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venerdì 20 giugno 2025
SCENARI DI GUERRA
La proposta russa, messa sul tavolo da
Vladimir Putin al forum economico di San Pietroburgo, costituisce per il
momento l’unica possibile soluzione politica allo scontro tra Tel Aviv e
Teheran: in questa ipotesi, l’eventuale ruolo di Mosca garantirebbe la
sicurezza nucleare di entrambi i paesi. L’atteggiamento russo potrebbe
radicalmente cambiare qualora una possibile mediazione tra le parti non dovesse
funzionare. Un attacco all’Iran può essere interpretato come un attacco al
ruolo russo e cinese nel Vicino oriente e nell’Asia Centrale. L’Iran è tra i
principali fornitori energetici di Pechino, insieme al confinante Turkmenistan.
È improbabile, dunque, che Mosca e Pechino accettino passivamente un eventuale
crollo di Teheran. Al netto di alcune difficoltà, sia Mosca che Pechino
potrebbero approfittare di un eventuale attacco statunitense per aumentare la
propria pressione militare in Ucraina e su Taiwan. Ma le conseguenze negative
per gli Stati Uniti e per i paesi europei potrebbero essere molto più ampie. L’Iran
potrebbe reagire attaccando direttamente le basi e le portaerei statunitensi nell’area
del Golfo, oltre a tentare di un blocco sullo stretto di Hormuz e sul quello di
Bab el-Mandeb. Uno scontro diretto tra Stati Uniti ed Iran avrebbe conseguenze
potenzialmente devastanti per l’economia globale. Oltre ai rischi di carattere
militare, il prezzo del petrolio potrebbe raggiungere i suoi massimi storici. A
questo proposito, vale la pena ricordare come la rivoluzione iraniana del 1979
abbia innescato la seconda crisi petrolifera più grave dopo quella del 1973.
Una nuova fase, ancora più pericolosa, della guerra mondiale combattuta a
pezzi.
MEDITARE E DISCUTERE
di Alfonso Gianni
Come
impedire che l’astensione distrugga i referendum.
Il netto insuccesso della prova
referendaria di giugno su tematiche della massima importanza come il lavoro e
la cittadinanza ci costringe - ed è indispensabile che ciò avvenga - a
considerazioni di fondo sullo stato dell’orientamento democratico della società
civile, dove è evidente l’azione corrosiva portata dalle destre. Questa risulta
particolarmente sottolineata constatando la distanza considerevole che ha
separato i Sì al primo dei quattro quesiti sul lavoro (quello relativo alla
reintegra nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo anche per
chi è stato assunto dopo il 7 marzo 2015) da quello sulla cittadinanza. I
numeri parlano chiaro: il primo quesito, il più votato tra quelli sul lavoro, ha
raggiunto 13.310.443 voti (comprendendo anche quelli provenienti dall’estero),
mentre quello sulla cittadinanza (sempre con i voti esteri) si è fermato a 9.748.806.
Nella provincia di Bolzano, ove si è votato di meno che nel resto d’Italia, il
No al dimezzamento degli anni d’attesa per conseguire la cittadinanza ha addirittura
superato i Sì con il 52% dei voti. Vi è
chi attribuisce la differenza di quasi tre milioni e mezzo di voti interamente
ai 5stelle lasciati liberi da indicazioni di voto, ma probabilmente le ragioni
di una simile diversità sono più complesse e profonde. Gli studi offerti da
vari centri sondaggistici (mi pare interessante quello fatto sulla città di
Torino) aiutano certamente alla comprensione dell’esito del voto, ma dovrebbero
e potrebbero essere accompagnati - ecco un’occasione da non perdere - da un
lavoro d’inchiesta, che permetterebbe, venendo a contato diretto con la
popolazione, di registrarne finalmente l’effettivo punto di vista, anziché
dedurlo da presunte corrispondenze meccanicistiche tra voto referendario e
scelta politica.
Naturalmente è giusto sottolineare anche alcuni aspetti
specifici che hanno influito negativamente sull’andamento del voto. Tra questi
va considerata senza dubbio la arbitraria cancellazione del referendum
sull’autonomia differenziata operata dalla Consulta sulla base di motivazioni
che sfidano prima ancora la logica più che il diritto. La richiesta di
abrogazione totale della legge Calderoli avrebbe costituito un traino ideale
per portare alle urne i cittadini, favorendo così, anche se certamente di per
sé non garantendo, il voto sugli altri quesiti referendari. Certo la
controprova non c’è, ma gli indizi a nostra disposizione ci portano a credere
che la presenza del quesito contro la legge Calderoli avrebbe potuto
raggiungere e superare il quorum per la sua dimostrata capacità di penetrazione
anche in ambiti elettorali legati alle destre specialmente nel Mezzogiorno. In ogni caso questa vicenda dimostra la
necessità, modificando la legge 352/1970 che la verifica di costituzionalità
dei quesiti avvenga prima e non dopo la raccolta delle firme evitando almeno di
mortificare la volontà espressa, in questo caso, da quasi un milione e 300mila
cittadine e cittadini.
È giusto anche sottoporre a critica il modo con cui
soprattutto le forze politiche sostenitrici del Sì hanno condotto la campagna
elettorale. L’avere messo a un certo punto in primo piano le possibili
conseguenze politiche del voto referendario (tutte peraltro da dimostrare), addirittura
evocando lo sfratto al governo Meloni, ha più che altro nuociuto all’esito della
prova favorendo la chiamata all’astensione. Peraltro questa non è neppure stata
contrastata a dovere, visto che è stata evocata da figure istituzionali le cui
funzioni andrebbero adempiute “con disciplina ed onore” (art. 54 Cost.). Non
solo ma la legislazione ancora vigente, derivante dal Testo unico sulle leggi
elettorali del 1948, la cui validità sul punto specifico è stata ribadita anche
per le campagne referendarie dalla legge 352/1970, ribadisce che atti e parole
che inducono all’astensione, a differenza del comune cittadino, sono
perseguibili con previsione delle pene comminabili.
