“Odissea”
ringrazia l’amico e collaboratore Zaccaria Gallo che non ha voluto far mancare il
suo articolo per il nostro giornale nonostante il momento precario per la sua
salute. “(…)
ricordino in ogni / goccia d’oro / o coppa di topazio / o cucchiaio di porpora
/ che l’autunno lavorò / fino a riempire di vino le anfore, / e impari l’uomo
oscuro, / nel cerimoniale del suo lavoro, / a ricordare la terra e i suoi
doveri, / a diffondere il cantico del frutto”. Così
Pablo Neruda, nella sua ‘Ode al vino’, raccomanda all’uomo di non dimenticare
mai tutto quello che la terra, in autunno, se aiutata con passione, amore e
lavoro è in grado di donare. È il tempo in cui la natura dipinge le vigne: cento
colori, dal giallo oro al rosa trasparente, dal rosso rubino fino al nero;
succosi frutti, nascosti tra i pampini, o pendenti in grappoli enormi, quasi
trattenuti a fatica sotto gli ultimi frammenti di sole non più estivo, presagi
dell’inebriante profumo di vendemmia. E mani, mani abili di donne che sotto i
filari dei tendoni, disgiungono i grappoli dalla loro “madre”. E ci soccorrono
ancora i versi di Neruda in ‘Era l’autunno dell’uva’: “Era l’autunno dell’uva. /
Tremava la pergola numerosa. / I grappoli bianchi, velati, / coprivano di
rugiada le sue dolci dita, / e le nere uve riempivano / le loro piccole
mammelle traboccanti / di un segreto fiume rotondo”.
Maria ci parla. “Io
faccio soltanto l’uva, fin da bambina. Quanto guadagno? Pochi euro al giorno.
Non è ancora l’alba: sono le tre e già sul marciapiede sono vicine a me le
altre, tutte donne siamo. Braccianti. E ci sono i caporali. Aspettiamo di
salire sulle ‘navette’, i pulmini che ci porteranno alle vigne. Alle volte
anche trecento km ogni giorno. Tornerò la sera, tardi. Sette, otto, qualche
volta dieci ore al giorno. Mi devo stare zitta, non mi devo lamentare, se no
non mi prendono più. Sono testimone da anni di come si sfruttano i braccianti.
Quando raccogliamo l’uva e usiamo gli sgabelli, non ti devi muovere, devi stare
là. Raccogli e metti nelle cassette. Non posso tirare neanche un respiro e
quando finisco mi resta questo dolore alle dita, che non me le sento quasi più e
alla schiena. A casa mi aspettano i miei due bambini. Sono andati a scuola e mi
vengono a prendere quando arrivo in piazza”. E anche Antonella aggiunge: “Non
possiamo dire niente, altrimenti si diffonde la voce che ci siamo lamentate e
poi dal giorno dopo nessuno ti accoglie al lavoro. Muoviti! Muoviti! Muoviti!
Mi gridano nelle orecchie mentre lavoro. Le mani si addormentano. E per molto
poco ho rischiato di non poter lavorare più. Dovevo andare in bagno un giorno e
mi ero alzata. Il sorvegliante, come mi ha vista in piedi, si è messo ad urlare,
come ti permetti di muoverti senza il mio consenso e io ho detto che avevo
forte esigenza, si tratta di pochi minuti e lui ti faccio licenziare se ti
muovi ancora senza il mio permesso, e non posso dire come ho fatto. E non ti
puoi sentire neanche male perché qualche volta puoi anche perdere la vita. Il
13 luglio 2015 Paola Clemente è uscita di casa, come accadeva da anni, che il
sole non era ancora sorto. È andata a prendere il pulmino che, da San Giorgio
Ionico, doveva portare lei e le altre, ai vigneti di Andria, per la scrematura
e la diraspatura dell’uva. Paola aveva imparato a non lamentarsi, perché era
l’unico lavoro che aveva. Ma quella mattina verso le nove, ha iniziato a stare
male, molto male. Chiamato il caporale, questi l’aveva fatta sedere, ma non
aveva dato peso più di tanto alle sue parole. Dopo una ventina di minuti Paola
perdeva conoscenza. Non si sarebbe ripresa più! Trasportata in ambulanza, ormai
priva di vita, veniva deposta nell’obitorio dell’ospedale. Da giorni la fatica
aveva progressivamente chiuso le sue coronarie. Paola non doveva lamentarsi:
avrebbe perduto il lavoro della bellissima uva della vigna di Andria. Sì, l’uva
che oggi io accarezzo con lo sguardo, e con le dita ogni acino, meravigliandomi
sempre della bellezza e della perfezione che la natura ci offre durante la
nostra esistenza. Dolce uva! Meraviglioso vino di Puglia! Amaro frutto di
dolore e sopraffazione, di violazione di semplici diritti umani, di violenze
fisiche e psichiche. Voglio concludere con le parole contenute nel Deuteronomio
(24: 14-22): “Non defrauderai il salariato povero bisognoso, sia egli uno dei
tuoi fratelli, o uno dei forestieri, che stanno nel tuo paese, nelle tue città.
Gli darai il suo salario il giorno stesso, prima che tramonti il sole…”.