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giovedì 3 luglio 2025

ANCORA SUL SOCIALISMO DELLA FINITUDINE
di Franco Astengo


 
Una messa a punto nella destrutturazione del sistema politico italiano.  
 
Ancora una volta mi permetto di rivolgermi ad alcuni esponenti dell’intellettualità e della politica di sinistra in Italia per avanzare una proposta di riflessione sul tema del socialismo della finitudine. Un tema che già avevamo affrontato con il compianto compagno Felice Besostri nell’intento di porre un tema di soggettività che in assieme allora e personalmente oggi ritengo ancora non colmato dalle strutture politiche presenti nel sistema italiano sul versante della sinistra. Se non fosse di eccessiva pretesa rispetto alla qualità della proposta si potrebbe pensare ad incontri di approfondimento chiedendo in questo l’aiuto dei tanti interlocutori molto più preparati che non lo scrivente (il testo che segue sicuramente rappresenta infatti una sintesi superficiale).
 



 
In un quadro di crisi internazionale della quale è difficile ravvisare i precedenti e a tre anni di distanza dell’insediamento di un governo frutto di un evidente spostamento a destra vale forse la pena interrogarsi sullo stato del procedimento in atto ormai da qualche decennio di destrutturazione del sistema politico italiano. Sistema politico italiano nel quale sono avvenuti svariati mutamenti del contesto istituzionale senza mai però addivenire a un completo adeguamento all’imposizione dettata dal presentarsi di quella “Costituzione Materiale” nel senso presidenzialista di cui fu interprete Silvio Berlusconi nel corso della fase di maggioritario/bipolare.
Una fase a suo tempo impostata esclusivamente quale prodotto della trasformazione della formula elettorale voluta semplicisticamente per via referendaria e quindi come espressione di una superficiale “autonomia della politica”.
Dopo la bocciatura popolare del progetto portato avanti dal governo Renzi (2016) anche l’ipotesi di “premierato” ideata dall’attuale maggioranza sta segnando il passo e forse la presidente del consiglio sta aspettando l’occasione favorevole per definire meglio i rapporti di forza attorno alla sua coalizione usufruendo anch’essa dei vantaggi di una accettata “Costituzione Materiale” che le sta comunque conferendo una primazia non prevista dalla nostra Carta fondamentale, ma sancita nella materialità quotidiana dell’esercizio del governo.
In ogni caso andando per ordine.
Nel corso degli ultimi anni si sono verificati fenomeni di vera e propria involuzione nella capacità di espressione di un determinato grado di cultura politica, da parte dei principali attori operanti nel sistema.



Sotto quest’aspetto alcune linee appaiono assolutamente meritevoli di approfondimento:
1) Le influenze internazionali. L’Italia è l’unico paese del mondo occidentale che vede il sistema politico destrutturarsi totalmente con la crisi del ’92-’94 (fenomeno che va ripetendosi ai giorni nostri). Solo nei paesi latino americani (e ovviamente in termini diversi, nell’Europa dell’Est) è avvenuto un processo analogo. Questo fatto colloca le radici della crisi in una storia di lungo periodo del sistema politico e individua negli anni ’70-’80 la conclusione di un ciclo iniziato nel dopoguerra. Allo stesso tempo avvicina (ovviamente solo sotto alcuni aspetti) il sistema politico italiano ad alcuni modelli partitici più fragili e fortemente condizionati dalle linee della Guerra Fredda. Pertanto l'intreccio nazionale/internazionale è un punto di partenza decisivo, anche se solo nel definire la premessa, dello scenario che ha avviato e determinato la crisi italiana.
2) Le influenze dei media. Le caratteristiche della crisi del 1993 sono state assolutamente originali. Nel nostro Paese il peso di forze mediatiche ed economiche è sproporzionato rispetto agli altri Paesi e assegna ruoli decisivi a forze esterne al sistema politico (su questo punto è apparsa notevole” l’intuizione presente nel documento della cosiddetta “Rinascita Nazionale
 elaborato dalla loggia massonica P2 nel 1975). Questo fatto ha implicato una discontinuità con la storia dell’Italia repubblicana ed anche, per alcuni aspetti, della stessa storia dell’Italia liberale. Sono state capovolte gerarchie tradizionali nel rapporto tra sistema politico e forze sociali. Alcuni di questi soggetti sono diventati protagonisti assumendo la leadership o comunque condizionando partiti e coalizioni.