La Cgil, per bocca del suo segretario generale, ha giustamente
ribadito di essersi mantenuta ben lontana da questo scivolamento dell’asse
tematico e finalistico che di per sé è da considerarsi estraneo alla stessa ratio del confronto referendario. Ma
anche il maggiore sindacato italiano ha delle domande da porsi e delle
riflessioni da fare. La novità, giustamente sottolineata, del ricorso
all’istituto referendario da parte del sindacato in prima persona, è risultata
insufficiente per la rivitalizzazione dell’organizzazione e la sua
trasformazione in un sindacato di strada, un obiettivo per il cui
raggiungimento è ineludibile l’essere sindacato nel senso più pieno e forte
della parola, facendo i conti con le modificazioni intervenute nelle condizioni
e nei rapporti di lavoro. Ma la sconfitta va persino al di là di questi ambiti,
e ci induce a riflettere su l’istituto stesso del referendum abrogativo, cioè
dell’unica forma nella quale si esprime pienamente la democrazia diretta come
previsto dalla Costituzione. Data la direzione che le classi dirigenti hanno
preso - non solo nel nostro paese - di sancire la rottura del rapporto fra
capitalismo e democrazia con rovesciamenti istituzionali che la codifichino, è
decisivo difendere e ampliare la possibilità che i cittadini con un Sì o con un
No producano un effettivo ed immediato cambiamento. È dal 2011, dai referendum
vincenti sull’acqua e sul nucleare (i cui esiti sono stati a lungo boicottati e
che ora le destre cercano di capovolgere) che il quorum non viene raggiunto.
Per di più entro un quadro di astensionismo crescente anche nelle consultazioni
politiche: nelle ultime europee ha votato la minoranza degli aventi diritto.
Il
referendum di giugno ha cozzato contro un muro di silenzio elevato
in nome dell’astensione che è stata contrabbandata come un diritto al pari di
quello del voto. Non lo è. Perché il secondo è un dovere civico. Non vi è da
stupirsi visto che la scelta dell’astensione è stata fatta in passato anche
dalle forze del centrosinistra, e suoi esponenti autorevoli posti in
collocazioni apicali delle istituzioni, come Giorgio Napolitano, avevano
concesso all’astensione l’imprimatur della legittimità. Quindi la recente prova
ribadisce che il principale nemico del referendum abrogativo è l’astensione.
Ovvero il referendum è costretto a una gara impari in partenza, anche perché
alla crescente astensione - che molti definiscono cronica - si aggiunge quella
scelta e organizzata nelle specifiche prove.
Lo riconosceva anche un
organo consultivo del Consiglio d’Europa, la Commissione di Venezia, fin dal
2006, quando scriveva che il rifugiarsi nell’astensione «non è sensato per la
democrazia». Se si vuole salvare il referendum e non assistere immobili al suo
boicottaggio, serve una riforma - necessariamente costituzionale trattandosi di
modificare il 4° comma dell’art. 75 Cost. - dell’istituto referendario che non
può che prendere di mira il ricorso all’astensione. Non penso sia opportuna la
cancellazione totale di ogni quorum, che indebolirebbe proprio la forza di
espressione della sovranità popolare, che è l’anima del referendum e che si
esprime anche attraverso la partecipazione di una consistente massa critica di
cittadini. Né bisogna inventarsi parziali quanto opinabili riduzioni dell’attuale
quorum. Non trovo convincente il cosiddetto “quorum mobile” per cui gli aventi
diritto al voto coinciderebbero con i votanti nelle ultime elezioni politiche,
perché stabilirebbe un nesso assai poco virtuoso fra voto sulla rappresentanza
politica e quello su specifiche questioni dotate di una potenziale
trasversalità, oltre a dare per strutturale l’aumento dell’astensione nelle
votazioni politiche.
Si può invece capovolgere il criterio su cui viene calcolato
il quorum, ricorrendo semplicemente ad una soglia di voti positivi a favore
della proposta referendaria. Il meccanismo è semplice, basta partire
dall’attuale situazione. Secondo l’art.5 Cost “la proposta soggetta a
referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli
aventi diritto al voto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente
espressi.” Bene. Partiamo dal caso limite. Se nella votazione ha partecipato il
50% più uno degli aventi diritto, la soglia di sicurezza per la vittoria del
Sì, cioè della proposta referendaria, è costituita dal superamento della metà
di quel voto, cioè il raggiungimento del 25% più uno degli aventi diritto. Se
si toglie, come propongo, il quorum rappresentato dalla maggioranza della
partecipazione al voto degli aventi diritto, resterebbe quest’ultima soglia,
quella del 25% più uno l’unica da raggiungere e meglio ancora superare, per
dichiarare valida la consultazione e approvata la proposta referendaria. A
questo punto il ricorso all’astensione diventerebbe un puro suicidio perché
anche se raggiungesse il 75% meno uno perderebbe comunque. Quindi il Sì e il No
si troverebbero a fronteggiarsi in aperta e democratica contesa. In questo modo
si tornerebbe a dare valore al referendum abrogativo che i padri costituenti,
dopo non semplice discussione, gli avevano dato: quello della possibilità dei
cittadini di correggere o cancellare direttamente una decisione sbagliata o
ingiusta assunta dal Parlamento, attraverso il voto su una richiesta referendaria,
filtrata attraverso il parere della Corte di cassazione e, preventivamente alla
raccolta delle firme come sarebbe più logico, della Consulta. Si salverebbe
così l’unico strumento di democrazia diretta previsto in Costituzione dallo
strangolamento operato dall’astensione voluta da quelle stesse forze che, in
base ad una maggioranza parlamentare che è tale solo per una legge elettorale
truffaldina, hanno votato quelle leggi.
