LETTERE DAL SUD di Zaccaria Gallo e Anna Rutigliano
Prodigi a Metaponto
Caro Direttore, quando giorni fa, Anna, la nostra cara collaboratrice, mi ha
detto che sarebbe andata ad accompagnare la sua piccola Dedè a Metaponto,
improvviso s’è acceso un ricordo, che giaceva sepolto nella mia memoria. Tanti
e tanti anni fa, ero dirigente medico presso l’Ospedale Civile di Stigliano,
paese della provincia di Matera, situato a oltre 900 metri sul livello del mare;
paese, che conservava ancora le tracce del famoso brigante Carmine Crocco e dei
tanti oppositori del regime fascista lì confinati. Sapevo che Stigliano era
stata fondata dai Lucani ma, in seguito, passata sotto i greci di Metaponto;
così, una domenica di luglio, decisi di scendere verso il mare, per andare a
visitare l'area archeologica di Metaponto, che si trovava lì a pochi metri
dalla riva, e soprattutto i resti del tempio-santuario, conosciuto anche con il
nome di Tavole Palatine, dedicato a Hera, la figlia di Kronos e moglie di Zeus,
simbolo di fedeltà, di castità matrimoniale, protettrice della vita del cielo
atmosferico e delle donne durante il parto.Mi aggirai, affascinato, attorno
a quelle colonne doriche, che sotto un cielo azzurrissimo, nel profumo dello
Ionio vicino, delle siepi di mirto e degli eucalipti, si guardavano da millenni,
di fronte, cinque da un lato e dieci dall’altro lato, resti delle trentadue,
che erano all’origine, e percepii che dialogavano fra di loro.
Ricordavano che
qui, Pitagora visse per oltre venti anni, e insegnò scienza, filosofia, etica e
visione dell’essenza umana, passeggiando, con gli studenti della sua scuola (e
delle scuole di Taras e Kroton), spesso appoggiando una mano sulla pietra
calcarea di cui queste colonne sono fatte. Lo feci anche io, e sentii vibrare
la concezione sacra e il pensiero degli Achei, che nel 773 avanti Cristo
avevano fondata Metapontion. Non a caso ho usato la parola “sacro”, perché ad
altra sacralità questo luogo è collegato, e questo altro, nella profondità di
me stesso, mi aveva spinto fortemente ad arrivare e anche a fermarmi fino a
sera, sperando di poter vedere il “prodigio” al quale, certamente, avevano
assistito i fondatori achei. Chi è stato in Basilicata sa che due sono i fiumi
importanti che scorrono nella regione: il Basento, il fiume più grande, di maggiore
portata, e il Bradano, che appare spesso come un piccolo fiume che si nasconde
fra le canne e le siepi e si riduce a un piccolo rigagnolo durante le stagioni
estive. Ebbene, gli Achei che abitavano nelle regioni settentrionali del Peloponneso
arrivarono per via mare alla foce proprio del fiume Bradano, dove costruirono
un porto, attorno al quale cominciarono poi a costruire la polis e a bonificare
il terreno paludoso, rendendolo fertile e, per farlo, costruirono anche delle
ville rustiche e attorno a queste ville rustiche i primi santuari, tra cui questo
santuario di una grandezza che gli abitanti del posto non avevano mai visto
prima. Il Bradano!Fiume sacro, perché abitato dalle figlie del Dio Fiume,
figlie di Zeus, ninfe che presiedono alle acque dolci, benefiche divinità della
salute: le Naiadi. Ninfe leggiadre e delicate, personaggi famigliari nell’immaginazione
dei Greci, perché, per loro, ogni corso d’acqua aveva almeno una Naiade che
associava il suo nome a quello del fiume. Quel giorno, quella sera, che era
anche illuminata da una grande luna piena, anche lei proveniente dalle sponde
della Grecia, ho sognato di poter assistere al “prodigio”. Tutte le acque del
mondo nella visione ellenica erano una unica entità, che anche se
apparentemente divise da pianure, montagne o colline, comunque comunicavano fra
loro, attraverso gli inesplorati grandi spazi delle caverne sotterranee. Si
narra, allora, che di tanto in tanto, accanto al Tempio di Hera, alle Tavole
Palatine, si incontrassero le Naiadi del Bradano e la ninfa Aretusa, la ninfa
della sorgente, capace di attraversare il mare Ionio seguendo le correnti
sotterranee, per andare ad abbracciare le sorelle Naiadi del Bradano. Purtroppo
nonostante l’attesa, non riuscii ad assistere al prodigio. Chissà se è capitato
ad Anna, caro Direttore e se sì, vorrà dircelo.
Caro Direttore, la scorsa settimana mi sono recata in terra metapontina per
accompagnare mia figlia Dedè per la sua prima esperienza, lontana poco più di
un centinaio di chilometri dalla mia città pugliese, per un campo estivo di
basket, in quanto ne è molto appassionata. Sul tragitto del ritorno,
l’indicazione stradale, “Parco archeologico”, richiamava la mia attenzione,
ricordandomi di alcuni racconti del nostro amico e scrittore Zaccaria Gallo, in
merito alle Tavole Palatine, di cui ne ignoravo l’esistenza. Sfidando il
caldo torrido di quel pomeriggio e assecondando la mia curiosità, con la mia
famiglia, ci siamo recati al parco. Se dovessi rispondere in merito al
prodigio, credo che il miracolo si siacompiuto: non è forse un prodigio, il
fatto che dopo secoli di usura dal tempo e dalle intemperie, le Tavole
Palatine, meglio note come il Tempio di Hera, siano la testimonianza
tangibile e superstite della memoria individuale e collettiva di popoli e
culture che si sono contagiati a vicenda? Improvvisandomi un po’ archeologa e
un po’ fotografa non professionista, anch’io come Zaccaria, ho toccato il
mazzaro, la pietra calcarea di cui son costituite le colonne del Tempio, ne ho
sentito l’odore, ho potuto ammirare e contemplare la perfetta geometria dei
capitelli in stile dorico, sentendomi parte di quel silenzio sacro e
misterioso.
Con un po’ di immaginazione, mi sono figurata il filosofo greco
Pitagora, che trascorse l’ultimo ventennio della sua vita nella colonia
ellenica di Metapontion, intento ad impartire agli abitanti metapontini
le sue teorie matematiche e filosofiche, grazie al suo instancabile desiderio
di conoscenza, di cui lo stesso Cicerone ne attesta l’importanza nell’opera De
finibusbonorum et malorum: “Quid de Pytagora? Quid de Platone aut
Democrito loquar? A quibus porpter discendi cupiditatem videmus ultimas terras
ess peregratas. Quae qui non vident, nihil umquam magnum ac cognition dignum
amaverunt” (E che dire di Pitagora? Che di Platone o di Democrito? Vediamo
che essi per desiderio di imparare viaggiarono nelle più remote terre. Chi non
vede queste cose non ha mai amato nulla di grande e degno di conoscenza).
Quel 29 giugno scorso, eravamo appena quattro visitatori; sarebbe altrettanto
prodigioso se il numero di curiosi aumentasse, non solo in terra di
Metaponto.