruppo anarchico di seguire delle vere e proprie sedute di vegetoterapia, una tecnica psicoterapeutica con la quale si cerca di agire sui blocchi energetici che la “corazza caratteriale” crea nel sistema nervoso vegetativo o viscerale.
Gino frequenta, nel contempo, altri gruppi reichiani napoletani (a Napoli si stampava la rivista Quaderni reichiani, dove si svilupparono anche argomenti di carattere pedagogico, legati all’esperienza dell’Asilo Libertario creato proprio dal Centro Reich) dove conobbe Federico Navarro (neuropsichiatra reichiano) e si iscrive ad una scuola di psicoterapia. Egli stesso “entra in terapia” prima e dopo questa nuova laurea. Quando va in pensione da professore, inizia a fare lo psicoterapeuta. In quel periodo Gino ha rappresentato uno dei pochi in Italia che faceva conoscere le teorie reichiane anche praticandole. Man mano inizia, però, una nuova fase di studi e di interessi che progressivamente lo allontanano dall’originaria posizione reichiana e anche da quella anarchica. All’energia “orgonica” (così coniata da Reich, fondendo i termini di orgasmo e organismo, per rappresentare l’energia vitale) inizia a sostituire l’idea di spirito, prima come sinonimo di vita, poi come anima. Così che l’energia propria di ogni organismo diventa spirito eterno.
A Reich sostituisce Rudolf Steiner e la sua teosofia. Il suo avvicinamento ai testi biblici avviene tramite l’interpretazione junghiana degli archetipi, ma all’analisi del carattere reichiana sostituisce questi archetipi atemporali (i santi e/o le figure della religione).
Così, per me, alla lontananza geografica dei luoghi delle nostre vite si accompagna la lontananza intellettuale. Ciononostante, quando tornavo in Calabria, andavo sempre a fargli visita; d’estate si ritirava nella casa paterna del Vagno, una piccola frazione di Acri sulle pendici di Serra di Vuda. Lì lo incontravo e, mangiando dei frutti o dell’insalata appena raccolti, immancabilmente discutevamo e, in modo sereno, senza mai alterarsi (era la sua cifra stilistica), controbatteva alle mie critiche. Il mio anticlericalismo diventava un’arma spuntata per contrastare i suoi ragionamenti, perché lui mi fermava subito dicendo che non faceva parte di alcuna chiesa e/o partito; le argomentazioni atee contro lo spiritualismo venivano ribaltate dal suo discorso “materialista” secondo cui “l’energia” è parte costitutiva della “materia”. Quando però le argomentazioni iniziavano ad approfondire la “trascendenza” delle sue ipotesi, iniziava a non rispondere più in modo diretto, come se volesse rinviare la discussione e io acconsentivo, nella speranza di riprendere il ragionamento alla prossima visita. Purtroppo sono passati quattro anni senza poter riprendere le discussioni e rimpiango di non averlo potuto fare.