Arriva con il passo pesante
quest’estate, le scarpe chiodate, lo sferragliare dei carri armati, il crepitio
di migliaia di proiettili … (ah, dove il ronzio dei calabroni e delle api
attorno ai fiori?). Solstizio d’estate, momento folgorante del sole. Le
giornate, le più lunghe dell’anno. Non sono soldati quelli che, a Stonehenge,
celebrano l’arrivo di questa stagione, davanti alle pietre erette dagli
antenati neolitici, allineate verso i raggi del sole, quando sorge nell’alba.
S’apre, anche qui, nella mia città, la porta del Dolmen della Chianca e il suo
corridoio, un abbraccio all’astro che s’appresta a regnare sovrano per i prossimi
mesi. Non sono lamenti e grida di feriti, sepolti sotto le macerie delle loro
case, che stridono dai rami degli alberi, ma cicale, che cantano ubriache nelle
sere d’estate, quando il colore dell’ambra di interminabili crepuscoli,
nonostante il caldo, riempiono di vita i viali lungo il mare, le ville
comunali, i vicoli del Centro Storico, e i rossi e le rose e i verdi dei campi
sono ridondanti negli occhi di chi guarda. Quanti sogni, e quanti ricordi, nei
lunghi pomeriggi di siesta, dopo il pranzo, mentre ci assale il sonno
digestivo, e s’assopisce la mente nella penombra di una camera da letto! “E l’estate appoggia le chiome sulle mensole
/ le membra stende tra le luci sparse” (Rocco Scotellaro).
Estati, passate,
dopo cena, seduti al balcone, avvolti in un buio silenzioso, che oggi non c’è
più, perché allora erano lampadine sottopiatti, rivolte verso il basso, e tu
potevi guardare in alto, il cielo, ed enumerare le stelle e riconoscere l’Orsa
Maggiore e l’Orsa Minore e la Stella Polare. E stupirsi, se veloci meteore
attraversavano l’alto, confondendo le loro luci con quelle degli astri (Esprimi un desiderio, diceva mia madre).
No! No, non erano missili o droni, le nuove stelle cadenti che portano morte
sugli uomini, le donne, i bambini, sugli ospedali, sulle scuole. Sì, si
guardava in alto, anche quando le nuvole passavano basse, e s’annunciavano le
battaglie estive, fatte di improvvisi temporali o rovesci di pioggia, e lampi e
tuoni, ma che erano altra cosa dagli accecanti e assordanti boati delle bombe.
Si benediva l’acqua, che cadeva a ristorare la terra assetata delle vigne e dei
campi attorno alle città del nostro Sud, quella stessa acqua che viene, oggi,
negata ai bambini di Gaza: era altra acqua, altra cosa! Poco prima, erano
rientrate le nostre donne, che si erano messe a sedere sulle panche, davanti
alle abitazioni, a raccontare storie di famiglia, salute e lavoro.
Rientravano
in casa quando, da sud, si alzava quel vento che se soffia alza le onde del
mare all’incontrario e le placa: lo scirocco che“dà l’impressione di essere ubriachi”(Antonio Gramsci). Vento che attraversa la nostra campagna, che la
spalanca, e gli uliveti, allora, mostrano l’amore dei contadini pugliesi per la
propria terra e che vedi bene, perché c’è una geometria perfetta, tramandata da
generazione a generazione. Soffia quel vento, ad accarezzare le foglie
appuntite degli ulivi, vecchi eroi che vestono le corazze, piene di cicatrici
rugose, per le lunghe lotte sostenute contro leinsidie del tempo; vecchi eroi
che, sopravvivono a testa alta, nel corso dei secoli agli uomini, quelli di
pace e quelli di guerra, aprendo sempre i loro pugni verdi, con una gioventù
eterna, abbracciata ai rosolacci e alle stoppie bagnate dalla luce della luna.
Estate serena, che si vive ancora oggi in un borgo disperso nelle campagne
attorno alle città di Giovinazzo e Molfetta: il Borgo delle Sette Torri, che si
eleva su una collinetta alta 120 metri sul livello del mare, e da cui si può
vedere il panorama di quelle due città, il mare e il Gargano, lontano. Erano le
nostre case di villeggiatura, ville di campagna, nate findall’Ottocento,
costruite attorno ad una piazzetta deliziosa, che su un lato ha una chiesetta
antica, con campanile a vela e un pergolato che ne protegge l’apertura. Sul
selciato della piazzetta si mettevano ad asciugare al sole le mandorle, dopo
essere state raccolte ancora con il loro mallo verde: un tappeto meraviglioso.
Oggi si aspetta il Ferragosto, il giorno dell’Assunta: ci si riunisce, si
assiste alla Messa, si porta in processione la Madonna con le fiaccole, si
fanno fuochi pirotecnici e si sente qui altro vento, il vento del Sacro. Nelle
ville vicine, ci si incontra con gli amici, che si pensavano perduti:
ritrovati, dopo tanto tempo, si brinda, con il vino primitivo, alla vita e non
alla morte, come altri esseri umani stanno facendo nello stesso momento. La
vita, che capita di vedere, bellissima, quando sulla panchina sotto l’uva,
accanto alla chiesetta, un ragazzo e una ragazza, venuti sul calesse con i loro
genitori, si scambiano i primi baci d’amore. Tracce di una umanità che non deve
perdere l’umanità. E l’estate di San Giovanni: si andava a cogliere noci sulla
strada per Castel del Monte o fra gli uliveti degli amici. Le noci! Offerte da
quei grandi alberi, che pur gravati da cattiva fama, per essere gli alberi
delle streghe, danno un liquore meraviglioso, nero, intenso: il nocino.
Le
nonne lo conservavano, allora, nelle cristalliere, per poi poterlo offrire, in
occasione delle visite di amiche e famigliari, nelle sere d’inverno. Estate di
pace, non di guerra, estate d’amore come quella cantata da William Shakespeare:
Dovrei paragonarti a un giorno d’estate? / Tu sei più amabile e più
tranquillo. / Impetuosi venti scuotono le tenere gemme di Maggio, / e il corso
dell’estate ha fin troppo presto una fine. / Talvolta troppo caldo splende
l’occhio del cielo, / e spesso la sua pelle dorata s’oscura; / e ogni cosa
bella la bellezza talora declina, / spogliata per caso o per il mutevole corso
della natura. / Ma la tua eterna estate non dovrà svanire, / Né perdere la
bellezza che possiedi, / né dovrà la morte farsi vanto che tu vaghi nella sua
ombra, / quando in eterni versi nel tempo tu crescerai, / finché uomini
respireranno o occhi potran vedere, / queste parole vivranno, e daranno vita a
te.