Maryam I. Sabato
notte a Gulgoleth Lei ripercorre la valle di
Yehoshaphat sino ai greti. Con lentezza arriva a Har HaZeitim. La falce della
luna a tagliare d’argento gli oliveti. Dalla fodera risale lungo tutti
gli speroni, le cinte scalcinate – strisce rapprese. Dopo il ringhio delle case
è lì, fuori dalle mura. Siede su di un sasso brunito e guarda il legno a terra,
travaglio di genitrice. Tracce da lei raccolte nel lino, lampi in vastità
sabbiose, pietraie. Ricorda ora lo shabbat più bello
della sua vita, quello in cui lui aveva scostato il velo di vimini e guardato
nella conca d’acqua pura della sua direzione e lei lo aveva invitato a farsi
avanti per salutare il bambino. Speranze di gelso, impigliate negli orti, agli
orli degli sterpeti. È sabato notte, Maryam, il
chiarore del buio che inaspettatamente si dirige verso di te, con molta
lentezza, alza il vento dei lentischi e delle senapi che riconosci. Cosa senti?
Ecco lo vedi slavato, ancora del bianco d’orizzonte, del cereo giardino sotto
il cedro. E come voi, intraducibilmente, vi andate cicatrizzando? Voi vi cicatrizzate l’un l’altro
ai bordi di una festa taciuta, di voi due soltanto, alle fessure dei fuochi del
nuovo mattino. II. Meet Me
At Mary’s Place Tu ghisa di madre Tu interamente scena Tu vitrea fiamma Tu calma Tu lui Tu stavano Tu presso Tu croce sorella Tu sangue sangue osso Tu tunica Tu enigma tenda Tu chiodi mani mamma Tu Scrittura Tu ho sete Tu soldati a sorte Tu tessuta di un pezzo Tu spugna aceto canna Tu estroflessa Tu errabonda Tu di Tu Clèofa Màgdala Tu vedendo lì allora Tu accanto Tu amava Tu disse Tu donna figlio vaso Tu poi Tu discepolo ecco Tu madre di colui Tu da quel momento Tu la prese Tu nella sua Tu casa III. Gaza city
Tu madri Tu selce solco profondo Tu shabbat Tu tatuata Tu ai crocicchi Tu di filo spinato Tu gazawi Tu striscia di terra Tu sette tribù Tu terebinti Tu Cisgiordania Tu scuole opache Tu cessate Tu accordo Tu sradicamento Tu sotto macerie Tu accoglie Tu sete d’ospedale Tu neonati Tu madre di quelle madri Tu in Elohim Tu palestinesi Tu cedri del Libano Tu cenere Tu colonne di fumo Tu di profughi Tu negoziati di pace Tu perdona Tu aurore sul nuovo mattino Tu asciugherà Tu ogni Tu lacrima dai loro Tu occhi Nota Queste poesie intendono
riflettere sull’interiorità di Maria e sulla sua ‘capienza’ soggettuale (un
mondo a sé stante). Le strategie di scrittura per mettere su carta un progetto
così ambizioso - decisamente non alla portata dell’autore e della sua povertà
rappresentativa - sono tre: la soggettività immacolata di Maria che si
configura come intera tuità; il rammemorare costante (espresso in un’incisività
della parola) che rampolla nella mente; la torsione grammaticale per effigiare
una sorta di ‘pura lingua’ benjaminiana.