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martedì 23 dicembre 2025

PROPRIETÀ INTELLETTUALE
di Olindo Cervi
 

L’economista Olindo Cervi a proposito dell’articolo di Francesca Mezzadri apparso su “Odissea” martedì 16 dicembre scorso dal titolo “Il treno dei bambini” https://libertariam.blogspot.com/2025/12/il-treno-dei-bambini-di-francesca.html ci ha fatto pervenire questo scritto.
 
Noi economisti siamo fortemente disprezzati causa le teorie neoliberiste che hanno distrutto completamente due continenti, ma le assicuro che tanti di noi sono ancora persone umane che pensano al bene comune e non al ladrocinio e alla propaganda tanto di moda al giorno d’oggi. Da economista, oltre ad apprezzare il valore storico-culturale del suo articolo, vorrei complimentarmi per aver involontariamente (o forse no) messo in luce un caso di studio esemplare di fallimento del mercato delle idee e di inefficienza nell’allocazione dei diritti di proprietà intellettuale. La sua analisi, infatti, può essere letta come un brillante report sull’asimmetria informativa e sull’esternalità negativa in un settore cruciale: quello della produzione e distribuzione della memoria collettiva. Le fornisco una mia lettura:
1.- Fallimento del Mercato e Asimmetrie di Potere
Il suo articolo documenta un classico caso di “market for lemons” (articolo scritto da George Akerlof premio Nobel per l’economia), adattato al mercato editoriale.
Asimmetria Informativa
Il lettore (consumatore) non può facilmente distinguere, nel prodotto finale (il romanzo di successo), la “qualità” derivante dal lavoro di ricerca originale (di Rinaldi, Cappiello, Piva) da quella della rielaborazione narrativa. L’informazione sulla provenienza delle fonti è nascosta o opaca.
Spiazzamento del Bene di Qualità
Il prodotto “low-cost” in termini di investimento in ricerca (il romanzo che si appropria di narrazioni già elaborate) cattura la maggior parte del profitto e dell’attenzione, rischiando di spiazzare dal mercato i produttori del bene originale (la ricerca storica di prima mano), che ha costi più alti e rendimenti economici più bassi. Questo crea un incentivo perverso a investire in promozione più che in ricerca.


2.- Diritti di Proprietà Intellettuale e Beni Pubblici
La memoria storica documentata è un bene pubblico nel senso economico: è non-rivale (molti possono usarla contemporaneamente) e, in questo caso, non-escludibile (non si può impedire a un autore di fiction di attingervi). Non si tratta della sovra-utilizzazione tipica dei beni comuni, ma del problema opposto: la sotto-ricompensa per i creatori originari. I ricercatori investono risorse (tempo, denaro, capitale umano) per creare un bene (la narrazione documentata) che poi diventa un input a costo quasi zero per un altro agente (l’autore di fiction) che ne cattura la maggior parte del valore di mercato. Questo disallinea incentivi e può portare a una sotto-produzione futura di ricerca storica originale.
3.- Esternalità Negative e Fallimento della Coordinazione
Esternalità Negativa sulla Ricerca: L’atto di non citare le fonti genera una esternalità negativa diretta sui ricercatori: il loro lavoro viene svalutato economicamente e simbolicamente, e il loro capitale reputazionale non viene “capitalizzato”. Il mercato, da solo, non internalizza questo costo. Per i singoli ricercatori, il costo di far valere i propri diritti morali (attribuzione) e di negoziare un compenso (se dovuto) è proibitivo rispetto ai benefici attesi. Questo rende inefficiente la soluzione privata e giustifica la necessità di una norma sociale forte (l’etica della citazione) che il suo articolo contribuisce a rafforzare.



4.- Investimento in Capitale Sociale e Sovranità della Memoria
Il suo lavoro tocca un punto cruciale di economia politica: chi controlla e monetizza la narrazione della memoria collettiva? Il “lavoro di ricerca povero” descritto è un investimento in capitale sociale e culturale che produce un bene fondamentale per la coesione sociale: una memoria condivisa e affidabile. Consentire che questo bene venga privatizzato e rivenduto senza un riconoscimento adeguato crea una distorsione nel mercato delle idee e una perdita di sovranità sulla nostra stessa storia. La sua analisi è un potente argomento per la trasparenza come regolamentazione necessaria per correggere questa distorsione.



Conclusione da povero economista:
Il suo articolo non è solo un contributo etico o storiografico. È un contributo a un principio caro agli economisti con un’anima: l’efficienza del mercato culturale. Promuovendo trasparenza, attribuzione chiara e riconoscimento del lavoro altrui, lei propone un meccanismo per:
a) Ridurre l’asimmetria informativa tra produttori e consumatori di cultura.
b) Allineare gli incentivi, in modo che investire in ricerca originale torni ad essere premiato, anche simbolicamente.
c) Correggere l’esternalità negativa sull’ecosistema della ricerca indipendente.
d) Proteggere la diversità produttiva nel mercato delle idee, evitando il monopolio narrativo di pochi grandi attori.
In sostanza, ha scritto un articolo chiaro, accessibile e fondamentale per la salute del nostro mercato culturale.