La
guerra sembra riaffacciarsi sullo scenario geopolitico come una prospettiva
“globale”. Iconflitti in corso in particolare quelli in
Ucraina, Iraq e Siria e lo spostamento d’asse nei principali equilibri
internazionali hanno fatto riprendere consistenza all’ipotesi di un conflitto
generalizzato di dimensioni planetarie che veda di fronte gli Stati Uniti e la
coalizione occidentale (comprensiva del Giappone che, com’è noto
geograficamente, si colloca nell’Estremo Oriente) e la Russia alla quale si sta
accostando la Cina. Si tratterebbe di una deflagrazione a intensità altissima,
quasi insopportabile per l’intera umanità: un rischio da scongiurare
assolutamente ma che appare verosimile perché hanno ormai perso di forza e di
autorevolezza quegli organismi internazionali che durante l’epoca del
bipolarismo” atomico” Usa/Urss (1948-1991) avevano bene o male garantito la
mediazione necessaria e l’insorgere, conclusa anche la fase della sola
superpotenza, di una molteplicità apparente di conflitti dalle diverse
motivazioni (compresa quella dello “scontro di civiltà, tra Occidente e Islam
fondamentalista) della possibilità di una risoluzione del “contenzioso” (in
particolare dal punto di vista degli approvvigionamenti energetici) attraverso
una guerra di tipo generale. Soprattutto però è cambiato il concetto di
“guerra” dal punto di vista della concezione della “modernità” e della
possibilità di giustificare storicamente, e anche dal punto di vista
filosofico, l’evento bellico. La fase
che stiamo attraversando appare proprio quella del superamento del ruolo degli
USA a disporre da soli dello “ius ad bellum”: in questo periodo la guerra è
rientrata in circolazione come moneta sonante del pagamento dell’azione
politica anche nell’area europea, sia a livelli sub-statuali (quella definita
come “terrorismo”) intrecciati a livelli sovra-statuali (appunto il già citato
“scontro di civiltà”). In questo quadro, contraddistinto proprio dall’unicità
di presenza di una sola superpotenza, quella statunitense e a fronte della già
ricordata palese obsolescenza del sistema di legalità internazionale fondato
sull’ONU, si era ricorsi ad un uso “normalizzante” della guerra: quella
“asimmetrica” contro il cosiddetto terrorismo, quella “umanitaria” che
oltrepassava il principio di non ingerenza; quella “preventiva” che andava
oltre il divieto della guerra d’aggressione, fino alla guerra “per la
democrazia” che si fondava sull’ipotesi che vi fossero nessi cogenti fra la
qualità interna di un ordine politico e la sua propensione alla guerra, e che
in un mondo democratizzato” all’occidentale” le guerre sarebbero state
impossibili. Dal cappello dell’apprendista stregone di questi concetti sono
sorti, non tanto improvvisi, mostri dalle diverse teste: i Talebani in
Afghanistan, il Califfato del Levante e quello della Nigeria, tanto per fare
degli esempi concreti oltre alle nuove dittature islamiche e/o militari in
Egitto, Tunisia, Algeria e il dissolvimento d’intere unità statuali, dall’Iraq
alla Libia dalla Somalia all’Eritrea al Sud Sudan. Sono ormai saltati quei
principi che la teoria e la filosofia politica avevano ricercato per creare le
condizioni e le modalità di una possibile “guerra giusta” (un ideale inseguito
fin dalla prima filosofia cristiana in Agostino e poi nella Scolastica da
Tommaso): limiti dell’ingerenza in difesa dei diritti umani; proporzione degli
atti di guerra rispetto alle offese da riparare; problema della liceità delle
armi di distruzione di massa.
La
scienza politica aveva affrontato, da parte sua, il problema attraverso i
metodi e le categorie dell’idealismo e del realismo, attraverso le nozioni di
equilibrio e di egemonia. Oggi tutta questa impalcatura teorica e ideologica
sembra saltata e siamo alla guerra globale dove è saltata la distinzione fra
guerra e terrorismo, tra civili e militari, fra Stati e gruppi armati
“privati”. La scena
internazionale appare così percorsa da innumerevoli conflitti di vario livello
e diversa intensità, con base su sfondi apparenti anche diversi da quelli di
tipo economico come quelli religiosi o identitari. Quale migliore occasione
allora per “ripristinare l’ordine” per via bellica da parte di chi intende
affermare un nuovo multipolarismo concepito in modo tale da usarne i meccanismi
per puntare al recupero del bipolarismo presentandosi come il propugnatore di
un diverso equilibrio rispetto a quello imperniato su di una sola superpotenza? Potrebbe
esser questo il tema all’ordine del giorno nei prossimi mesi, attorno al quale
riflettere soprattutto da parte di chi sa benissimo che non è proprio il caso
di cadere nella trappola dello “scontro di civiltà” e che la logica dominante
rimane quella dello sfruttamento dell’uomo e del pianeta e che in gioco c’è
proprio la libertà di poter disporre a proprio piacimento della facoltà di
sfruttare al massimo dell’intensità senza tener conto della necessità di un
equilibrio riguardante la presenza (ormai a rischio) del genere umano sul
pianeta.