Pagine

sabato 6 settembre 2025

FUORI DAL CORO
di Sergio Azzolari



Armani, moda e modi.
 
Prendo spunto dalla morte di un sarto a cui il “Corriere della Sera” e “la Repubblica” hanno dedicato letteralmente decine di pagine, forse di più che per la morte di un tale Francesco (non le ho contate, vado a memoria) per non citare il tributo di tutte le reti televisive. In questa idolatria si condensa il leitmotiv dell’attuale pensiero dominante. Il denaro, lo status sociale e l’anelito identitario che diventa per transustanziazione esaltazione del nazionalismo. Ora, che il Giorgio nazionale abbia avuto capacità sia imprenditoriali che artistiche è, per i valori correnti, fuori discussione, ma colgo una dissonanza che nessuno evidenzia perché, ahimè, demodé.
Chi sono i fruitori ovvero gli estimatori e soprattutto compratori del suo estro? Certamente anche la casalinga di Voghera aspira ad un suo vestito firmato, se non da sera perché non saprebbe quando sfoggiarlo, ma almeno dei jeans o un paio di occhiali e probabilmente solo per far colpo sui vicini. Il cliente target di un certo mondo, non è la casalinga o l’impiegata, basta vedere foto, filmati e le pubblicità. L’esportazione del Made in Italy ha fatto un gran bene sia a lui che alle casse dell’erario, pertanto, non c’è da stupirsi dell’elogio sperticato delle rappresentanze democraticamente rivolte all’eroe del momento. Quello su cui tutti sorvolano, per borghese educazione, è il gap esagerato tra valore reale e valore commerciale e l’uso della bassa manovalanza che concretizza il genio creativo nella reificazione della merce nelle vetrine di lusso. Ebbene sì, sono questi i due fattori che rendono possibile l’accumulo della ricchezza, e la parolaccia impronunciabile che li descrive è: plusvalore.
Concordo con chi definisce molta di questa produzione, artistica, perché un’opera d’arte deve descrivere, raccontare l’epoca in cui è realizzata, e certamente la forma degli abiti, i materiali e colori con cui sono realizzati è propria dell’epoca in cui sono stati pensati e sfoggiati e ne definisce lo status sociale se non di appartenenza, sicuramente di aspirazione.
Ma la produzione artistica ha due aspetti la forma e il significato o meglio, la scatola e il contenuto. E da sempre, non dovrebbero esserci dubbi, prevale la scatola, soprattutto oggi quando la maggior parte delle persone che visita i musei è colpito dall'estetica, la bravura dell’artista, senza porsi minimamente domande sul significato, spesso non manifesto anzi nascosto, di ciò che guarda, senza vedere. In altre parole è l’effimero, l’appariscente che prevale.
E cosa c’è di più effimero oltre la moda, se non lo sport? E con questo arriviamo allo spirito identitario, oggi diventato orgogliosamente patriottismo se non sciovinismo. Basta che uno prevalga in qualche sport (bravo lui) e immediatamente la nazione di appartenenza lo pone orgogliosamente a proprio modello di rappresentanza, ovviamente, per poi miseramente defilarsi e glissare sugli insuccessi di altri connazionali. Statisticamente le sconfitte sono molto più numerose delle vittorie. I giocatori sia singoli che in squadra, rappresentano solo se stessi non il territorio nel quale, per caso, sono nati e cresciuti, (oggi poi nemmeno vale la nascita). Dire “abbiamo vinto” parlando al plurale maiestatis, invece del più logico, “hanno vinto” (loro, non io) porta inevitabilmente ad aprire una riflessione sulla psicologia di massa, ma rischierebbe di far perdere la finalità di questa breve esternazione.