Il fisico ce l’aveva, e anche lo stile. Correre dietro un
pallone gli veniva bene: che fosse un campo vero o un brullo spiazzo di
periferia romana, a misurarsi con ragazzi di vita e piccoli teppisti divorati
dal male e dalla fame. Gli veniva bene come comporre versi sulla carta, e forse
erano i suoi momenti più felici. Per lui un rito, tanto che si era lasciato
andare fino a definirlo “L’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo”.
O no, caro Pier Paolo, il calcio rappresentazione sacra non lo è più – ammesso
che lo sia mai stato. È guerra dentro e fuori e spettacolo di ferocia e di
dolore. Oppio è divenuto, Pier Paolo: oppio dei diseredati ed empietà per i
nuovi mercanti del tempio. Angelo Gaccione