Qualche
strumento di utile riflessione sul tema in oggetto me lo offre il Lohengrin. Da
mero inesperto fruitore prendo in considerazione solo le parole del testo.Il
terzo atto, verso la fine, vede la crisi della fedeltà tra Lohengrin e Elsa,
del loro amore, fondato sulla fiducia nella dimensione “estetica” della vita:
nel darsi sensibile delle cose e nei presentimenti in esse vivi. Di qui la
richiesta di Lohengrin: “mai devi domandare”. Elsa rompe questo patto perché
vuole conferme “intellettive, ragionevoli”, fattuali; non si accontenta di
quelle sensibili: vuol sapere il nome, donde venga, dove vada, cosa voglia
Lohengrin… - e perde l’amore. Istigata da Ortrud, vero e proprio Jago al
femminile, Elsa chiede, non si appaga di quanto la pura presenza di Lohengrin
le offre. A crollare è la fiducia nel mondo sensibile- che accomuna
sensibilità, sensualità, ed emotività. Questo mondo ha una propria certezza
vissuta (le raisons du coeur…), che lo pone al di sopra delle certezze ragionate. Una
domanda resta tuttavia sospesa: il privilegiare la verità sensibile è
comprensibile nel caso dell’innamoramento, dei rapporti affettivi. Elsa e
Lohengrin hanno avuto il presentimento l’uno dell’altra, si sono attesi, senza
neppure essersi conosciuti. Elsa lo ha solo sognato, lo ha chiamato in soccorso
senza nulla sapere, e Lohengrin è corso in suo aiuto sfidando Telramund
(uccidendolo poi alla fine), senza nulla chiedere, senza voler conoscere le sue
ragioni, senza indagare. Ma Lohengrin è atteso non solo da Elsa che lo
ama, ma anche dal Brabante tutto, come condottiero che lo porterà alla vittoria
contro il nemico. Come può fondarsi su un’intuizione inesprimibile, sul divieto
di porre domande, su un indiscutibile ma vago presentimento, il fatto che il
Brabante (tedesco beninteso) confidi in Lohengrin come suo Führer - nel
senso ovviamente di guida, duce: Wagner muore mezzo secolo prima della presa
del potere da parte di Hitler. Si fonda sulla segretezza e sul mistero
inesprimibile il diritto al potere?
Le conseguenze politiche sarebbero
devastanti. Prefigurano uno stato totalitario, in cui contano obbedienza e
fedeltà, sottomissione. Non aveva ogni diritto Elsa di chiedergli? perché
l’amore pone per condizione il non sapere, è nemico del dialogo, deluso della
ragione? Non è un inganno, e nefando, anche questo? Continuiamo a leggere:
“Dove indugia colui che Dio ha inviato / per la gloria, per la grandezza del
Brabante?”. Il Re e i suoi seguaci del Brabante lo attendono “con brama di
combattere” e, sapendo che li guida, sono “certi della vittoria”; e il nemico
sta “nello squallido, desolato Oriente”. Lohengrin si ritrae però, è vero: “Non
sono venuto qui come compagno d’armi… / ma come accusatore ora voglio
parlarvi”; poi chiarisce raccontando la propria storia: “In lontano paese, che
mai potreste raggiungere… Si giustifica, accusa (colpa è avergli chiesto il suo
nome, aver preteso che svelasse il suo mistero). Ma promette: “Mai più, verso
la Germania… neppur nei più lontani giorni a venire…, / si vedranno marciare
vittoriose orde d’Oriente!”. Torna al Graal, ma l’effetto della sua venuta è
l’arrivo del vero Führer, Gottfried il Duca di Brabante (fratello di
Elsa), che lo porterà alla vittoria. Nel lessico di Wagner ricorrono
termini nazionalistico-militaristi: spada, fedeltà, contesa (Giudizio di Dio),
sudditanza… Qualcosa stride rispetto al tedesco che amiamo… Certo è da tener
presente che le parole vanno viste alla luce di quello che la musica se ne fa,
come sempre nel teatro in musica. E decisiva resta la musica; solo essa
può verificare ogni ipotesi, diversità o analogie. Ma la musica in nessun caso
cancella le parole, né le varie componenti della messa in scena: vive in tensione
con esse, ci si accorda o ci reagisce; ne segna in certo modo il destino nel
dramma. Cosa dice la musica di Lohengrin, come tratta questa vicenda,
intrisa di nazionalismo, di mistero e di violenza, che si affida al carisma di
un “duce” che si sottrae a ogni domanda, la punisce anzi?