La
migliore spinta per la campagna elettorale del “NO” alla “deforma” (copyright
del compianto Felice Besostri) è arrivata dalla replica della signora
presidente del Consiglio verso la sentenza della Corte dei Conti riguardante il
ponte sullo stretto di Messina. Replica che è stata impostata sul concetto di “invasione
di campo” da parte della magistratura (contabile in questo caso) rispetto l’attività
del governo considerato il solo soggetto depositario del potere del popolo e di
conseguenza sovraordinato legittimamente in una visione, ci sia permesso di
scriverlo, di chiara propensione autocratica. Al momento della scelta
referendaria, verso la quale va indicato subito un secco “NO”, ci troveremo di
fronte non tanto e non solo il tema della separazione delle carriere dei
magistrati e quello della composizione del CSM (con il grande pericolo del
sorteggio, indice di vero e proprio disprezzo per il dibattito politico e la
sua più alta forma di esplicitazione rappresentata dal voto libero e
personale). In gioco ci sarà la forma concreto dello stato di diritto: un tema
per certi versi ancora superiore di importanza rispetto alla difesa della
Costituzione repubblicana. Il principio della divisione del potere legislativo,
esecutivo e giudiziario, oltreché il bilanciamento tra essi, costituiscono
elementi cruciali dello stato di diritto. Tali principi sono sanciti dalla
maggior parte delle costituzioni moderne. Mentre i dettati costituzionali si
limitano ad enunciare tali principi, sono le norme di attuazione che forniscono
la disciplina che regola sostanzialmente i rapporti tra i diversi poteri. Recenti
sviluppi indicano un avvicinamento tra i poteri legislativo ed esecutivo, ed
una sorta di “isolamento” del giudiziario rispetto ai due precedenti. Il ruolo
dei parlamenti è sempre più ridotto, mentre i governi finiscono sempre di più per
identificarsi col legislatore diventando così i soggetti sui quali si accentra
la crisi delle democrazie liberali. I parlamenti da legislatori divengono così
meri luoghi di dibattito e scambio di idee tra i vari gruppi. Detto ciò, il
governo, già detentore dell’esecutivo, diviene attore principale nel processo
legislativo.
Le iniziative legislative dei parlamenti sono sempre meno
ricorrenti, e comunque senza l’appoggio del governo, un progetto di legge solo
raramente riuscirà ad entrare in vigore. Questa tendenza è preoccupante e potrà
condurre ad una “onnipotenza” dell’esecutivo, e ad una marginalizzazione del
legislativo. Trattasi di una tendenza difficilmente arrestabile, e che a tratti
appare addirittura irreversibile. Il processo di incorporazione del potere
legislativo all’interno dell’esecutivo potrebbe trovare il giusto contrappeso
in un giudiziario forte ed indipendente. Solo così il singolo cittadino
potrebbe vedere tutelati efficacemente i suoi diritti di fronte ad un potere
esecutivo sempre più massiccio. Tale tutela è apportata dai tribunali civili e
penali, competenti a giudicare sui singoli casi, dai tribunali amministrativi,
competenti ad effettuare un controllo di legalità sugli atti della pubblica
amministrazione, ed infine dalle corti costituzionali, che valutano la
costituzionalità delle leggi adottate dai parlamenti. La difesa di questa
suddivisione dei poteri e di terzietà nell’amministrazione della giustizia
rispetto all’esecutivo vanno considerati i temi di fondo sui quali impostare la
vicenda referendaria che pure conterrà dentro di sé un complesso di
problematiche da non trascurare compresa quella più squisitamente legata alla
dinamica politico-elettorale per la quale è prevista una lunga rincorsa che
approderà alle elezioni legislative generali previste per l’autunno del 2027,
se non interverranno nel frattempo elementi di possibile accelerazione.