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domenica 19 ottobre 2025

POETESSE E DESTINO
di Anna Rutigliano


Sylvia Plath
 
Tragica coincidenza od infausto destino, le poetesse Sylvia Plath e Amelia Rosselli, sua fedele lettrice e traduttrice, videro le proprie vite segnate da tristi vicende familiari (la Plath fu vittima anche di violenza domestica da parte del marito/poeta Ted Hughes) che ne avrebbero, in seguito, condizionato pesantemente il rispettivo benessere psichico. Entrambe orfane di padre in giovane età, entrambe affette da gravi forme di depressione sino alla sofferta esperienza dell’elettroshock negli ospedali psichiatrici, le due poetesse sono legate da una data nefasta: quell’11 Febbraio del 1963 per la Plath e, a distanza di  33 anni, nello stesso giorno, per la Rosselli, quando posero entrambe fine alle proprie vite. Per quanto il suicidio della Plath costituisca dibattito tuttora aperto fra gli studiosi, sulle orme del sociologo Durkheim, ne evidenzierei il carattere sociale del gesto: che sia di tipo egoistico, anomico, altruistico o fatalistico, esso è un fenomeno sociale, connesso a cause esterne all’individuo (in Le Suicidie di Durkheim). 


Amelia Rosselli

I dati dell’ISS, aggiornati al 2024, a tal proposito, riportano circa il 6% di soggetti affetti da depressione nella fascia di età adulta compresa fra i 18-69 anni, con rischi particolari per le donne, per individui affetti da patologie croniche e disabilità, per soggetti che versano in condizioni economiche di disagio, per lavoratori in stato di precariato; per gli anziani oltre i 65 anni, invece, la percentuale raggiunge circa il 9%, dati che hanno visto un incremento con la pandemia. Così, nella giornata europea della Depressione (sabato 18 ottobre) e a poco più di una settimana da quella dedicata ad essa, a livello internazionale, non potevo essere indifferente ad una delle pagine più fredde, lucide e razionali (“Edge- “Orlo”) di una delle scrittrici più profonde e creativamente visionarie, nel senso della scrittura, degli anni sessanta e a cui, Amelia Rosselli si dedicò con zelo, nell’attività di traduzione di alcune sue opere, fra cui “Ariel”. Nella poesia “Orlo”, proposta qui di seguito, persino la Luna, immobile, è abituata a simil scenari immortalati quasi in un dipinto fra il realismo ed il surrealismo ad evocarne la maternità interrotta ed il raggiungimento della perfezione di sé con la morte, quella stessa Luna che, invece, nel Lied di Eichendorff, “Mondnacht” (“Notte di Luna”), farà da sfondo, anche se mai menzionata, ad una esperienza “romantica” di trascendentale connessione con l’Assoluto.


 
 
Orlo


La donna si è realizzata.
Il suo corpo
morto
veste il sorriso del compimento.
L’illusione di una necessità ellenica
scorre, fluida, nel tessuto della sua toga,
i suoi piedi
nudi
sembrano dire:
“siam giunti fin qui, è finita.”
Ciascun infante morto, come serpente bianco,
ognuno, avvolto alla propria tazzina di latte, ora vuota.
Lei li ha ripiegati
nel proprio corpo come petali
di rosa rinchiusa nell’intorpidirsi del giardino
dai sentori di sangue
effusi dalle dolci e
profonde gole del fiore notturno.
La luna non ha nulla di cui esser triste,
con lo sguardo fisso dal suo cappuccio d’osso.
Avvezza a certe scene
crepitano e si trascinano le sue macchie nere.