Torino, Monza, Roma e Catania: quattro morti sul lavoro in 24 ore. Questa è stata la notizia più
importante che abbiamo letto questa mattina sui giornali. Lavoro,
sfruttamento, morte: una triade che sembra inscindibile nel tempo nonostante il
ritmo vorticoso dell'innovazione tecnologica. Una triade lavoro - sfruttamento - morte sempre incombente nel
ciclo capitalistico, indipendentemente dalle condizioni materiali nelle quali
via via lavoratrici e lavoratori si trovano costretti ad agire. Nel grande dolore del momento è necessario ancora una volta ribadire alcuni elementi di fondo che vanno essere presi in
considerazione proprio attorno al tema della concezione del lavoro. Nel tempo
trascorso senso e concezione del lavoro sono stati sottoposti a troppi
fraintendimenti e sovrapposizioni al punto da far smarrire, per gran parte
dell'opinione pubblica, la nozione di sfruttamento. Si tratta di prendere in
considerazione un dato di fondo: l’uomo non è più il prodotto del suo lavoro,
come si pensava cinquant'anni fa, e neppure la dimensione umana si trova ancora
al centro della subalternità al comando del profitto. Oggi l’uomo (nel senso di
genere umano, senza distinzioni) non è null'altro che l’espressione del suo
consumo, della sua capacità di corrispondere in ogni momento della sua vita e
non soltanto in fabbrica all’egemonia del comando del profitto. Dentro lo
stridore sociale dominante è il comando del profitto che ormai si è esteso
sull’insieme di contraddizioni che la modernità presenta, assumendo l'egemonia
di tutte le innovazioni che via via si stanno presentando sulla scena sia sul
piano tecnologico, sia economico, sia politico. Ogni nostro atto, ogni nostra possibilità
di visione, è compiuto in funzione dell’apparire quasi sempre pubblicitario del
combinato disposto tra reale e virtuale sul quale la logica del profitto si
espande e si afferma. Così si è arrivati più ancora che alla negazione al
considerare superfluo il conflitto, sia nel sociale sia nel politico. Il
conflitto è considerato ormai marginale, momento di turbamento dell’ordine
costituito. È giusto lottare per una possibilità di migliore remunerazione del
lavoro ma la condizione per ottenere ciò non può essere quella di continuare ad
esercitare una funzione di mera riproduzione del consumo come fattore
egemonico, pagando il prezzo dello smisurato allargamento delle disuguaglianze
su tutte le basi: individuali, collettive, planetarie con la guerra tornata
sovrana a regolare la storia. Ricordarsi le condizioni di allargamento del
concetto di sfruttamento alienante a categorie diverse da quelle del lavoro
subordinato (ambiente, genere, tecnologia) potrebbe rappresentare la
possibilità di compiere dopo tanto tempo un nuovo passo in avanti almeno dal
punto di vista della nostra capacità di riflessione.