UN TRENO
di Zaccaria Gallo
Aspetto
il treno, e passeggio sul marciapiede, passando tra gente che non conosco, un
po’ per cercare di far trascorrere il tempo. Anche sostare nella sala d’aspetto,
lo spazio angusto dove si muovono, ridono, siedono, parlano e dormono diversi
immigrati, frammenti di culture ancora difficilmente amalgamabili. Io non ho
voglia di parlare. Parlano gli altri: tra loro, nei cellulari. Scopro che,
quello che ci circonda in questi anni, ha preso a mutare velocemente. Il treno,
infine, arriva. Salendo, guardo ancora una volta questa umanità che mi aveva
circondato fino a un attimo prima, condividendo l'attesa, ma con un destino
diverso e indecifrabile. Due giovani si spostano velocemente, portando una
grossa valigia, una ragazza intenta a tirar fuori una bottiglia d’acqua
minerale dal distributore, un’altra che si dimena su tacchi altissimi, passando
fra una selva di zaini e ragazzi distesi per terra. Ora che il treno è in moto,
mi scorre la campagna dal finestrino, immersa in un tempo sospeso, come il
tempo del mio passato, un paesaggio interiore cui tendo, e che cerco di
raggiungere da sempre. Intorno a me, due giovani parlano a voce alta, una
ragazza se ne sta in disparte, spesso lisciandosi i capelli con l’indice e il
pollice della mano destra e un uomo, non più giovane, seduto sullo strapuntino,
si aggiusta gli occhiali sul naso, e guarda su un quotidiano immagini della
periferia del mondo, dove nove bambini muoiono inceneriti da un missile caduto
sulla loro casa, mentre stavano giocando. Il mio scompartimento, su questo
treno corre. È abitazione forzata, percorsa dal vento dell’orrore.
[Scritto mentre
ascoltavo le Variazioni Goldberg di J.S. Bach]