giovedì 19 giugno 2025
ESCALATION: VA SEMPRE PEGGIO
Il cancelliere Merz, il più idiota dei super-idioti europei, ha almeno il merito di
dire quello che pensa: noi stiamo con Israele non solo per mettere la parola
fine al programma nucleare iraniano, ma per bloccare l’esportazione del
terrorismo da parte di Teheran. Il discorso viene completato e ripulito degli
evidenti equivoci dalla neonazi Kallas che prima si nasconde dietro alla de-escalation
- una parola che serve per confondere le acque e le responsabilità,
ossia per non criticare Israele; la legge internazionale, vedi il
post di El Baradei, già direttore dell’IAEA, va richiamata solo quando serve -
poi, in risposta a una domanda, chiarisce cosa si intende per terrorismo: il
sostegno alla Russia in Ucraina. L’appoggio a Israele contro l’Iran fa dunque
parte della guerra europea alla Russia - indebolendo l’uno si indebolisce
l’altra. Ai super-idioti va almeno riconosciuto di avere delle priorità, e
di perseguirle - detto per inciso, tra queste priorità non ci sono i
palestinesi. Fonte Bloomberg, Merz, lunedì, aveva anche previsto - previsione da
super-idiota - che entro la mezzanotte di ieri Trump avrebbe deciso l’attacco
all’Iran. Un’altra notizia di Bloomberg - una vera bomba - è l’affermazione
dello stesso Trump che le sanzioni danneggiano l’America! Sulla decisione
del presidente americano probabilmente grava ancora l’incertezza, però
possiamo essere certi che al suo posto una Kamala Harris, tanto per
fare un nome, avrebbe già dato il via alle ostilità. In attesa della
conclusione del processo decisionale, vanno notate le prime incertezze
del mainstream. France 24 si chiede: ma qual è il vero
obiettivo di Israele? Il “regime change” a Teheran è realistico? È però il WP a
mettere il dito nella piaga: le difese antiaeree israeliane sono inadeguate,
costose e sufficienti solo per una guerra che non duri più di due settimane.
Sulla stessa linea è Bhadrakumar che cita fonti russe. [Franco Continolo]
Il
Cancelliere Friedrich Merz afferma di aver parlato con il governo degli Stati
Uniti di un possibile intervento militare nella guerra tra Israele e Iran. Ha
anche elogiato i successi dell’esercito israeliano. Secondo il Cancelliere
Friedrich Merz (CDU), il governo degli Stati Uniti sta valutando un intervento
militare nella guerra tra Israele e Iran. “Ne abbiamo discusso, ma ovviamente
non c’è ancora una decisione da parte del governo degli Stati Uniti”, ha
dichiarato Merz a margine del vertice del G7 in Canada, in uno speciale di WELT
Talk con Jan Philipp Burgard, caporedattore del WELT Group. “Ora dipende molto
da quando il regime dei mullah sarà disposto a tornare al tavolo delle trattative.
In caso contrario, potrebbero esserci ulteriori sviluppi. Ma dovremo aspettare
e vedere. Le decisioni saranno probabilmente prese nel prossimo futuro”. Merz
ha anche sottolineato i successi dell’esercito israeliano. Israele ha distrutto
“con grande successo” le strutture del programma nucleare iraniano. Oggi, si
potrebbe probabilmente dire: non ci sono armi nucleari in Iran. Ci sarà ancora “lo
stesso livello di finanziamento e sostegno al terrorismo globale da parte di
questo Paese”. Il regime dei mullah è “molto indebolito” e probabilmente non
tornerà alla sua precedente forza, ha affermato Merz. “Non tornerà a essere com’era
fino a giovedì scorso”. L’esercito israeliano ha dimostrato le sue capacità
negli ultimi giorni. Il futuro dell’Iran è incerto. “Noi europei ci siamo
offerti di fornire tutta l’assistenza diplomatica. Se, ad esempio, ci fosse una
ripresa dei colloqui diplomatici, saremmo pronti a partecipare”, ha affermato
Merz. Nell’intervista, il Cancelliere ha anche contraddetto il Presidente degli
Stati Uniti, che all’inizio del vertice aveva definito un grave errore l’esclusione
del Presidente russo Vladimir Putin dal formato. “Continuo a credere che l’esclusione
di Putin dal formato G8, come si chiamava all’epoca, dopo l’annessione della
Crimea, sia stata corretta”, ha sottolineato Merz. “Non siamo qui seduti in
questo formato con signori della guerra o criminali di guerra. Ed è per questo
che rimane il fatto che Putin non ha posto a questo tavolo”.
(Trad. di Google)
GUERRA E MODERNITÀ
di
Franco Astengo
La
guerra sembra riaffacciarsi sullo scenario geopolitico come una prospettiva
“globale”.
I conflitti in corso in particolare quelli in
Ucraina, Iraq e Siria e lo spostamento d’asse nei principali equilibri
internazionali hanno fatto riprendere consistenza all’ipotesi di un conflitto
generalizzato di dimensioni planetarie che veda di fronte gli Stati Uniti e la
coalizione occidentale (comprensiva del Giappone che, com’è noto
geograficamente, si colloca nell’Estremo Oriente) e la Russia alla quale si sta
accostando la Cina. Si tratterebbe di una deflagrazione a intensità altissima,
quasi insopportabile per l’intera umanità: un rischio da scongiurare
assolutamente ma che appare verosimile perché hanno ormai perso di forza e di
autorevolezza quegli organismi internazionali che durante l’epoca del
bipolarismo” atomico” Usa/Urss (1948-1991) avevano bene o male garantito la
mediazione necessaria e l’insorgere, conclusa anche la fase della sola
superpotenza, di una molteplicità apparente di conflitti dalle diverse
motivazioni (compresa quella dello “scontro di civiltà, tra Occidente e Islam
fondamentalista) della possibilità di una risoluzione del “contenzioso” (in
particolare dal punto di vista degli approvvigionamenti energetici) attraverso
una guerra di tipo generale. Soprattutto però è cambiato il concetto di
“guerra” dal punto di vista della concezione della “modernità” e della
possibilità di giustificare storicamente, e anche dal punto di vista
filosofico, l’evento bellico.
