Elena Basile parla del suo nuovo
libro: Approdo per noi naufraghi (PaperFirst, pagg. 244 € 16,50). Il
titolo del libro di politica internazionale, pubblicato da PaperFirst,
Approdo per noinaufraghi richiama l’aspirazione principale del
saggio. Chi sono i naufraghi e dove è l’approdo? I naufraghi sono
innanzitutto i componenti del variegato mondo del dissenso, sono la generazione
Z ancora priva di soggettività politica ma unita per la pace e la condanna del
genocidio di Gaza. Sono anche i cittadini che non votano più perché
sfiduciati verso le Istituzioni e la politica. I naufraghi sono inoltre coloro
che votano malvolentieri, non convinti, che si arrendono perché “non c’è
alternativa”. In Italia come in Europa è essenziale creare una istanza
politica (a partire dai Partiti dell’arco costituzionale in grado di
prendere decisioni storiche di condanna del genocidio e del riarmo) possa
rappresentare le esigenze esistenti di contrasto alle politiche neoliberiste e
belliciste dell’imperialismo finanziario USA di cui l’UE è ormai l’appendice
poco dignitosa. Mi è apparso importante aprire il
confronto su alcuni temi di fondo che potrebbero indicare una direzione di
marcia unitaria, un denominatore comune a prescindere dalle diverse
sensibilità e identità dei partiti e dei movimenti accomunati dal contrasto
alle guerre in Ucraina e in Medio Oriente. Il libro esamina i fattori
geo-politici, economici, sociologici e culturali che hanno permesso la
trasformazione antropologica di un elettorato incline a premiare la maggioranza
Ursula malgrado il tradimento degli interessi dei popoli europei, il rischio
sempre più presente di un conflitto nucleare e la nostra evidente complicità
col genocidio del popolo Palestinese. I cambiamenti dello spazio mediatico
e culturale accompagnano la fine della dialettica capitale/lavoro, la nascita
della trappola del debito, la sostituzione del multilateralismo con la
mitizzazione della forza e dell’unipolarismo, la scomparsa della soggettività
operaia e dei corpi intermedi. Il materialismo edonistico trionfa nella società
liquida nella quale vagano individui senza radici e identità ormai privi di
aggregati sociali.
L’Unione Europea segue questa
tendenza generalizzata. Grazie all’approccio Monnet, celebra la cooperazione
settoriale e spazza via le basi di una costruzione politica e federale, crea
una moneta unica in una regione economicamente disomogenea,
risolvendo l’antitesi creditori-debitori a favore dei primi. I falsi europeisti
sostengono una maggiore integrazione che in un quadro economico privo di un
interesse comune e con una governance istituzionale mancante di legittimità
democratica, finisce per accentrare il potere in una burocrazia asservita ai
potentati economici. Cinghia di trasmissione tra lobby e Stati nazionali,
l’UE impone decisioni cruciali di politica economica e di politica estera
superando i meccanismi democratici insisti negli Stati nazionali. La resa delle classi dirigenti
europee alla militarizzazione del dollaro viene indagata nelle sue molteplici
cause profonde e nei meccanismi contingenti sintetizzabili nel finanziamento
dello spazio mediatico, nel racket degli istituti di ricerca, nell’hakeraggio
dei leader politici, nella sorveglianza dei flussi di denaro destinati
ai paradisi fiscali. Le prime tre parti del saggio
ritraggono la situazione di fatto con una documentata analisi dei molteplici
fattori in grado di porre fine al liberalismo, al multilateralismo, alle
costituzioni democratiche nate nel secondo dopoguerra, all’Europa sognata da
tanti umanisti. Ne emerge un ritratto impietoso dell’Occidente, artefice
di barbarie e attore dalla parte sbagliata della storia proprio nel momento in
cui ricorre a ideologie che risuscitano antichi miti del passato coloniale, il
suprematismo bianco pronto a riemergere in modo ricorrente nella nostra storia.
La copertina del libro
Il saggio tuttavia nella sua quarta
parte si dedica a definire un possibile approdo. La domanda, ispirata a
Spengler e al suo capolavoro Il tramonto dell’Occidente, a cui dobbiamo
rispondere per ritrovare il cammino smarrito, è: cosa possiamo salvare della
nostra Storia modulata sulla dialettica costante tra civiltà e barbarie? I
capitoli finali affrontano passaggi cruciali relativi alla mediazione con il
Sud globale, al rapporto tra Europa e BRICS, alla possibilità di sfuggire al
tragico destino delle potenze, esemplificato nella Trappola di Tucidide. Al
fine di evitare il conflitto nucleare occorre un cambio di paradigma.
La ragione tecnica separata dalla vita e incline a creare sviluppo dominando la
natura deve essere abbandonata per ritornare a Adorno, alla ragione
legata al vissuto, a sentimento e immaginazione. Di fronte alla minaccia
Nucleare, Climatica, Robotica bisogna chiedersi se la guerra non sia la sovrastruttura
ideologica teorizzata da Hobbes e sortita dalla pace di Westfalia, legata
al nostro particolare percorso storico e non un destino imprescindibile del
genere umano. Le concezioni del politologo tedesco Carl Schmidt e del
barone Carl Von Clausewitz hanno dato alla politica la funzione essenziale di
creare il nemico interno o esterno e di perseguirne il dominio col conflitto.
Di fronte al rischio dell’estinzione del genere umano sul pianeta, è lecito
domandarsi se la pace non debba invece essere assunta come la condizione
essenziale della politica, radicata nel DNA dell’umanità allo stesso modo
di come l’abolizione della schiavitù è entrata nel codice morale statunitense. Ho cercato, in conclusione, di
stimolare una riflessione sulle opzioni che restano in campo, riferendomi al
dibattito esistente nella sinistra tedesca tra Habermas e
Streeck. L’Europa federale e politica, che nulla ha a che vedere con la
odierna Unione modellata dai trattati di Maastricht e di Lisbona, potrebbe
risolvere il dilemma berlingueriano dell’uscita dalla
NATO? Potrebbe perseguire una politica estera di dialogo con i
Brics, ritornando agli ideali di giustizia sociale e libertà, ai beni comuni,
agli obiettivi di pace e prosperità, agli interessi delle classi lavoratrici europee?
Oppure è possibile sperare in un ritorno allo Stato nazionale? Questa la sfida
politica e culturale affrontata dal testo e che richiederebbe un dibattito
senza paraocchi. L’approdo, col contributo comune, potrebbe man mano profilarsi
all’orizzonte.