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sabato 20 settembre 2025

UVA AMARA
di Zaccaria Gallo
 


“Odissea” ringrazia l’amico e collaboratore Zaccaria Gallo che non ha voluto far mancare il suo articolo per il nostro giornale nonostante il momento precario per la sua salute.
 
() ricordino in ogni / goccia d’oro / o coppa di topazio / o cucchiaio di porpora / che l’autunno lavorò / fino a riempire di vino le anfore, / e impari l’uomo oscuro, / nel cerimoniale del suo lavoro, / a ricordare la terra e i suoi doveri, / a diffondere il cantico del frutto. Così Pablo Neruda, nella sua ‘Ode al vino’, raccomanda all’uomo di non dimenticare mai tutto quello che la terra, in autunno, se aiutata con passione, amore e lavoro è in grado di donare. È il tempo in cui la natura dipinge le vigne: cento colori, dal giallo oro al rosa trasparente, dal rosso rubino fino al nero; succosi frutti, nascosti tra i pampini, o pendenti in grappoli enormi, quasi trattenuti a fatica sotto gli ultimi frammenti di sole non più estivo, presagi dell’inebriante profumo di vendemmia. E mani, mani abili di donne che sotto i filari dei tendoni, disgiungono i grappoli dalla loro “madre”. E ci soccorrono ancora i versi di Neruda in ‘Era l’autunno dell’uva’: “Era l’autunno dell’uva. / Tremava la pergola numerosa. / I grappoli bianchi, velati, / coprivano di rugiada le sue dolci dita, / e le nere uve riempivano / le loro piccole mammelle traboccanti / di un segreto fiume rotondo”. 



Maria ci parla. “Io faccio soltanto l’uva, fin da bambina. Quanto guadagno? Pochi euro al giorno. Non è ancora l’alba: sono le tre e già sul marciapiede sono vicine a me le altre, tutte donne siamo. Braccianti. E ci sono i caporali. Aspettiamo di salire sulle ‘navette’, i pulmini che ci porteranno alle vigne. Alle volte anche trecento km ogni giorno. Tornerò la sera, tardi. Sette, otto, qualche volta dieci ore al giorno. Mi devo stare zitta, non mi devo lamentare, se no non mi prendono più. Sono testimone da anni di come si sfruttano i braccianti. Quando raccogliamo l’uva e usiamo gli sgabelli, non ti devi muovere, devi stare là. Raccogli e metti nelle cassette. Non posso tirare neanche un respiro e quando finisco mi resta questo dolore alle dita, che non me le sento quasi più e alla schiena. A casa mi aspettano i miei due bambini. Sono andati a scuola e mi vengono a prendere quando arrivo in piazza”. E anche Antonella aggiunge: “Non possiamo dire niente, altrimenti si diffonde la voce che ci siamo lamentate e poi dal giorno dopo nessuno ti accoglie al lavoro. Muoviti! Muoviti! Muoviti! Mi gridano nelle orecchie mentre lavoro. Le mani si addormentano. E per molto poco ho rischiato di non poter lavorare più. Dovevo andare in bagno un giorno e mi ero alzata. Il sorvegliante, come mi ha vista in piedi, si è messo ad urlare, come ti permetti di muoverti senza il mio consenso e io ho detto che avevo forte esigenza, si tratta di pochi minuti e lui ti faccio licenziare se ti muovi ancora senza il mio permesso, e non posso dire come ho fatto. E non ti puoi sentire neanche male perché qualche volta puoi anche perdere la vita. Il 13 luglio 2015 Paola Clemente è uscita di casa, come accadeva da anni, che il sole non era ancora sorto. È andata a prendere il pulmino che, da San Giorgio Ionico, doveva portare lei e le altre, ai vigneti di Andria, per la scrematura e la diraspatura dell’uva. Paola aveva imparato a non lamentarsi, perché era l’unico lavoro che aveva. Ma quella mattina verso le nove, ha iniziato a stare male, molto male. Chiamato il caporale, questi l’aveva fatta sedere, ma non aveva dato peso più di tanto alle sue parole. Dopo una ventina di minuti Paola perdeva conoscenza. Non si sarebbe ripresa più! Trasportata in ambulanza, ormai priva di vita, veniva deposta nell’obitorio dell’ospedale. Da giorni la fatica aveva progressivamente chiuso le sue coronarie. Paola non doveva lamentarsi: avrebbe perduto il lavoro della bellissima uva della vigna di Andria. Sì, l’uva che oggi io accarezzo con lo sguardo, e con le dita ogni acino, meravigliandomi sempre della bellezza e della perfezione che la natura ci offre durante la nostra esistenza. Dolce uva! Meraviglioso vino di Puglia! Amaro frutto di dolore e sopraffazione, di violazione di semplici diritti umani, di violenze fisiche e psichiche. Voglio concludere con le parole contenute nel Deuteronomio (24: 14-22): “Non defrauderai il salariato povero bisognoso, sia egli uno dei tuoi fratelli, o uno dei forestieri, che stanno nel tuo paese, nelle tue città. Gli darai il suo salario il giorno stesso, prima che tramonti il sole…”.