La fase
che stiamo attraversando appare proprio quella del superamento del ruolo degli
USA a disporre da soli dello “ius ad bellum”: in questo periodo la guerra è
rientrata in circolazione come moneta sonante del pagamento dell’azione
politica anche nell’area europea, sia a livelli sub-statuali (quella definita
come “terrorismo”) intrecciati a livelli sovra-statuali (appunto il già citato
“scontro di civiltà”). In questo quadro, contraddistinto proprio dall’unicità
di presenza di una sola superpotenza, quella statunitense e a fronte della già
ricordata palese obsolescenza del sistema di legalità internazionale fondato
sull’ONU, si era ricorsi ad un uso “normalizzante” della guerra: quella
“asimmetrica” contro il cosiddetto terrorismo, quella “umanitaria” che
oltrepassava il principio di non ingerenza; quella “preventiva” che andava
oltre il divieto della guerra d’aggressione, fino alla guerra “per la
democrazia” che si fondava sull’ipotesi che vi fossero nessi cogenti fra la
qualità interna di un ordine politico e la sua propensione alla guerra, e che
in un mondo democratizzato” all’occidentale” le guerre sarebbero state
impossibili. Dal cappello dell’apprendista stregone di questi concetti sono
sorti, non tanto improvvisi, mostri dalle diverse teste: i Talebani in
Afghanistan, il Califfato del Levante e quello della Nigeria, tanto per fare
degli esempi concreti oltre alle nuove dittature islamiche e/o militari in
Egitto, Tunisia, Algeria e il dissolvimento d’intere unità statuali, dall’Iraq
alla Libia dalla Somalia all’Eritrea al Sud Sudan. Sono ormai saltati quei
principi che la teoria e la filosofia politica avevano ricercato per creare le
condizioni e le modalità di una possibile “guerra giusta” (un ideale inseguito
fin dalla prima filosofia cristiana in Agostino e poi nella Scolastica da
Tommaso): limiti dell’ingerenza in difesa dei diritti umani; proporzione degli
atti di guerra rispetto alle offese da riparare; problema della liceità delle
armi di distruzione di massa.
La
scienza politica aveva affrontato, da parte sua, il problema attraverso i
metodi e le categorie dell’idealismo e del realismo, attraverso le nozioni di
equilibrio e di egemonia. Oggi tutta questa impalcatura teorica e ideologica
sembra saltata e siamo alla guerra globale dove è saltata la distinzione fra
guerra e terrorismo, tra civili e militari, fra Stati e gruppi armati
“privati”.
La scena
internazionale appare così percorsa da innumerevoli conflitti di vario livello
e diversa intensità, con base su sfondi apparenti anche diversi da quelli di
tipo economico come quelli religiosi o identitari. Quale migliore occasione
allora per “ripristinare l’ordine” per via bellica da parte di chi intende
affermare un nuovo multipolarismo concepito in modo tale da usarne i meccanismi
per puntare al recupero del bipolarismo presentandosi come il propugnatore di
un diverso equilibrio rispetto a quello imperniato su di una sola superpotenza?
Potrebbe
esser questo il tema all’ordine del giorno nei prossimi mesi, attorno al quale
riflettere soprattutto da parte di chi sa benissimo che non è proprio il caso
di cadere nella trappola dello “scontro di civiltà” e che la logica dominante
rimane quella dello sfruttamento dell’uomo e del pianeta e che in gioco c’è
proprio la libertà di poter disporre a proprio piacimento della facoltà di
sfruttare al massimo dell’intensità senza tener conto della necessità di un
equilibrio riguardante la presenza (ormai a rischio) del genere umano sul
pianeta.
mercoledì 18 giugno 2025
‘FUORI, SUL
MARCIAPIEDE!’
di Associazione di volontariato Idra
Rischio idraulico e informazione nella Regione
Toscana.
‘Meno
rischio in Toscana! Siamo d’accordo!’, spiega il responsabile di Idra al
momento di porgere a chi è in fila nel vestibolo del Teatro della Compagnia un
contributo temerariamente intitolato Nessuna Risposta, né in diretta né in differita, né a voce né per iscritto’.
È lunedì 16 giugno
mattina, via Cavour, appuntamento finale del ‘percorso formativo e di
comunicazione’ sulle politiche di contrasto ai guai idrogeologici intitolato Meno
rischio in Toscana.
‘Ma lei, è dell’evento?’, obietta una ragazza
dell’organizzazione.
‘Certo: sono registrato!’
‘Sì, però non si può distribuire materiale, se non è
quello della Regione!’
‘Ma esistono ancora i cittadini!? niente spazio qui per
le associazioni di volontariato?’
‘È così: non si possono dare i volantini’
‘Questo non è un volantino: è informazione! Questo
contributo voi l’avete ricevuto, a suo tempo, e non avete risposto. Ci
permetterete di farlo sapere a chi interviene, no?’
Subentra un’affabile responsabile di grado superiore.
‘Guardi, le devo chiedere di farlo fuori! Sul
marciapiede!’
Indicazione perentoria. Ma, ammettiamolo, non
inattesa.
‘D’accordo’.
Fuori, sul marciapiede, quella che il cronista
annota è in buona parte una simpatica sfilata di gala. Del resto, oggi sarà giorno di attestati, e premi,
e foto, e celebrazioni. Qualcuno compulsa incerto il magico aggeggio e interpella
l’indiscreto cittadino con quei fogli in mano, scambiandolo per usciere, a sincerarsi
che sia questo il portone giusto.
‘Sì, è qui la festa!’, risponde lui ammiccando e
porgendo una delle centocinquanta copie di pericolose integrazioni informative di
cui è munito. Ma per correttezza aggiunge: ‘Non appartengo al Palazzo, rappresento
l’opposizione!’.
