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lunedì 29 settembre 2025

RISCOPRIRCI INSIEME A TUTTI GLI ALTRI
di Chiara Landonio


Perugia per Gaza
 
Dobbiamo fare un passo in più, un passo che ormai sento necessario: cominciare a pensare che il genocidio in corso a Gaza non è causato solo dal sionismo, dallo stato di Israele o dal governo Netanyahu. Queste affermazioni ci inducono di nuovo a dividere il mondo in buoni e cattivi: sono gli altri che stanno compiendo queste efferatezze, complici anche i nostri governi, ma noi siamo la parte buona, la parte che denuncia il genocidio. Ricordiamo la frase di Merz di pochi mesi fa? “Lo stato d’Israele sta facendo il lavoro sporco per l’Occidente”: frase terribile, ma sulla quale dobbiamo fare una riflessione profonda. Il genocidio, la rapina, la sottomissione di altri popoli sono connaturati alla politica dell’Occidente che per lungo tempo è riuscita a far credere ai propri cittadini che gli altri fossero il male, che fossero barbari, che avessero norme abiette, che disprezzassero i diritti umani, che avessero a capo tiranni e che il nostro mondo avesse il diritto di portare loro libertà e valori inalienabili. La realtà è che i nostri privilegi, a partire dal nostro passaporto, dalla possibilità di movimento, dalle libertà individuali, dal nostro benessere, si basano tutte sulla rapina, sulla sottomissione, sull’azzeramento della cultura di altri popoli. Lo voglio ripetere: i nostri privilegi derivano dall’oppressione dell’altro. Ma che cos’è questo Occidente? Siamo proprio noi, si identifica completamente con la nostra cultura o in qualche modo è un qualcosa che nel suo sviluppo ha mangiato anche noi, senza che ce ne rendessimo conto? Perché l’Occidente più che essere una cultura è un sistema basato su un capitalismo predatorio, che ha bisogno di espansione continua e che impone una crescita infinita e per fare ciò ha bisogno di bruciare, di distruggere, di annientare tutto ciò che rappresenta una qualche forma di resistenza alla sua espansione. Alla fine della Seconda guerra mondiale tanti intellettuali italiani, come Carlo Levi, Nuto Revelli, Ignazio Silone e altri cominciarono a raccontare il tramonto del mondo contadino, quello che Pasolini chiamava un genocidio culturale a favore di un mondo dei consumi in cui anche noi fummo rapinati del nostro passato e che ci ha fatti diversi, colonizzati e dimentichi di ciò, attori della nuova colonizzazione. Ne Il mondo dei vinti, scriveva Nuto Revelli:
“Quando dall’alto della Pedaggera e dei Tre Cunei cerco la vita nelle ampie conche, riconosco più case grigie, spente, morte, che case fresche di calce, vive, giovani; riconosco i noccioleti che parlano di stanchezza, di abbandono, e i fazzoletti di vigna come bandiere stinte, eroiche, e i dirupi del Belbo che rivogliono il bosco. Non mi lascio tradire dall’edilizia residenziale, dalle ville di zucchero, estranee, ostili come i castelli e le torri che dominavano la miseria antica. Non mi lascio tradire dalla seconda, dalla terza casa degli ‘altri’. L’Alta Langa, come tutta la campagna povera ormai è un cronicario immenso, è il dormitorio di centinaia di pendolari, è il rifugio degli scarti, degli invalidi, degli emarginati dalla società del benessere”.


Perugia per Gaza

La Fiat arriva nelle campagne e promette ai contadini la liberazione: il trattore e i contadini firmano cambiali che non riescono a pagare. Saranno i figli che andranno a lavorare in Fiat per ripagare i debiti dei padri. E poi arriva la Michelin che arruola nelle fabbriche migliaia di contadini e la campagna stessa diventa terra predata dalle multinazionali che comprano terreni, che si impossessano delle acque, delle sorgenti, che depredano il suolo e il sottosuolo mentre gli uomini si rifugiano nelle città che offrono sicurezza e confort.
Così fiduciosi abbiamo vissuto dal boom economico in poi, come se fossimo al riparo, abbiamo vissuto per un po’ nella parte del mondo agiata, ma il mondo oggi si fa piccolo e non c’è più luogo dove allargarsi. E i potenti, che sono uno sparuto numero di persone che si nasconde dietro a multinazionali e lobby, non ha alcuna pietà per noi come per il resto del mondo. Concludo con ciò che diceva Carlo Levi in Paura della libertà: “L’individuo conchiuso tende a staccarsi e a vivere autonomo: il contatto con gli altri è possibile soltanto attraverso quello che a tutti è comune, attraverso l’indifferenziato, che col suo permanere fa comprensibili tutte le differenziazioni”. Riscoprirci nelle piazze come vinti, come diseredati, insieme a tutti gli altri in ogni luogo sarà forse l’inizio di un vero cambiamento.