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domenica 8 giugno 2025

UN TRENO
di Zaccaria Gallo



Aspetto il treno, e passeggio sul marciapiede, passando tra gente che non conosco, un po’ per cercare di far trascorrere il tempo. Anche sostare nella sala d’aspetto, lo spazio angusto dove si muovono, ridono, siedono, parlano e dormono diversi immigrati, frammenti di culture ancora difficilmente amalgamabili. Io non ho voglia di parlare. Parlano gli altri: tra loro, nei cellulari. Scopro che, quello che ci circonda in questi anni, ha preso a mutare velocemente. Il treno, infine, arriva. Salendo, guardo ancora una volta questa umanità che mi aveva circondato fino a un attimo prima, condividendo l'attesa, ma con un destino diverso e indecifrabile. Due giovani si spostano velocemente, portando una grossa valigia, una ragazza intenta a tirar fuori una bottiglia d’acqua minerale dal distributore, un’altra che si dimena su tacchi altissimi, passando fra una selva di zaini e ragazzi distesi per terra. Ora che il treno è in moto, mi scorre la campagna dal finestrino, immersa in un tempo sospeso, come il tempo del mio passato, un paesaggio interiore cui tendo, e che cerco di raggiungere da sempre. Intorno a me, due giovani parlano a voce alta, una ragazza se ne sta in disparte, spesso lisciandosi i capelli con l’indice e il pollice della mano destra e un uomo, non più giovane, seduto sullo strapuntino, si aggiusta gli occhiali sul naso, e guarda su un quotidiano immagini della periferia del mondo, dove nove bambini muoiono inceneriti da un missile caduto sulla loro casa, mentre stavano giocando. Il mio scompartimento, su questo treno corre. È abitazione forzata, percorsa dal vento dell’orrore.
 
[Scritto mentre ascoltavo le Variazioni Goldberg di J.S. Bach]