Sgrana un attimo gli occhi.
‘No, non quella al governo della Regione, s’intende!
Quella al Sistema’.
C’è chi afferra, chi meno, ma tutti - tranne uno,
forse un po’ nervoso - accolgono il fronte/retro proposto. Qualcuno chiede addirittura
spiegazioni.
‘Eccole! Sono scritte nelle prime righe. A Firenze
abbiamo un caso-scuola di rischio idraulico gigantesco, concreto e attuale, acclarato
e pervicace, grande come una casa, anzi come una stazione: l’enorme buca TAV che
si scava da anni - senza valutazione di impatto ambientale - in un’area classificata
ad elevato rischio idraulico’.
‘Cioè?’
‘Vede. Quella voragine fra viale Redi, viale Corsiva
e via Circondaria doveva nascere molto più a est, all’incrocio col viale
Belfiore. Ma poi, al momento dell’approvazione in conferenza di servizi, 26 anni
fa, il disegno di quella stazione non piacque: prevedeva la demolizione di
un’architettura razionalista storica. E allora si rifece il progetto, e la
nuova stazione fu approvata nel 2003 accanto al subalveo del torrente Mugnone,
in un’area di esondazione a pericolosità idraulica classificata ‘alta’ nelle
carte dell’Autorità di bacino!’
‘È così!?’
‘Già! Si preferì evitare di riattivare una noiosissima
(!) procedura di valutazione di impatto ambientale e si scolpì nella pietra
delle carte ministeriali questa frase, che tutte le autorità di controllo
accolsero con gioia: “Per quanto riguarda la nuova stazione AV restano
confermate le valutazioni già espresse nella Conferenza dei servizi del 3.3.1999”.
Solo che quelle valutazioni riguardavano un contesto urbanistico e
trasportistico abbastanza differente. E, soprattutto, una fossa programmata a
parecchie centinaia di metri a est del Mugnone, in un’area che l’Autorità di
bacino definisce a pericolosità né alta né media, bensì bassa!’.
‘Se è vero, come si chiama questa, se non
pirateria?’, obietta l’interlocutore.
‘Non esageriamo, nella neolingua si può ben chiamare…
‘democrazia’! La mancata procedura di VIA per la stazione Foster, e di VIA
regionale o di altro tipo per l’adeguamento idraulico di Mugnone e Terzolle, ha
impedito infatti scientificamente alla cittadinanza e alle autorità
tecniche indipendenti l’accesso alla conoscenza dei progetti e l’esercizio del
diritto di proporre osservazioni, correzioni, integrazioni!’
Un’amica ex cronista è lì che ascolta. Il responsabile
di Idra le domanda a bruciapelo: ‘A proposito di bufale, lo sai dove
vanno le terre di scavo delle gallerie della ‘grande opera’?’
‘No: dove?’
‘In discarica!’
‘Ma dài!’
‘Infatti. Nessuno dei ‘grandi
giornali’ lo scrive. Lo abbiamo fatto sapere a tutti i media, in tutte
le salse. Ma loro, zitti! Che mestiere è diventato mai quello dei giornalisti?’
E allora, quando il volontario-non-allineato,
esaurito il proprio compito sul marciapiede, entra in sala per registrare l’esposizione
compiaciuta dei risultati del percorso formativo e di comunicazione intitolato Meno
rischio in Toscana. Nuove soluzioni contro alluvioni e frane’, qualcuno
dovrebbe spiegargli come potrebbe ritenersi credibile e dignitoso quel coro di impegni,
rassicurazioni, plausi, lodi e ringraziamenti di cui si è intessuto l’evento. Vano
è stato chiedere del resto all’ingresso se ci fosse spazio per una breve
comunicazione. ‘Possono parlare soltanto i premiati’, è stato sentenziato. Ma capiterà
mai a Idra di esserlo?
Nessuno, del resto, che abbia osato fare dal palco un
pur lontano riferimento ai contenuti della dettagliata incursione informativa
sul caso più eclatante e concreto di apparente incuria amministrativa sollevato e documentato ‘sul marciapiede’ da
un’associazione che dal 1994 segue, monitora e - all’occorrenza - attesta nelle
competenti sedi giurisdizionali l’avventura non sempre gloriosa delle
cantierizzazioni per Alta Velocità ferroviaria, dal Mugello a Monte Morello, da
Sesto Fiorentino alla città Unesco chiamata Firenze. Anche dal responsabile
della Direzione Difesa del suolo
e Protezione civile della Regione
Toscana, cui sono state affidate le conclusioni dell’evento, né ieri né ieri
l’altro né stamani è arrivato ai cittadini un qualsivoglia riscontro alla richiesta
di colloquio e alle proposte trasmesse per Pec a gennaio da Idra. Cosa
si chiedeva? Semplicemente che il progetto
di bypass del Mugnone lì sotto il fascio ferroviario che origina in Santa Maria
Novella tenga conto di due esigenze
prioritarie che - ad avviso dell’associazione - sarebbe
opportuno soddisfare.
La prima, quella di un’adeguata
rivisitazione del progetto alla luce dei nuovi fattori di rischio sopraggiunti:
si tratta di ricalcolare idraulicamente il dimensionamento dell’intervento, in
relazione ai parametri cui è tenuto ad attenersi (fra questi, il set di dati
pluviometrici, che risultavano (risultano ancora?) fissati un quarto di secolo
fa, prima cioè che si rendessero palpabili i drammatici incrementi di rischio
derivanti dall’accresciuta frequenza e
intensità di fenomeni meteorici estremi.
