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domenica 8 giugno 2025

WAGNER PACIFISTA?
di Gabriele Scaramuzza


 
Qualche strumento di utile riflessione sul tema in oggetto me lo offre il Lohengrin. Da mero inesperto fruitore prendo in considerazione solo le parole del testo. Il terzo atto, verso la fine, vede la crisi della fedeltà tra Lohengrin e Elsa, del loro amore, fondato sulla fiducia nella dimensione “estetica” della vita: nel darsi sensibile delle cose e nei presentimenti in esse vivi. Di qui la richiesta di Lohengrin: “mai devi domandare”. Elsa rompe questo patto perché vuole conferme “intellettive, ragionevoli”, fattuali; non si accontenta di quelle sensibili: vuol sapere il nome, donde venga, dove vada, cosa voglia Lohengrin… - e perde l’amore. Istigata da Ortrud, vero e proprio Jago al femminile, Elsa chiede, non si appaga di quanto la pura presenza di Lohengrin le offre. A crollare è la fiducia nel mondo sensibile - che accomuna sensibilità, sensualità, ed emotività. Questo mondo ha una propria certezza vissuta (le raisons du coeur…), che lo pone al di sopra delle certezze ragionate. Una domanda resta tuttavia sospesa: il privilegiare la verità sensibile è comprensibile nel caso dell’innamoramento, dei rapporti affettivi. Elsa e Lohengrin hanno avuto il presentimento l’uno dell’altra, si sono attesi, senza neppure essersi conosciuti. Elsa lo ha solo sognato, lo ha chiamato in soccorso senza nulla sapere, e Lohengrin è corso in suo aiuto sfidando Telramund (uccidendolo poi alla fine), senza nulla chiedere, senza voler conoscere le sue ragioni, senza indagare. Ma Lohengrin è atteso non solo da Elsa che lo ama, ma anche dal Brabante tutto, come condottiero che lo porterà alla vittoria contro il nemico. Come può fondarsi su un’intuizione inesprimibile, sul divieto di porre domande, su un indiscutibile ma vago presentimento, il fatto che il Brabante (tedesco beninteso) confidi in Lohengrin come suo Führer - nel senso ovviamente di guida, duce: Wagner muore mezzo secolo prima della presa del potere da parte di Hitler. Si fonda sulla segretezza e sul mistero inesprimibile il diritto al potere? 



Le conseguenze politiche sarebbero devastanti. Prefigurano uno stato totalitario, in cui contano obbedienza e fedeltà, sottomissione. Non aveva ogni diritto Elsa di chiedergli? perché l’amore pone per condizione il non sapere, è nemico del dialogo, deluso della ragione? Non è un inganno, e nefando, anche questo? Continuiamo a leggere: “Dove indugia colui che Dio ha inviato / per la gloria, per la grandezza del Brabante?”. Il Re e i suoi seguaci del Brabante lo attendono “con brama di combattere” e, sapendo che li guida, sono “certi della vittoria”; e il nemico sta “nello squallido, desolato Oriente”. Lohengrin si ritrae però, è vero: “Non sono venuto qui come compagno d’armi… / ma come accusatore ora voglio parlarvi”; poi chiarisce raccontando la propria storia: “In lontano paese, che mai potreste raggiungere… Si giustifica, accusa (colpa è avergli chiesto il suo nome, aver preteso che svelasse il suo mistero). Ma promette: “Mai più, verso la Germania… neppur nei più lontani giorni a venire…, / si vedranno marciare vittoriose orde d’Oriente!”. Torna al Graal, ma l’effetto della sua venuta è l’arrivo del vero Führer, Gottfried il Duca di Brabante (fratello di Elsa), che lo porterà alla vittoria. Nel lessico di Wagner ricorrono termini nazionalistico-militaristi: spada, fedeltà, contesa (Giudizio di Dio), sudditanza… Qualcosa stride rispetto al tedesco che amiamo… Certo è da tener presente che le parole vanno viste alla luce di quello che la musica se ne fa, come sempre nel teatro in musica. E decisiva resta la musica; solo essa può verificare ogni ipotesi, diversità o analogie. Ma la musica in nessun caso cancella le parole, né le varie componenti della messa in scena: vive in tensione con esse, ci si accorda o ci reagisce; ne segna in certo modo il destino nel dramma. Cosa dice la musica di Lohengrin, come tratta questa vicenda, intrisa di nazionalismo, di mistero e di violenza, che si affida al carisma di un “duce” che si sottrae a ogni domanda, la punisce anzi?