3) Nella fase stretta tra “Tangentopoli” e trattato di Maastricht era intervenuta una fase di passaggio: non trovandoci più  dentro alla classica contrattazione di tangenti tra sistema politico e sistema economico, ma alla rappresentazione diretta del sistema economico nella politica: insomma, la politica viene “usata” direttamente, senza intermediazioni, per “fare affari” come ben dimostra, al massimo livello, la presidenza USA.



Sotto quest’aspetto chi si era permesso di dichiarare che economia produttiva ed economia finanziaria, al giorno d’oggi, si equivalgono nel giudizio di valore, non ha avuto ben presente la gravità e il peso delle parole che stava pronunciando.
Su questa basi si è nel frattempo aperto un vero e proprio “fronte” di decostituzionalizzazione del nostro sistema politico.
Da tempo (fin dall’era dei governi “tecnici” da Monti a Draghi) si sta assistendo, in Italia, alla costruzione di un regime illiberale di tipo nuovo, senza precedenti né confronti nella storia, che è il frutto di molteplici fattori di svuotamento della rappresentanza politica.
Il fattore principale che ha generato lo stato di cose in atto è rappresentato dalla verticalizzazione e personalizzazione della rappresentanza.
Il fenomeno è presente in molte altre democrazie, nelle quali la rappresentanza si è venuta sempre più identificando nella persona del Capo dello Stato o del governo e si sono indeboliti o esautorati i Parlamenti.
Nel nostro caso però siamo di fronte ad una forte accelerazione verso il compimento di un passaggio verso quella che è stata definita “democrazia recitativa
 allinterno della quale la destra  ha operato proprio nel senso appena indicato della già definita “decostituzionalizzazione” del sistema.



Marx ha dedicato pagine memorabili a descrivere la potenza rivoluzionaria e modernizzatrice del capitalismo e come questo avesse travolto le società precedenti, rivelandosi il più grandioso sistema di mobilitazione della ricchezza del mondo sviluppato: oggi ci accorgiamo della forza di questo rinnovamento capitalistico capace di imporre egemonia rivoluzionando la relazione tra struttura e sovrastruttura.
Compreso questo punto dalla “nostra” parte serve mettere in moto un meccanismo nuovo che punti a costruire una soggettività politica a partire dal basso, dalle presenze territoriali (senza nessuna concessione, però ai movimentismi che hanno caratterizzato, in senso deteriore, il primo decennio del nuovo secolo).
Oggi il ritorno della guerra come prospettiva globale, il riferimento a innovazioni tecnologiche in grado di mutare il quadro di riferimento sociale, l'emergere di tensioni “dittatoriali” sconvolgono l’assetto consolidato in un momento in cui si stava attraversando una forte difficoltà per quell’accelerazione nei meccanismi di scambio che abbiamo definito come “globalizzazione” con l’ingresso nel novero delle grandi potenze di nuovi attori politici portatori di diversi sistemi di governo della politica e dell’economia.
Nasce da queste valutazioni la proposta di “Socialismo della Finitudine” di vero e proprio mutamento di paradigma attuato da sinistra che da qualche anno stiamo cercando faticosamente di portare avanti e di cui l’acquisizione del “senso del limite” si deve collegare alla ricerca dell’uguaglianza offrendo spazi diversi di libertà in un modello di società che potremmo definire “sobrio”. È urgente rinnovare un tentativo per affrontare questo tema partendo da un punto fermo: l’inevitabilità di ricostruire una coscienza e una volontà politica. La coscienza della propria appartenenza e la volontà politica di determinare il cambiamento rimangono fattori insuperabili e necessari come motore di qualsivoglia iniziativa della trasformazione dello stato presente delle cose. Attenzione però lo stato presente delle cose va cambiato sia nel senso della condizione oggettiva della nostra esistenza sia in quello dell’assunzione di una consapevolezza soggettiva del vivere con gli altri. Da questa consapevolezza tra individuale e collettivo “si realizza la vita d’insieme che è solo la forza sociale”, si crea il “blocco storico” (Gramsci: Quaderno 11).