La seconda, quella della contestuale messa
in sicurezza dell’intera asta del torrente, in termini di cura, manutenzione e
interventi di sistema miranti a restituire - anche attraverso attività
strutturate - equilibrio al territorio collinare, periurbano e urbano: la mera
apertura di un quarto fornice, infatti, potrebbe non bastare a salvaguardare Romito
e stazione AV dal rischio di esondazioni dovute a fango, rami secchi, sabbia e
detriti di risulta provenienti da monte. I recenti episodi di piena del Mugnone,
che ha lambito la base dei ponti su cui transitavano Italo e Freccia Rossa (28
gennaio, 14 marzo), stanno lì drammaticamente a ricordarlo. In ogni caso, giova
aggiungere, quanta informazione è stata fornita ai cittadini che abitano l’area
interessata dall’intervento del bypass, non banale né breve né indolore, in
zona Romito?
LE PAROLE
di
Vinicio Verzieri
Le parole o i termini, i vocaboli,
sono nati senza una data precisa e nemmeno si sa chi sono i creatori. Hanno una
sonorità che dovrebbero accostarsi alla forma della cosa definita o, nel caso
del suono, al verso di un animale o di un rumore. Esse non seguono queste
regole sempre a causa delle diverse lingue, quindi una parola viene scritta o
detta in modo diverso. Gli scrittori vanno alla ricerca di quelle per meglio
esprimersi e dare un valore letterario, per meravigliare e in alcuni casi le
inventa. In altri ambiti tecnici fanno la catena delle derivazioni come dal
greco, poi dal latino e infine all’italiano. Ci sono le appropriazioni da altre
lingue, quelle che imbarbariscono fino a scomparire, possono essere lunghe o
breve, fare commuovere, ridere, riflettere, zittire, entusiasmare, creare
emozioni, fare innamorare e molto altro. Le parole non sono flessibili, eppure
molti le interpretano a piacimento, sono inequivocabili, ma un sì diventa una
negazione e viceversa. A voce si modellano con toni diversi, cambiano volto e
si perdono. Quando scrivo non sempre rincorro un termine giusto, è esso che si
presenta e scivola sul foglio con un seguito che molti dicono sia frutto di un
momento creativo o ispirazione. Ti do la mia parola, ma ci si può
fidare? Non sempre. Nel dormiveglia a volte creo pensieri scaturiti da una parola
insolita e mi dico che non ho la forza di scriverli, lo farò domani, tanto è
facile da ricordare. Invece non sempre ci riesco e mi rimprovero per non
essermi svegliato. Che io sia ignorante è ovvio, non conosco tutte le parole
del dizionario e anche quelle tecniche che non vi sono e nascono di continuo.
Molte parole sono definite erroneamente, altre ambigue, non tutte di una
valenza. Comunque, quelle che vorrei, non ci sono per descrivere quelle
sensazioni emozioni e sentimenti che sono nel mondo delle astrazioni. Il
silenzio a volte è più eloquente e sincero delle parole. Per esprimermi e
comunicare percorro strade parallele con il disegno, la pittura e la scultura. Dove
trovare l’archetipo che descrive l’interiore? Nella bellezza? Nella poesia? Ma
esse sono astrazioni, e allora? Non trovo risposte, solamente interrogativi e
dubbi. In tal caso mi chiedo come possono essere soddisfatti e appagati con
presunzione gli scrittori? Tacere sempre non si può. Allora la vita è legata
alla parola? Come hanno fatto i nostri progenitori e come fanno gli animali, le
piante e le cose a intendersi? Ho letto delle risposte e certamente
contribuisce l’intuito.
martedì 17 giugno 2025
“PERSONE PER
BENE”
di Angelo Gaccione
Questo bambino della foto di chiama Adam, è un palestinese,
l’esercito criminale israeliano (tutti gli eserciti sono criminali perché
ubbidiscono a ordini criminali e non si fanno mai nessuna domanda su chi gli
ordina di andare ad ammazzare alla cieca e perché; soprattutto esseri umani,
esseri vegetali ed esseri animali che non hanno colpa alcuna e che la guerra
sono costretti a subirla, non la vogliono, non la dichiarano) gli ha massacrato
quasi l’intera famiglia. Non ha più il papà, non ha più i tanti fratellini, ed
è vivo per miracolo. Le bombe dell’esercito israeliano lo hanno ridotto come lo
vedete. Non era un terrorista, non voleva la morte dei bambini israeliani e a
questa età non sapeva nulla del perché gli adulti si fanno la guerra, ma
ammazzano i bambini. I bambini non sanno che gli adulti (non tutti, per carità!
Non mi si fraintenda, se fosse così sarebbe meglio che un’epidemia cancellasse
prima possibile tutto il genere umano) sono dei vili: creano contrasti fra loro
ma invece di sfidarsi a duello e risolvere con il loro sangue i problemi che
creano, mandano i soldati ad ammazzare e a farsi ammazzare. Ai giorni nostri i
soldati e le armi ammazzano soprattutto gente innocente che la guerra non la vuole
e non la dichiara. Quelli che la vogliono e la dichiarano è raro che muoiano in
guerra e quasi sempre la fanno franca. A volerla e a dichiararla è un gruppo
limitato di concittadini che eleggiamo con il nostro voto. Li eleggiamo perché
si occupino del buon funzionamento della comunità in cui viviamo, se ne prendano
cura e risolvano, nei limiti del possibile, le difficoltà di tutti noi assolvendo
al loro compito con onestà ed onore. Votandoli non gli abbiamo affidato nessun
mandato per portarci in guerra, ma di stabilire relazioni pacifiche in modo che
la nostra bella patria possa andarne fiera. Io non mi vergogno di usare la
parola patria perché amo la sua lingua e come scrittore non poteva capitarmi
una lingua più bella; amo il suo patrimonio culturale e vorrei fosse preservato
per l’eternità, se davvero l’eternità esistesse.

90 anni, ma non si arrende.
Io ne ho di meno, ma come lei non mi
arrendo.
