Il giorno in cui il rock fece
beneficenza senza sapere come si fa. Non era
Natale. Ma come spesso accade con le cose importanti, tutti si comportarono come
se fosse un Natale senza istruzioni. Nel 1971 il Bangladesh stava vivendo una
guerra di liberazione, una carestia, le conseguenze di un ciclone devastante e
l’indifferenza quasi totale del resto del pianeta. Milioni di profughi
attraversavano confini che nessuno aveva voglia di guardare troppo da vicino. I
giornali occidentali ne parlavano poco e male, quando ne parlavano. Ravi
Shankar, che invece guardava eccome, fece una cosa molto poco rock: chiese
aiuto. George Harrison ascoltò. E fece una cosa ancora meno rock: si mise al
lavoro. Un’idea semplice, che infatti sembrava impossibile. L’idea era
elementare, quasi ingenua: fare un concerto per raccogliere fondi e attenzione
per il Bangladesh. Niente slogan complicati. Niente effetti speciali. Solo musica, nomi importanti e
una causa che non si poteva ignorare una volta pronunciata ad alta voce. Il 1°
agosto 1971, al Madison Square Garden, si tennero due concerti nello stesso
giorno. Perché quando sei in ritardo con la coscienza, raddoppi. Il pubblico
applaude. Era presto. Molto presto. Lo spettacolo iniziò con la musica classica
indiana. Ravi Shankar, Ali AkbarKhan, Alla Rakha, Kamala Chakravarty salirono
sul palco con strumenti antichi e pazienza infinita. Shankar spiegò che il
brano sarebbe stato breve. Il pubblico applaudì subito. Non per entusiasmo. Per
educazione. E anche perché non aveva capito che la musica non era ancora
iniziata. Shankar sorrise. Aveva visto di peggio. Poi arrivò il Natale rock. Dopo
l’introduzione indiana, il palco cambiò faccia. E anche l’aria. Salirono: George
Harrison, con la calma di chi sa di avere una responsabilità, Ringo Starr, che
non si tirava mai indietro, Bob Dylan, che non saliva su un palco importante da
anni e sembrava esserselo ricordato all’ultimo, Eric Clapton, Billy Preston,
Leon Russell, Badfinger. Nessuno venne per soldi. Le canzoni non cambiarono il
mondo, ma gli ricordarono che esisteva il Bangladesh.
I
regali
dopo la festa Dal concerto uscirono: un album
dal vivo (triplo LP), pubblicato nel dicembre 1971, un film documentario,
distribuito nel 1972. L’album vinse il Grammy per Album dell’Anno nel 1973, probabilmente
uno dei pochi premi musicali assegnati a qualcosa che aveva davvero provato a
fare del bene. I fondi raccolti - biglietti, dischi, film - finirono
all’UNICEF. Non subito. Non senza avvocati. Non senza problemi fiscali. Ma finirono
lì. E questo, a volte, è già un lieto fine.
Il Bangladesh, finalmente in
prima pagina Prima del concerto, il Bangladesh
era un posto lontano. Dopo, era un nome che la gente aveva sentito pronunciare
da Bob Dylan - e questo, negli anni Settanta, contava. George Harrison pubblicò
anche “Bangla Desh”, una canzone che non cercava metafore complicate: diceva le
cose come stavano, cosa piuttosto rivoluzionaria per l’epoca. Il Concert for
Bangladesh fu il primo grande concerto benefico del rock. Non sapeva di
esserlo. Non aveva un manuale. Fece errori, inciampi, confusioni contabili. Ma
aprì una porta. Dopo di lui, nessuno poté più
fingere che musica e mondo reale fossero due stanze separate. E forse è questo
il vero spirito natalizio della storia: non la perfezione, non il miracolo, ma
qualcuno che decide di fare qualcosa - anche senza sapere esattamente come.