La Cumana Il vento furioso è una voce d’alloro, un
bruito che mesce parole alle foglie, all’ombra
di tede, che freme, un respiro che
esala la terra, e aggrava le ciglia. Ancora
tre volte il vento ha frullato le
foglie a sei dita, ma sono di polvere, un’ombra
nelle ombre, e sibila e striscia tra i
cespi sugli occhi di bianche ginestre. La
cicala frinisce nel giorno che muore, in un
soffio che effonde un amplesso di voce, e
sfiorisce, nelle parole che mai ho ascoltato e
nella carezza che mai mi ha lasciato.
Liliana Ravalli: Bosco
Requie materna Non era di chi ti lasciava da sola la colpa, in silenzio e
tacendo, a invecchiare alla vecchia poltrona alle soglie del
giorno (le madri lo sanno che è loro dovere aspettare, ma
senza sapere). Ed era nell’alba, un quadrante sbiadito un
elianto appassito a segnarti la voce nel canto del seno, il
mio cuore. Madre, come tutte le madri povera e giusta nella
loro vecchiezza, gloria al tuo sguardo, e al silenzio. Non
sono mai quel tuo figlio, ma sono tue le bianche parole in
penombra, da quando allattavi il mio labbro, come succo di
melograno (non hanno un passato, e non hanno domani). Il
sole imbianca, e la campana, lontana coetanea, dichiara la
sera, ma tu, rassegnata, non andare nell’estremo rintocco, soccorrimi
ancora, aggrappato alla veste di un ricordo segreto, e non
andare perché lo devi al mistero sonoro del vespro.