La
bolgia mediatica voluta dai giudici. Con
l’aberrante interpretazione, data dalla Corte di Cassazione all’articolo 21
della Costituzione, si entra nel vivo di una delle alterazioni più
profonde, radicali e sconvolgenti della vita collettiva di un Paese operata non
da un sommovimento individuale o popolare ma da una sentenza della Suprema
Corte di Cassazione.Fino a quel momento la
collettività Italiana si era sempre comportata in maniera abbastanza
civile, contenuta nei limiti della moderazione.I giornalisti narravano i fatti di cronaca ponendo
attenzione alle “prove” e alla loro possibile veridicità: e ciò al fine
di non ledere l’onore e la reputazione dei cittadini con il racconto di
eventi infamanti e buttati lì, spesso, senza alcuna verosimiglianza.Dopo quella decisione del più alto livello giurisdizionale,
tutto cambiò in un “crescendo” di bolle mediatiche, incrementato da iniziative,
spesso avventate, di pubblici accusatori. Il
Paese che era stato fino ad allora all’altezza delle sue buone tradizioni
di convivenza e di civiltà decadde a livelli di scontri selvaggi.Il diritto di cronaca che era stato
sempre tutelato come un diritto individuale di manifestazione di libertà
del pensiero e, in quanto tale, contenuto nei limiti del rispetto
dell’onore e della reputazione degli altri cittadini, penalmente protetti,
divenne un super potere dei cronisti, una sorta di “licenza” di ingiuriare e
diffamare perché considerato da quella sentenza più come un “dovere” che come
un “diritto”. Prima
Domanda: che cosa era all’improvviso e inopinatamente
cambiato con quella pronuncia giurisdizionale? Lo ius narrandi era
stato dai giudici della Corte Suprema sovraordinato non solo a ogni altra manifestazione
del pensiero ma a ogni qualsiasi diritto individuale di libertà,
considerato meritevole di tutela, anche costituzionale.
Seconda
Domanda: Perché? Com’è stato possibile interpretare la
norma dell’articolo 21 in modo tale da degradare l’onore, il decoro e
la reputazione altrui a livelli così bassi da non meritare più quella tutela
pur prevista dal nostro in molte parti dell’ordinamento giuridico? La
risposta è agevole. Riottosi a consultare il vocabolario (e ve ne erano, già a
quei tempi, di ottimi!) i supremi giudici avevano distorto, con la loro decisione, il
significato della parola “pensiero” sino a confonderla con “opinione”.Scarsa dimestichezza con il buon lessico patrio e
pigrizia mentale erano stati complici di una rivoluzione nei confini dei
mass-media, divenuti oltre tutto più potenti e lesivi.L’arzigogolo dei giudici era partito come ovvio
da una (cattiva) lettura dello articolo 21 (che recita (testualmente: “Tutti
hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, con
lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. Qualche
magistrato aveva rilevato che, a suo giudizio, la norma non prevedeva il
diritto di cronaca che sarebbe stato pretermesso e lasciato privo di tutela.
Apriti cielo! Il Collegio giudicante non aveva avvertito l’umiltà di
consultare il Vocabolario della Lingua Italiana e aveva deciso in base a
una scarsa conoscenza della lingua italiana. Aveva del tutto ignorato che: a)
pensiero non era sinonimo di opinione ma designava l’intera attività della
mente umana; b)
che quest’ultima si esplicava sia nella formazione delle idee e quindi
delle opinioni e convinzioni personali e sia nella creazione di opere dell’immaginazione
(racconti, componimenti poetici, dipinti pittorici, sculture, opere architettoniche)
e sia nella narrazione con coscienza critica di fatti di attualità e di
storia (id est: cronaca e storia).
In
altre parole, quei Sommi giudici non avevano capito che il pensiero comprendeva
certamente l’opinione ma non si esauriva in essa, includendo altre
manifestazioni di attività mentale, tra cui la cronaca. In
altre parole, essi, dopo avere confuso i due termini, hanno costruito un
vero “pastrocchio”, nell’erronea convinzione che i Padri Costituenti si fossero
dimenticati della cronaca: racconto organizzato dal pensiero di eventi
e circostanze. Terza
Domanda: Perché nei tanti decenni trascorsi da quella
sentenza il Parlamento non ha ritenuto di porre riparo una così grave
confusione terminologica, comprendendo espressamente la cronaca tra le attività
mentali del pensiero?Difficile capirlo, anche
perché le aberrazioni concettuali (ulteriori e ancora più gravi) non sono
finite qui. Nell’ovviare
alla dimenticanza dei Padri Costituenti il monstrum costruito
dai giudici è diventato un invincibile “Golia”. Si è ragionato così:“Se per esprimere un’opinione bisogna
conoscere persone e fatti, si deve, in conseguenza, ritenere che chi tesse
il racconto non si avvale di un proprio diritto di libertà ma esercita
una vera e propria funzione superiore (alias: più che avvalersi
di un suo diritto assolve un dovere in favore della collettività). Orbene,
trattandosi di un diritto-dovere, lo ius narrandi deve prevalere su
ogni altra esigenza di riservatezza o di tutela dell’onore personale”. Conclusione: I
giornalisti hanno avuto dai giudici la licenza di “sbertucciare” chi più loro
aggrada, ricevendo onore e gloria! Un motto francese dice: A la guerre
comme á la guerre. Il caos mediatico italiano ha origine così:
l’ha prodotto non la Costituzione ma la Giurisprudenza in vena legislativa! E
quel che è peggio, nessuno ha protestato (tranne me, vox clamans in deserto, che l’ho fatto già nella mia tesi di laurea e in
articoli successivi su “Il diritto di cronaca”). È ora che si ponga
riparo al “pateracchio” da troppi decenni accettato come una vera e
propria infelicitas Fati.