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martedì 9 settembre 2025

DETESTO LA RETORICA E CIÒ CHE VI È CONNESSO 
di Luigi Mazzella
 
 
Ne “Il fantasma della libertà” Luis Bunuel fa dire a un suo personaggio, estroso e irriverente, qualcosa come: “Sono stanco, odio la simmetria”. E ciò, senza approfondire le cause di tanta ostilità: nessuno accenno, infatti, né ai (probabilmente detestati) Bizantini e all’amore per le prevedibili simmetrie della loro arte, né all’amata anarchia delle forme, al disordine figurativo (dripping) del suo contemporaneo Jackson Pollock. L’asserzione del regista e sceneggiatore, nella pellicola, resta assiomatica e immotivata. Dal mio canto, vorrei tentare, invece, di esporre le ragioni per le quali sono stanco e odio il linguaggio retorico e infarcito di pretese “nobili” espressioni di una classe politica, quella Occidentale e italiana in particolare, che, dopo tante prove negative, non posso che ritenere bolsa e incompetente oltre che generatrice di guerre e conflitti. So bene che sull’arte della persuasione retorica sono stati scritti volumi (fondamentale quello di Carlo Michelstaedter, uno studioso suicidatosi giovanissimo) ma il fatto che il primo filosofo ad occuparsene sia stato Platone mi induce a sospettare che egli pensasse non tanto a quella “pratica empirica” (come la definisce Socrate, in uno dei Dialoghi dell’allievo ), negando che sia un’arte, sia pure irrazionale “buona e nobile”, diretta a migliorare i cittadini, quanto a quella “turpe e demagogica” atta adeterminare cattive e avvelenate persuasioni per stimolare odi e avversioni o per suscitare rassicuranti (e false) consolazioni. A mio parere, nell’Occidente delle “cinque demenze” dopo l’annientamento ad opera di ebrei e cristiani dei fasti della civiltà greco-romana dei sofisti e dei filosofi presocratici e dopo le dosi massicce di odio e di rancore diffuse in venti secoli da credenti religiosi in nome della gloria di Dio e da fanatici ideologici in nome di pretese missioni salvifiche dell’umanità, i retori sono solo della seconda maniera.
Nelle loro invasate utopie, religiose (importate dalla zona più rissosa e violenta del globo) o ideologiche (post-platoniche e poi hegeliane di stampo teutonico), essi, trascurando il pubblico interesse per un privato tornaconto, parlano sempre con enfasi di raggiungimento di un Bene Supremo e Assoluto (oggettivamente irraggiungibile) e, pur non possedendo alcuna conoscenza precisa dell’essenza della natura di ciò di cui discettano né della ragione delle cose che consigliano, trattano i popoli come fanciulli o individui ciechi (o accecati dal furore) cercando solo di far loro piacere.



Ovviamente, l’inganno, perché sia più efficace, postula l’ignoranza: se essa alberga nella mente di oratori intellettualmente fuorviati i loro discorsi raggiungono più facilmente il bersaglio. Non è un caso, quindi, che in un periodo fosco come quello attuale dove l’Europa, dopo venti secoli di guerre (sante o meno), di stragi, di stermini e di genocidi, di colonizzazioni selvagge e via dicendo sta dando la peggiore immagine di sé (Luciano Canfora parla di stato confusionale comatoso) i retori, rifiutandosi, per essere adeguati al loro compito, di conoscere la verità intorno agli argomenti giusti e buoni, fanno ricorso alla “retorica” dei “sublimi” (e falsi) discorsi dell’unità fraterna e della compattezza solidale dei popoli del vecchio Continente. 
Conclusione: Per effetto della retorica attuale, dominante e pervasiva, l’Occidente continua a ignorare le vere cause che in venti secoli l’hanno fatto precipitare in un caos di odi, di rancori e di avversioni insanabili. Anche sulle cause “vere” dei due conflitti in atto nulla veramente conosce se non ciò che i retori delle rispettive propagande impongono che si sappia.