Il miraggio italiano: una politica del
tutto autonoma. Oggi, dopo
il servilismo dimostrato in oltre ottant’anni di tutti i politici
italiani del dopoguerra (e segnatamente dai democristiani alla Romano Prodi, ai
post-comunisti tipo Giorgio Napolitano ed ai neofascisti del modello
di Giorgia Meloni) nei confronti degli Stati Uniti d’America
(Democratici o Repubblicani che fossero i loro Presidenti), dopo il
naufragio di un’Unione Europea finita in mano a burocrati di terz’ordine,
lontani mille miglia da ogni utile scelta politica per l’Europa, dopo lo
scivolone collettivo del governo italiano in carica e di quelli
europei sulla decisione di entrare (stupidamente) in guerra
contro la Russia senza neppure avvertire i quidam de populodestinatari eventuali di missili e bombe
di rappresaglia o ritorsione,dopotutto ciò e altro
ancora, la comparsa in Italia di una classe di governo del Paese capace di un
pensiero autonomo, volto al perseguimento degli interessi nazionali
per un recupero accettabile di credibilità economica e politica pur
nelle disastrose condizioni date, può essere solo l’effetto di un miraggio
ottico reso possibile dal deserto di raziocinio e di pensiero
libero che gli abitanti dello Stivale sono “riusciti” a
fare sorgere nel luogo oltre che più bello e ridente del Mediterraneo (e, con
buona probabilità, del mondo) anche più ricco, storicamente, di
geni universalmente riconosciuti.Leader politici di cultura, che in alternativa è: a) periferica
urbana, o b) presuntuosamente contradaiola, o c) più
sempliciotta e meramente contadina, sono sempre influenzati e ossequienti
dagli e per gli antichi legami di sottomissione nazionale, a capi-popolo
stranieri di Paesi, come Francia, Inghilterra, Germania, “volenterosi
moschettieri di ogni guerra” e limitano il loro ruolo immaginativo allo
scimmiottamento di moduli e schemi altrui, soprattutto se bellicisti. Nessuno valuta in costi e benefici l’esempio di un Paese
neutrale e pacifico come la confinante Svizzera, perché nell’immaginario
collettivo italico Guglielmo Tell non è paragonabile a Napoleone
Bonaparte.E così la nostra Italia,
decaduta da gentil donna antico-romana, nobile e altera a
bigotta parrocchiana di campagna che racconta ai nipotini i
racconti dei cammellieri mediorientali immigrati da deserti aridi e
da terre brulle; resa “incerta” nei suoi tanti staterelli in cui è stata divisa
circa l’ossequio dovuto alle varie diramazioni parentali delle maggiori potenze
europee; divenuta, per gratitudine per così dire “unitaria” e per un certo
tempo, serva di Francia e Inghilterra (per i contributi
risorgimentali ricevuti in odio all’impero austro ungarico
considerato da quelle due potenze da demolire in Europa,
combattendolo nel “Bel Paese”); frastornata nel Novecento dalle
lusinghe circa un utopico futuro migliore da imbonitori di mestiere (sedicenti,
senza alcun vero e reale senso, di destra o di sinistra) si trova ad
essere oggi più che mai “nave senza nocchiero in gran tempesta”, più donna da
bordello (europeo) che prostituta autonoma di provincia (nostrana).