“Mai
più soli” Caro Direttore, l’ultima lettera dal Sud, che è stata inviata a “Odissea”,
mercoledì scorso, a firma di Anna Rutigliano: In memoria di Bruno e di tutti gli amici-eroi a quattro zampe,
oltre a generare commozione, per il contenuto della stessa lettera e rabbia per
quello che, attraverso la lettera dobbiamo constatare in merito al
comportamento degli esseri umani nei confronti degli animali domestici, mi ha
fatto provare un senso di gratitudine per chi (come fa la nostra Anna, e con
lei tanti altri) si impegna, durate le proprie ore libere, a soccorrere questi
angeli a quattro zampe. Sì, non potremo mai ringraziare abbastanza l’Associazione a Quattro Zampe di Corato
e le altre associazioni che ci sono nel nostro territorio (quella di Bisceglie I Figli di Nessuno), che si occupano di
queste povere anime abbandonate. Ecco: la lettura di questa lettera ha subito
riportato alla mia mente il tema dell’abbandono, che è un tema dolorosissimo e
che riguarda gli esseri umani, innanzitutto, e poi tutti gli altri esseri
viventi, che con gli stessi condividono la loro esistenza. Nei miei
trentacinque anni di professione medica, mi sono dovuto confrontare moltissime
volte con l’abbandono, quello di alcuni malati anziani, spesso in condizioni
terminali, da parte di familiari, nei letti di un ospedale. Quelle vecchie
persone, quelle vecchie anime, le ho viste lasciare andare, in uno stato di completo
abbandono, verso la loro fine, con una solitudine che non era paura di essere
soli, ma quella di restare soli di fronte al dolore. C’è qualcosa di non sacro
e terribile nella storia di chi ha bisogno di aiuto e viene abbandonato. Mi
sono sempre chiesto chi può guarire le ferite inferte a un essere umano, quando
viene abbandonato alla solitudine, alla povertà, alla dimenticanza e,
scusatemi, una madre, un padre, anche se ospitato nei migliori ospizi o case di
riposo, soffriranno sempre di quella condizione di solitudine alla quale
vengono lasciati dai propri figli, e allora è facile, guardandoli, percepire il
loro sussurro: “Non mi abbandonare”. Ma, torniamo a Bruno e ai suoi amici.
Rosita abbandonata
Venerdì 25 aprile 2025, appena qualche mese fa, la campagna che circonda
Bisceglie, soprattutto verso il Dolmen della Chianca (le antiche pietre
neolitiche, che sono conservate nel territorio di questa città), era nel
massimo dello splendore di una tarda e matura primavera: i prati verdi, appena
ancora bagnati dalla brina notturna, erano praticamente coperti da papaveri e
da calendule e piccole margherite. Un vero trionfo di colori e di bellezza.
L’area antistante al Dolmen, è un’area grossolanamente quadrangolare, una
specie di piazzetta, per consentire ai visitatori di poter parcheggiare le loro
auto. C’è un basso muretto tutt’attorno, dove ci si può sedere, sotto gli ulivi
e godere anche del venticello che, spesso nelle prime ore del mattino, spira da
quelle parti. E ascoltare anche il silenzio, che accompagna da secoli quelle
pietre. Quella mattina, del 25 di giugno scorso, decisi di andare a passeggiare
in quel luogo, salutare quelle pietre e i grandi ulivi, che spesso bacio e
abbraccio, non visto. Quel mattino, dunque, parcheggio la macchina, come ho
sempre fatto nella piazzetta e, appena esco, nell’intradosso che si trova fra
il muretto basso e il selciato, intravedo una forma abbastanza grande che, a
prima vista, sembra un tappeto fatto di stoffa sporca e disordinata… ma non è
un tappeto, perché appena mi avvicino, vedo due occhi che mi guardano da sotto
in su.
Lo hanno abbandonato, probabilmente la sera precedente, senza acqua, con
accanto una busta contenente della pasta con lenticchie, che non avrebbe mai
potuto aprire né mangiare, e quel cane, perché è un cane, e bellissimo, mi
guarda con degli occhi profondi, tristi, desiderosi quasi di avere una risposta
alla domanda: perché? Perché
abbandonarlo alla morte? Guarda proprio me quel cane. Non ha un nome, quel
giorno. L’avrebbe avuto nei giorni successivi, perché da quello sguardo così
intenso, dolcissimo e dolorosissimo, ho capito che era un essere vivente, che
doveva essere aiutato, come ho aiutato tanti nella mia professione. Non doveva
morire! Sono tornato a casa, ho portato diversi litri d’acqua: la povera bestia
era completamente disidrata e, nel frattempo, mi sono attivato. Ho chiamato i
volontari che fanno parte della Associazione I Figli di Nessuno. Sono venuti,
l’abbiamo caricato nella mia macchina e portato subito dal veterinario, che
l’ha subito visitata, sì perché ci ha detto che era di sesso femminile, l’ha
messa sotto terapia intensiva e reidratata e oggi, Rosita, perché così l’hanno
voluta chiamare, è un bellissimo esemplare di cane che continua ad avere quegli
occhi, perché, quando ti guarda, proprio con quegli occhi ha tante cose da raccontare
non solo di sé, ma di come vede l’umanità che la circonda. È una delle tante
storie che conosciamo, una delle tante storie, nelle quali molti continuano ad
aggiungere pagine di orrori, violenze e sofferenze. Ogni anno, migliaia di
cani, gatti, vengono adottati, viene permesso loro di iniziare a vivere in una
famiglia, in una comunità; poi, però, quando arrivano le vacanze della famiglia
che li ospita, o altre incombenze della comunità, la soluzione per andare in
vacanza, o non avere molti fastidi, è quella di abbandonarli, di negare loro
quello che hanno dato, dimenticando che anche loro hanno un cuore.
Randagi ad Acri
Vengono
sbattuti sulle strade, soli, con gli occhi spenti, con un corpo che, spesso, è
un mucchio di ossa, ma con un cuore, che continua sempre a sperare, a credere
che è impossibile che chi lo aveva adottato e l’aveva amato, fino a poco tempo
prima, abbia potuto lasciarlo. Nei loro occhi si può leggere anche la speranza
del ritorno. Un ritorno che, per moltissimi, non ci sarà mai; qualche volta, i
nostri angeli a quattro zampe cercano di trovare la strada per tornare, e non
ce la fanno, cadono, si rialzano. Vogliono rivedere chi li ha lasciati, ma
senza rabbia, non per vendicarsi, perché loro non conoscono l’odio, ma per
tornare ad amare. Quegli occhi, Anna e i volontari li guardano spesso, anche
dietro le sbarre di un canile, dove quei dolci ospiti devono aspettare, giorni
e notti, con qualsiasi tempo, che qualcuno si ricordi di loro e ritenga che sia
giusto dare loro una nuova speranza di vita, di non avere più sogni morti e
vita infelice. Noi li lasciamo soli! Noi lasciamo soli quelli che danno molto
amore e che hanno bisogno di tanto amore. Ecco, credo che alla fine di questa
mia lettera, possa poter concludere soltanto dicendo: “Guardate un cane negli
occhi e, quando lo guardate, provate ad affermare che non possiede un’anima.
Nel caso in cui non ci riusciate, dubitate della vostra anima”.