DETESTO
LA RETORICA E CIÒ CHE VI È CONNESSO di
Luigi Mazzella
Ne “Il fantasma della libertà” Luis Bunuel fa
dire a un suo personaggio, estroso e irriverente, qualcosa come: “Sono
stanco, odio la simmetria”.E ciò, senza
approfondire le cause di tanta ostilità: nessuno accenno, infatti, né ai
(probabilmente detestati) Bizantini e all’amore per le prevedibili simmetrie
della loro arte, né all’amata anarchia delle forme, al disordine
figurativo (dripping) del suo contemporaneo Jackson Pollock. L’asserzione
del regista e sceneggiatore, nella pellicola, resta assiomatica e immotivata.Dal mio canto, vorrei tentare, invece, di esporre le
ragioni per le quali sono stanco e odio il linguaggio retorico e infarcito di
pretese “nobili” espressioni di una classe politica, quella Occidentale e
italiana in particolare, che, dopo tante prove negative, non posso che
ritenere bolsa e incompetente oltre che generatrice di guerre e
conflitti. So bene che sull’arte della persuasione retorica sono stati
scritti volumi (fondamentale quello di Carlo Michelstaedter, uno studioso
suicidatosi giovanissimo) ma il fatto che il primo filosofo ad occuparsene sia
stato Platone mi induce a sospettare che egli pensasse non tanto a quella
“pratica empirica” (come la definisce Socrate, in uno dei Dialoghi
dell’allievo), negando che sia un’arte, sia pure irrazionale “buona e
nobile”, diretta a migliorare i cittadini, quanto a quella “turpe e demagogica”
atta adeterminare cattive e avvelenate persuasioni per stimolare odi e
avversioni o per suscitare rassicuranti (e false) consolazioni.A mio parere, nell’Occidente delle “cinque demenze”
dopo l’annientamento ad opera di ebrei e cristiani dei fasti della civiltà
greco-romana dei sofisti e dei filosofi presocratici e dopo le dosi massicce di
odio e di rancore diffuse in venti secoli da credenti religiosi in nome
della gloria di Dio e da fanatici ideologici in nome di pretese missioni
salvifiche dell’umanità, i retori sono solo della seconda maniera. Nelle loro invasate utopie, religiose (importate dalla
zona più rissosa e violenta del globo) o ideologiche (post-platoniche e poi
hegeliane di stampo teutonico), essi, trascurando il pubblico
interesse per un privato tornaconto, parlano sempre con enfasi di
raggiungimento di un Bene Supremo e Assoluto (oggettivamente irraggiungibile) e,
pur non possedendo alcuna conoscenza precisa dell’essenza della natura di ciò
di cui discettano né della ragione delle cose che consigliano, trattano i
popoli come fanciulli o individui ciechi (o accecati dal furore) cercando solo
di far loro piacere.
Ovviamente, l’inganno, perché sia più efficace,
postula l’ignoranza: se essa alberga nella mente di oratori intellettualmente
fuorviati i loro discorsi raggiungono più facilmente il bersaglio. Non è
un caso, quindi, che in un periodo fosco come quello attuale dove l’Europa,
dopo venti secoli di guerre (sante o meno), di stragi, di stermini e di
genocidi, di colonizzazioni selvagge e via dicendo sta dando la peggiore
immagine di sé (Luciano Canfora parla di stato confusionale comatoso) i retori,
rifiutandosi, per essere adeguati al loro compito, di conoscere la verità
intorno agli argomenti giusti e buoni, fanno ricorso alla “retorica” dei
“sublimi” (e falsi) discorsi dell’unità fraterna e della compattezza
solidale dei popoli del vecchio Continente. Conclusione:
Per effetto della retorica attuale, dominante e pervasiva, l’Occidente continua
a ignorare le vere cause che in venti secoli l’hanno fatto precipitare in un
caos di odi, di rancori e di avversioni insanabili. Anche sulle cause “vere”
dei due conflitti in atto nulla veramente conosce se non ciò che
i retori delle rispettive propagande impongono che si
sappia.