Molti di coloro che eleggiamo hanno volti rassicuranti, sono
moderati e ben vestiti. Hanno modi delicati e possono vantare buoni studi;
frequentano chiese, sono affettuosi con i figli e spesso hanno in casa animali
di compagnia che trattano bene e nella vita di tutti i giorni, se avete modo di
parlarci, ragionano con il buon senso di ciascuno di noi. Ripeto, sono persone
moderate e mai vi aspettereste che si possano trasformare in criminali. Eppure
la guerra è una brutta bestia e le trasforma. “Sono proprio queste persone
per bene a volere la guerra” ha detto domenica scorsa il mio amico
scrittore Cataldo Russo, durante un incontro di poeti in un bellissimo giardino
della cittadina di Pero. Queste persone per bene le mani di sangue direttamente
non se le sporcano; se ci parlate assieme hanno persino orrore del sangue e se
gli fate notare che le bombe potrebbero uccidere anche i loro figli e i loro
padri, devastare le loro belle case, si affrettano a dirti che loro lavorano
per evitarle le guerre. Così dicono, però usano le loro cariche di ministri e
di governanti per autorizzare l’invio di armi a chi si fa la guerra. In questo
modo la guerra la alimentano invece di farla cessare, e contribuiscono alle
morti e alle distruzioni. Potrebbero usare moderazione e diplomazia, e invece
mandano armi. Queste persone per bene ogni tanto si commuovono: prima però
devono morire tanti bambini, tante mamme, tanti nonni, tanti papà innocenti che
la guerra non la vogliono e non la causano. Per lungo tempo dormono tranquilli
e la loro coscienza di cristiani e di credenti non li turba. Poi, finalmente, hanno
un piccolo sussulto e dopo aver mandato le armi che hanno massacrato senza
colpa alcuna la famiglia di Adam, e reso Adam stesso un orfano e un
sopravvissuto, lo mandano a prelevare e lo portano a Milano per curalo in un
grande ospedale della città. Si fanno anche fotografare mentre attendono che
barella lo cali giù dall’aereo appena atterrato. Ed è una scena commovente,
edificante.

Io ne ho di meno, ma come lei non mi
arrendo.
REFERENDUM: UNA SCONFITTA ANNUNCIATA
di Adam Vaccaro
Perché il PD - Cgil e
annessi - hanno perso questo referendum? Per rispondere occorre però stare fuori
dalla pozzanghera odierna. E porsi tante altre domande nel tempo lungo di
almeno 4 decenni.
1- Perché il PCI a guida Berlinguer tra gli anni ‘70 e ’80 - con
un consenso elettorale intorno al 35%, (34,37% del 1976), e
33,33% (nel 1984), con superamento della DC (al 32,96%), non
riuscì subito dopo la morte di Berlinguer, a
tradurre la forza elettorale in vittoria al Referendum abrogativo del 1985,
della legge del governo Craxi contro la Contingenza, minimo strumento d
protezione dei salari? La coscienza critica del popolo di
sinistra attribuì il risultato deludente (45,68% di sì e 54,32% di no) alla
politica di scelte moderate, avviata con il governo di unità nazionale (1976)
Berlinguer-Andreotti. Politica consociativa di cui beneficiò il neoliberismo
sempre più incisivo su forze politiche e rabbia sociale, disillusa e a caccia
di appigli impropri di speranza, tra cui ricordiamo il processo di Mani pulite
Ma qui il discorso sarebbe ancora più lungo.
2- perché gli eredi (D'Alema e C.), mentre facevano
finta di combattere Berlusca, hanno ignorato il Referendum vincente sui Beni
Comuni (acqua, luce, gas ecc.), realizzando poi entrambi (un colpo al cerchio e
uno alla botte) le stesse politiche di privatizzazioni selvagge, facendo
passare per progressismo il cappio al collo della popolazione, che oggi
sentiamo stringersi con bollette raddoppiate nel giro di un anno- dopo di che I
sapientoni ci dicono sconsolati, è la speculazione! Come fosse un dio cui non
si può opporre nulla!
3- perché agli stessi questi di quest'ultimo
referendum, quando questi capponi 'de sinistra' sono stati al governo, non
hanno messo mano?
4- perché il PD al governo col salvatore della patria,
Supermario Draghi, Landini che invoca ora la rivolta popolare, fece solo 2 h di
sciopero simbolico contro la mazzata sulle pensioni della legge Fornero?
Credo siano queste domande che vanno ben oltre le
patetiche figurine (femminili e maschili di oggi), ossequiosi a progetti di
riarmo degli idioti criminali al comando della giostra di questa UE zerbino USA
e getta, di guerre senza fine con connivenze silenti col genocidio in atto dal
nazi-sionismo.
È questa catastrofe politica che mostra come il Pd (e
code varie) sia non da oggi, un aggregato informe di destra neoliberista, che
ha tra i suoi dettami, per la zattera Italia, libera circolazione dei poveri
affamati del mondo. Una moderna versione di tratta di schiavi, o un continuo
rifornimento dell'esercito di riserva dei lavoratori (come chiamato 200 anni fa
da un visionario come Marx), al fine di incrementare il saggio di profitto. Si
creano le guerre tra poveri che abbiamo sotto gli occhi, che in Italia
producono quei livelli salariali e crescita di poveri, su cui piangono
sconsolati i censori 'de sinistra', incapaci di proporre azioni verticali per
ridurre gli accumuli concentrati di ricchezza che la giostra finanziaria
magicamente produce.
Purtroppo, una vera sinistra con analisi e azioni
adeguate rispetto a questo vittorioso paradiso infernale, non c'è. E allora non
restano che stupide illusorie battaglie perse orizzontali, come polli di Renzo,
contro l'altra destra, che ha buon gioco a raccogliere le delusioni sociali di
coloro che si sentono nauseati e traditi da questa sinistra che una testa
libera e pensante come Moni Ovadia invita a chiamare nuova destra.
