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martedì 23 dicembre 2025

NON SOLO MUSICA
di Francesca Mezzadri


 
Il giorno in cui il rock fece beneficenza senza sapere come si fa.
 
Non era Natale. Ma come spesso accade con le cose importanti, tutti si comportarono come se fosse un Natale senza istruzioni. Nel 1971 il Bangladesh stava vivendo una guerra di liberazione, una carestia, le conseguenze di un ciclone devastante e l’indifferenza quasi totale del resto del pianeta. Milioni di profughi attraversavano confini che nessuno aveva voglia di guardare troppo da vicino. I giornali occidentali ne parlavano poco e male, quando ne parlavano. Ravi Shankar, che invece guardava eccome, fece una cosa molto poco rock: chiese aiuto. George Harrison ascoltò. E fece una cosa ancora meno rock: si mise al lavoro. Un’idea semplice, che infatti sembrava impossibile. L’idea era elementare, quasi ingenua: fare un concerto per raccogliere fondi e attenzione per il Bangladesh. Niente slogan complicati. Niente effetti speciali.
Solo musica, nomi importanti e una causa che non si poteva ignorare una volta pronunciata ad alta voce. Il 1° agosto 1971, al Madison Square Garden, si tennero due concerti nello stesso giorno. Perché quando sei in ritardo con la coscienza, raddoppi. Il pubblico applaude. Era presto. Molto presto. Lo spettacolo iniziò con la musica classica indiana. Ravi Shankar, Ali AkbarKhan, Alla Rakha, Kamala Chakravarty salirono sul palco con strumenti antichi e pazienza infinita. Shankar spiegò che il brano sarebbe stato breve. Il pubblico applaudì subito. Non per entusiasmo. Per educazione. E anche perché non aveva capito che la musica non era ancora iniziata. Shankar sorrise. Aveva visto di peggio. Poi arrivò il Natale rock. Dopo l’introduzione indiana, il palco cambiò faccia. E anche l’aria. Salirono: George Harrison, con la calma di chi sa di avere una responsabilità, Ringo Starr, che non si tirava mai indietro, Bob Dylan, che non saliva su un palco importante da anni e sembrava esserselo ricordato all’ultimo, Eric Clapton, Billy Preston, Leon Russell, Badfinger. Nessuno venne per soldi. Le canzoni non cambiarono il mondo, ma gli ricordarono che esisteva il Bangladesh.



I regali dopo la festa
Dal concerto uscirono: un album dal vivo (triplo LP), pubblicato nel dicembre 1971, un film documentario, distribuito nel 1972. L’album vinse il Grammy per Album dell’Anno nel 1973, probabilmente uno dei pochi premi musicali assegnati a qualcosa che aveva davvero provato a fare del bene. I fondi raccolti - biglietti, dischi, film - finirono all’UNICEF. Non subito. Non senza avvocati. Non senza problemi fiscali. Ma finirono lì. E questo, a volte, è già un lieto fine.



Il Bangladesh, finalmente in prima pagina
Prima del concerto, il Bangladesh era un posto lontano. Dopo, era un nome che la gente aveva sentito pronunciare da Bob Dylan - e questo, negli anni Settanta, contava. George Harrison pubblicò anche “Bangla Desh”, una canzone che non cercava metafore complicate: diceva le cose come stavano, cosa piuttosto rivoluzionaria per l’epoca. Il Concert for Bangladesh fu il primo grande concerto benefico del rock. Non sapeva di esserlo. Non aveva un manuale. Fece errori, inciampi, confusioni contabili. Ma aprì una porta.
Dopo di lui, nessuno poté più fingere che musica e mondo reale fossero due stanze separate. E forse è questo il vero spirito natalizio della storia: non la perfezione, non il miracolo, ma qualcuno che decide di fare qualcosa - anche senza sapere esattamente come.