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domenica 6 luglio 2025

LETTERE DAL SUD
di Zaccaria Gallo e Anna Rutigliano




Prodigi a Metaponto 

Caro Direttore,
quando giorni fa, Anna, la nostra cara collaboratrice, mi ha detto che sarebbe andata ad accompagnare la sua piccola Dedè a Metaponto, improvviso s’è acceso un ricordo, che giaceva sepolto nella mia memoria. Tanti e tanti anni fa, ero dirigente medico presso l’Ospedale Civile di Stigliano, paese della provincia di Matera, situato a oltre 900 metri sul livello del mare; paese, che conservava ancora le tracce del famoso brigante Carmine Crocco e dei tanti oppositori del regime fascista lì confinati. Sapevo che Stigliano era stata fondata dai Lucani ma, in seguito, passata sotto i greci di Metaponto; così, una domenica di luglio, decisi di scendere verso il mare, per andare a visitare l'area archeologica di Metaponto, che si trovava lì a pochi metri dalla riva, e soprattutto i resti del tempio-santuario, conosciuto anche con il nome di Tavole Palatine, dedicato a Hera, la figlia di Kronos e moglie di Zeus, simbolo di fedeltà, di castità matrimoniale, protettrice della vita del cielo atmosferico e delle donne durante il parto. Mi aggirai, affascinato, attorno a quelle colonne doriche, che sotto un cielo azzurrissimo, nel profumo dello Ionio vicino, delle siepi di mirto e degli eucalipti, si guardavano da millenni, di fronte, cinque da un lato e dieci dall’altro lato, resti delle trentadue, che erano all’origine, e percepii che dialogavano fra di loro.



Ricordavano che qui, Pitagora visse per oltre venti anni, e insegnò scienza, filosofia, etica e visione dell’essenza umana, passeggiando, con gli studenti della sua scuola (e delle scuole di Taras e Kroton), spesso appoggiando una mano sulla pietra calcarea di cui queste colonne sono fatte. Lo feci anche io, e sentii vibrare la concezione sacra e il pensiero degli Achei, che nel 773 avanti Cristo avevano fondata Metapontion. Non a caso ho usato la parola “sacro”, perché ad altra sacralità questo luogo è collegato, e questo altro, nella profondità di me stesso, mi aveva spinto fortemente ad arrivare e anche a fermarmi fino a sera, sperando di poter vedere il “prodigio” al quale, certamente, avevano assistito i fondatori achei. Chi è stato in Basilicata sa che due sono i fiumi importanti che scorrono nella regione: il Basento, il fiume più grande, di maggiore portata, e il Bradano, che appare spesso come un piccolo fiume che si nasconde fra le canne e le siepi e si riduce a un piccolo rigagnolo durante le stagioni estive. Ebbene, gli Achei che abitavano nelle regioni settentrionali del Peloponneso arrivarono per via mare alla foce proprio del fiume Bradano, dove costruirono un porto, attorno al quale cominciarono poi a costruire la polis e a bonificare il terreno paludoso, rendendolo fertile e, per farlo, costruirono anche delle ville rustiche e attorno a queste ville rustiche i primi santuari, tra cui questo santuario di una grandezza che gli abitanti del posto non avevano mai visto prima. Il Bradano! Fiume sacro, perché abitato dalle figlie del Dio Fiume, figlie di Zeus, ninfe che presiedono alle acque dolci, benefiche divinità della salute: le Naiadi. Ninfe leggiadre e delicate, personaggi famigliari nell’immaginazione dei Greci, perché, per loro, ogni corso d’acqua aveva almeno una Naiade che associava il suo nome a quello del fiume. Quel giorno, quella sera, che era anche illuminata da una grande luna piena, anche lei proveniente dalle sponde della Grecia, ho sognato di poter assistere al “prodigio”. Tutte le acque del mondo nella visione ellenica erano una unica entità, che anche se apparentemente divise da pianure, montagne o colline, comunque comunicavano fra loro, attraverso gli inesplorati grandi spazi delle caverne sotterranee. Si narra, allora, che di tanto in tanto, accanto al Tempio di Hera, alle Tavole Palatine, si incontrassero le Naiadi del Bradano e la ninfa Aretusa, la ninfa della sorgente, capace di attraversare il mare Ionio seguendo le correnti sotterranee, per andare ad abbracciare le sorelle Naiadi del Bradano. Purtroppo nonostante l’attesa, non riuscii ad assistere al prodigio. Chissà se è capitato ad Anna, caro Direttore e se sì, vorrà dircelo.



 
Caro Direttore,
la scorsa settimana mi sono recata in terra metapontina per accompagnare mia figlia Dedè per la sua prima esperienza, lontana poco più di un centinaio di chilometri dalla mia città pugliese, per un campo estivo di basket, in quanto ne è molto appassionata. Sul tragitto del ritorno, l’indicazione stradale, “Parco archeologico”, richiamava la mia attenzione, ricordandomi di alcuni racconti del nostro amico e scrittore Zaccaria Gallo, in merito alle Tavole Palatine, di cui ne ignoravo l’esistenza. Sfidando il caldo torrido di quel pomeriggio e assecondando la mia curiosità, con la mia famiglia, ci siamo recati al parco. Se dovessi rispondere in merito al prodigio, credo che il miracolo si siacompiuto: non è forse un prodigio, il fatto che dopo secoli di usura dal tempo e dalle intemperie, le Tavole Palatine, meglio note come il Tempio di Hera, siano la testimonianza tangibile e superstite della memoria individuale e collettiva di popoli e culture che si sono contagiati a vicenda? Improvvisandomi un po’ archeologa e un po’ fotografa non professionista, anch’io come Zaccaria, ho toccato il mazzaro, la pietra calcarea di cui son costituite le colonne del Tempio, ne ho sentito l’odore, ho potuto ammirare e contemplare la perfetta geometria dei capitelli in stile dorico, sentendomi parte di quel silenzio sacro e misterioso. 



Con un po’ di immaginazione, mi sono figurata il filosofo greco Pitagora, che trascorse l’ultimo ventennio della sua vita nella colonia ellenica di Metapontion, intento ad impartire agli abitanti metapontini le sue teorie matematiche e filosofiche, grazie al suo instancabile desiderio di conoscenza, di cui lo stesso Cicerone ne attesta l’importanza nell’opera De finibus bonorum et malorum: “Quid de Pytagora? Quid de Platone aut Democrito loquar? A quibus porpter discendi cupiditatem videmus ultimas terras ess peregratas. Quae qui non vident, nihil umquam magnum ac cognition dignum amaverunt” (E che dire di Pitagora? Che di Platone o di Democrito? Vediamo che essi per desiderio di imparare viaggiarono nelle più remote terre. Chi non vede queste cose non ha mai amato nulla di grande e degno di conoscenza). Quel 29 giugno scorso, eravamo appena quattro visitatori; sarebbe altrettanto prodigioso se il numero di curiosi aumentasse, non solo in terra di Metaponto.