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martedì 9 settembre 2025

LAVORO E SFRUTTAMENTO
di Franco Astengo



Torino, Monza, Roma e Catania: quattro morti sul lavoro in 24 ore.

Questa è stata la notizia più importante che abbiamo letto questa mattina sui giornali.
 
Lavoro, sfruttamento, morte: una triade che sembra inscindibile nel tempo nonostante il ritmo vorticoso dell'innovazione tecnologica.
Una triade lavoro - sfruttamento - morte sempre incombente nel ciclo capitalistico, indipendentemente dalle condizioni materiali nelle quali via via lavoratrici e lavoratori si trovano costretti ad agire.
Nel grande dolore del momento è necessario ancora una volta ribadire alcuni elementi di fondo che vanno essere presi in considerazione proprio attorno al tema della concezione del lavoro. Nel tempo trascorso senso e concezione del lavoro sono stati sottoposti a troppi fraintendimenti e sovrapposizioni al punto da far smarrire, per gran parte dell'opinione pubblica, la nozione di sfruttamento. Si tratta di prendere in considerazione un dato di fondo: l’uomo non è più il prodotto del suo lavoro, come si pensava cinquant'anni fa, e neppure la dimensione umana si trova ancora al centro della subalternità al comando del profitto. Oggi l’uomo (nel senso di genere umano, senza distinzioni) non è null'altro che l’espressione del suo consumo, della sua capacità di corrispondere in ogni momento della sua vita e non soltanto in fabbrica all’egemonia del comando del profitto. Dentro lo stridore sociale dominante è il comando del profitto che ormai si è esteso sull’insieme di contraddizioni che la modernità presenta, assumendo l'egemonia di tutte le innovazioni che via via si stanno presentando sulla scena sia sul piano tecnologico, sia economico, sia politico. Ogni nostro atto, ogni nostra possibilità di visione, è compiuto in funzione dell’apparire quasi sempre pubblicitario del combinato disposto tra reale e virtuale sul quale la logica del profitto si espande e si afferma. Così si è arrivati più ancora che alla negazione al considerare superfluo il conflitto, sia nel sociale sia nel politico. Il conflitto è considerato ormai marginale, momento di turbamento dell’ordine costituito. È giusto lottare per una possibilità di migliore remunerazione del lavoro ma la condizione per ottenere ciò non può essere quella di continuare ad esercitare una funzione di mera riproduzione del consumo come fattore egemonico, pagando il prezzo dello smisurato allargamento delle disuguaglianze su tutte le basi: individuali, collettive, planetarie con la guerra tornata sovrana a regolare la storia. Ricordarsi le condizioni di allargamento del concetto di sfruttamento alienante a categorie diverse da quelle del lavoro subordinato (ambiente, genere, tecnologia) potrebbe rappresentare la possibilità di compiere dopo tanto tempo un nuovo passo in avanti almeno dal punto di vista della nostra capacità di riflessione.