Mancano due mesi
all’inaugurazione delle Olimpiadi Milano Cortina 2026. I costi che dovevano essere zero hanno superato i 4 miliardi e alcuni terreni sono a rischio frane. Fontana (Regione Lombardia) e Sala (Sindaco di Milano) esultavano. Chi pagherà i debiti? Questo
‘grande evento’ cosa significa, in termini di ricadute sulle terre montane, i
territori, le città, nel pieno di una crisi climatica che tutti i poteri
istituzionali sembrano ignorare? Le ricadute sono sociali, ambientali,
economiche (altro che ‘ a costo zero’ come ci avevano detto, l’esborso di
denaro pubblico lievita di giorno in giorno per centinaia di milioni). Ma concentriamoci sull’acqua. Nevica
sempre meno e quindi aumenta la costruzione di bacini per l’innevamento
artificiale. Si arriva anche a prelevare neve dalle altissime quote con gli
elicotteri o a trasportarla da una pista all’altra con i camion. I bacini
artificiali per l’innevamento, che comportano cementificazione e uso improprio
dell’acqua, in Italia sono 158 per 1.800.000 mq. E altri sono in costruzione:
22 in Lombardia, 22 in Piemonte, 9 in Veneto e nel Trentino 60. Si fa questo
invece di diffondere la consapevolezza che bisogna cambiare strada perché questo
modello è insostenibile e puntare sulla riconversione del turismo invernale: ci
sono già stati casi, per esempio nel Friuli Venezia Giulia, in cui gli EELL
hanno dovuto dichiarare l’impossibilità di continuare a fornire acqua a questi
impianti perché bisogna dare ovviamente priorità alle utenze domestiche. L’innevamento
artificiale era una pratica usata solo come supporto eccezionale ma adesso è
diventata una prassi costante, con altissimi costi energetici e gravi ricadute
ambientali perché la neve artificiale è più compatta e pesante di quella
naturale, non lascia traspirare e soffoca il suolo, spesso poi viene coadiuvata
con sale chimico perché duri di più peggiorando la situazione. In tutto questo
stiamo parlando di uno spreco colossale di acqua, risorsa sempre più scarsa: per produrre due metri cubi di
neve occorre un metro cubo di acqua che significa migliaia di litri così come
significa milioni di kw. Si sta fabbricando un inverno artificiale sul crinale
di un disastro annunciato, ma al centro ci sono gli affari e le istituzioni
pubbliche sono totalmente sorde.
Negli ultimi 150 anni la superficie dei
ghiacciai si è ridotta del 60% e in modo sempre più veloce negli ultimi decenni
con l’acuirsi della crisi climatica. I ghiacciai rappresentano la più grande
riserva di acqua dolce, alimentano falde, fiumi e laghi. La loro ritirata
significa perdita delle risorse di acqua dolce che ci conservavano per l’estate
e i periodi di siccità. Le Olimpiadi ci avevano detto che dovevano garantire
sostenibilità economica e sostenibilità ambientale: invece enfatizzano la
monocultura dello sci, diseducano al rispetto dell’ambiente, allo stop consumo
di suolo, sapendo che l’industria dello sci porta con sé urbanizzazione,
infrastrutture, strade… e che tutto questo non ha niente a che fare con lo
sport che dovrebbe essere popolare, sostenibile e in armonia con la natura. Anche
Milano non sarà indenne dagli scempi edificatori e anche l’acqua sarà una
vittima delle grandi opere di cementificazione e impermeabilizzazione del suolo
che ne disturberanno il ciclo già sotto schiaffo per la crisi climatica. Nelle
condizioni attuali Olimpiadi e acqua non vanno d’accordo, ecco un motivo in più
per dire che sono insostenibili. Il saccheggio di Milano e dei 400 km di arco
alpino coinvolti, non termina però con la chiusura delle gare. Per questo il
nostro impegno deve continuare sull’eredità che le Olimpiadi lasceranno nei
quartieri e nei territori di montagna. A Milano dobbiamo pretendere che le
opere realizzate con i fondi pubblici (Villaggio olimpico - scalo Porta Romana -
e Pala Italia - quartiere Santa Giulia -) restino pubbliche, a disposizione del
bisogno di abitazioni e servizi delle persone che questa città la abitano.