Capisco che per i bruchi rimasti fermi a schemi e
memorie del passato morto e sepolto, queste mie chiose siano odiate e
insopportabili. Ma capisco anche l'angoscia e la disperazione se si prende atto
del vuoto, in cui cercare un'alternativa. Inutile farsi illusioni, ci sono fasi
storiche distopiche come questa, che chiedono almeno il coraggio della verità.
Per pensare un Altro e Oltre, serve anche un po' di sarcasmo satirico, che
giustificava già decenni fa il vecchio sfogo popolaresco di Bartali: “l'è tutto
da rifare!”.
CAMPI ELISI
di
Vincenzo Talerico

Gino Meringolo
In
ricordo di Gino, il reichiano.
Il
13 giugno scorso è morto Carmine Meringolo. Noi che frequentavamo i movimenti
libertari e anarchici dalla fine degli anni ’60, a Cosenza e ad Acri, lo
abbiamo conosciuto come Gino; e io lo ritrovai al Circolo Cafiero di Via
Paglietta a Bologna, dove affrontava con interesse gli aspetti “organizzativi”
del movimento, il dibattito su questi aspetti, che erano e sono gli argomenti
sostanziali dello stesso anarchismo, avendo a che fare con l’autogestione delle
lotte che creano la nuova comunità. Lì a Bologna frequentava la facoltà di
chimica industriale e la sua formazione scientifica era evidente nel come
affrontava anche qualunque discorso sociale o politico. Rimasi impressionato
dalle raccolte di “schede perforate” che si portava in borsa assieme a libri di
anarchici e a quelli di Wilhelm Reich. Le prime gli servivano per preparare la
sua tesi di laurea sperimentale, facendo uso del calcolatore elettronico (uno dei
primi e pochi in Italia) che la sua facoltà con parsimonia faceva usare anche
ai laureandi; i libri erano il pane per l’arricchimento della mente, e Gino ne
aveva e ne leggeva tanti. Di Reich, all’epoca, gli piacevano le sue analisi
sulla “funzione dell’orgasmo” e le sue tesi su come la liberazione sessuale
potesse incidere sulla rivoluzione sociale in senso libertario. Erano,
innanzitutto, gli studi sulla psicologia di massa che gli interessavano, quelle
analisi che materializzano nelle dinamiche familiari (patriarcali) e sociali
(stesse strutture autoritarie e militariste in ogni organizzazione) l’ideologia
del fascismo; di quella peste bruna che aveva preso piede nell’Europa
degli anni 20-30, quando Reich la analizzava sul nascere e che in qualche modo
è rimasta tale nonostante le importanti lotte antifasciste.


Wilhelm Reich
Gino
si laurea prima della metà degli anni ’70 e lascia Bologna per tornare in
Calabria a fare il professore di chimica. Ma i suoi interessi principali
rimangono quelli sociali e culturali. Frequenta il gruppo anarchico di Cosenza,
nel quale propone le analisi reichiane. Anzi, in questo periodo Gino
approfondisce anche l’aspetto più terapeutico dello psicanalista “eretico”. E
propone a molti del gruppo anarchico di seguire delle vere e proprie sedute di vegetoterapia,
una tecnica psicoterapeutica con la quale si cerca di agire sui blocchi
energetici che la “corazza caratteriale” crea nel sistema nervoso
vegetativo o viscerale.
Gino
frequenta, nel contempo, altri gruppi reichiani napoletani (a Napoli si
stampava la rivista Quaderni reichiani, dove si svilupparono anche
argomenti di carattere pedagogico, legati all’esperienza dell’Asilo
Libertario creato proprio dal Centro Reich) dove conobbe Federico
Navarro (neuropsichiatra reichiano) e si iscrive ad una scuola di psicoterapia.
Egli stesso “entra in terapia” prima e dopo questa nuova laurea. Quando va in
pensione da professore, inizia a fare lo psicoterapeuta. In quel periodo Gino
ha rappresentato uno dei pochi in Italia che faceva conoscere le teorie reichiane
anche praticandole. Man mano inizia, però, una nuova fase di studi e di
interessi che progressivamente lo allontanano dall’originaria posizione
reichiana e anche da quella anarchica. All’energia “orgonica” (così
coniata da Reich, fondendo i termini di orgasmo e organismo, per
rappresentare l’energia vitale) inizia a sostituire l’idea di spirito,
prima come sinonimo di vita, poi come anima. Così che l’energia propria
di ogni organismo diventa spirito eterno.
A
Reich sostituisce Rudolf Steiner e la sua teosofia. Il suo avvicinamento
ai testi biblici avviene tramite l’interpretazione junghiana degli archetipi,
ma all’analisi del carattere reichiana sostituisce questi archetipi
atemporali (i santi e/o le figure della religione).
Così,
per me, alla lontananza geografica dei luoghi delle nostre vite si accompagna
la lontananza intellettuale. Ciononostante, quando tornavo in Calabria, andavo
sempre a fargli visita; d’estate si ritirava nella casa paterna del Vagno, una
piccola frazione di Acri sulle pendici di Serra di Vuda. Lì lo incontravo e,
mangiando dei frutti o dell’insalata appena raccolti, immancabilmente
discutevamo e, in modo sereno, senza mai alterarsi (era la sua cifra
stilistica), controbatteva alle mie critiche. Il mio anticlericalismo diventava
un’arma spuntata per contrastare i suoi ragionamenti, perché lui mi fermava
subito dicendo che non faceva parte di alcuna chiesa e/o partito; le
argomentazioni atee contro lo spiritualismo venivano ribaltate dal suo discorso
“materialista” secondo cui “l’energia” è parte costitutiva della “materia”.
Quando però le argomentazioni iniziavano ad approfondire la “trascendenza”
delle sue ipotesi, iniziava a non rispondere più in modo diretto, come se
volesse rinviare la discussione e io acconsentivo, nella speranza di riprendere
il ragionamento alla prossima visita. Purtroppo sono passati quattro anni senza
poter riprendere le discussioni e rimpiango di non averlo potuto fare.
