PIAZZA FONTANA E
STRATEGIA DELLA TENSIONE di Franco Astengo
Ricorrenza della strage di Piazza
della Fontana, momento di snodo fondamentale nella storia della democrazia
italiana. Un evento
drammatico non ancora chiarito fino in fondo se non nella sua identità
esecutiva che, al momento, si cercò di indirizzare dal punto di vista
dell’impatto pubblico coinvolgendo, come tutti ricordiamo, gli anarchici:
tentativo spezzato da una forte resistenza democratica che vide in prima linea
anche settori molto significativi del mondo dell’informazione. Per quindici
anni, dal 1969 al 1984 l’Italia apparve al mondo intero immersa in una crisi
caratterizzata dal succedersi di stragi e atti terroristici che provocarono più
di 360 vittime e circa 4.500 feriti: non si possono però dimenticare gli anni
precedenti, quelli della feroce repressione poliziesca delle lotte operaie e
contadine fino al drammatico Luglio ’60 nella vicenda italiana deldopoguerra. Sono stati gli anni che si
collocano storicamente tra l’emergere della contestazione studentesca e delle
lotte operaie e lo stabilizzarsi della situazione politica con l’ascesa al
potere del leader socialista Bettino Craxi alla guida di una coalizione di
pentapartito che resse fino al crollo del vecchio sistema politico nei primi
anni’90. La vicenda del terrorismo però ha le sue radici in un periodo
antecedente e anzi percorre tutto il cinquantennio dalla Liberazione in avanti
coincidendo, in sostanza, con la fase della guerra fredda. È giusto, ancora in questo
momento, chiarire ancora una volta il quadro d’insieme entro cui si è collocata
quella stagione. In particolare è indispensabile spiegare in che senso si
parlava allora di “doppio stato” o “stato parallelo” giacché molte diverse
accezioni si sono diffuse nel corso di questi anni, in particolare dopo la
pubblicazione nel 1989 di un importante saggio di Franco De Felice con il quale
si propose il tema del “doppio stato” e soprattutto della “doppia lealtà” alla
Costituzione e all’Alleanza Atlantica. “Doppia lealtà” che avrebbe
contrassegnato il comportamento di una parte della classe dirigente italiana e
che spiegherebbe appunto la partecipazione di quegli uomini alla “strategia
della tensione” proprio a partire da Piazza della Fontana per arrivare al
rapimento Moro. La categoria di “doppia lealtà” introdotta da De Felice fu
assunta peraltro come fondamentale nella proposta di relazione del presidente
della Commissione stragi Pellegrino nel dicembre 1995.
Quali
erano gli obiettivi degli epigoni dello “Stato duale”? sfruttando l’idea
dell’esistenza di un pericolo d’invasione dall’Est fin dagli anni’50 e poi in
quelli’60 si pensò a un tentativo di instaurare nel nostro Paese un regime
militare sull’esempio greco o turco. Poi l’avanzata delle lotte operaie e
studentesche alla fine del decennio e la pressante richiesta di una più ampia
democratizzazione del Paese portarono, proprio in coincidenza con piazza della
Fontana, all’idea che occorresse arrestare quel flusso, stabilizzando gli
equilibri politici italiani all’interno di un quadro moderato secondo l’impostazione
sostenuta dai governi degli Stati Uniti, dall’alleanza atlantica e delle loro
organizzazioni militari e di spionaggio. L’obiettivo fu conseguito ma si trattò
di un obiettivo parziale, di “sostanziale tenuta”. Per “lorsignori” occorreva
andare ben oltre. A quel punto, infatti, al momento dell’implosione del sistema
e del procedere dell’egemonia del tipo di specie capitalistica (legata a
precise istanze presenti nell’enorme processo di finanziarizzazione
dell’economia poi definito come “globalizzazione”) insediatosi anche ai vertici
della Comunità Europea si è proceduto allo smantellamento della democrazia
italiana attraverso vie diverse da quelle terroristiche. Atti terroristici non
sono comunque ancora mancati all’interno della lotta/collusione/trattativa fra
la criminalità organizzata (che mantiene comunque il controllo di vaste aree
del Paese anche attraverso l’infiltramento occulto in vari settori economici) e
poteri dello Stato. La base di riferimento di questo smantellamento della
democrazia repubblicana è stata costruita prima di tutto attaccando la
sovrastruttura istituzionale così com’era stata concepita con la Costituzione. In questo senso ci si è mossi con
l’adozione del sistema elettorale maggioritario nel 1993 e l’elezione diretta
di Sindaci e Presidenti di Provincia e di Regione e si sta ancora cercando di
realizzare spostando la “centralità del parlamento” attraverso artifiziconnotati da un’istanza di presunta “democrazia
diretta” e di adeguamento alle novità di raccolta di un apparente consenso
realizzata attraverso gli strumenti tecnologici per sfociare adesso, in una
fase di profonda crisi delle democrazie liberali e del ritorno al pericolo di
guerra in un tentativo di passaggio dal profilo autocratico che principia dalla
questione della magistratura e arriverà al tema del rapporto diretto trail Capo e le masse mutando in senso
plebiscitario il meccanismo elettorale. Il tutto del resto era già stato
ben rappresentato dal documento di “Rinascita Nazionale” redatto dalla loggia
massonica P2 nel 1975.
In realtà
a questo punto ci sarebbe da aggiungere un punto di riflessione che fin qui in
pochi hanno affrontato. Nel corso del dopoguerra si è tanto parlato di
“doppiezza togliattiana” per indicare una sorta di bi-frontismo del PCI, da una
parte legato al sistema sovietico e dall’altra in linea con i principi della
Costituzione Repubblicana. Tanto è vero che in Italia funzionarono per tanti
anni due concezioni di schieramento all’interno del sistema: la prima che
delimitava il campo di governo attraverso l’esercizio della “conventio ad
excludendum”, l’altra contrassegnata dall’esistenza del cosiddetto “arco
costituzionale” formato dai partiti che - appunto - avevano votato il testo
della Costituzione alla fine del 1947 e attraverso il quale continuava a
esercitarsi una “solidarietà nazionale” riferita ai grandi temi del
funzionamento delle istituzioni rappresentative. Ma si è sempre parlato poco di
“doppiezza democristiana”: da una parte il partito “democratico”, quello dei
“professorini” della sinistra tendente, dopo il centro sinistra, alla “terza
fase” morotea e dall’altra il partito “conservatore”, bloccato attorno alle
parti più retrive della gerarchia cattolica, all’alta burocrazia di Stato erede
diretta di quella fascista, agli alti gradi dell’esercito, alle parti più
intransigenti della Confindustria oltre che ai legami con settori dei servizi
segreti confinanti anche con parti della criminalità organizzata e pronti a
incontrarsi con Gelli all’Excelsior o al Grand Hotel. Tutto frutto della “logica dei
blocchi” o da parte della DC dentro ad una logica di conservazione del
potere fondato su di un feroce dominio di classe, legame con le parti più
oltranziste della politica USA con connessione diretta tra Patto Atlantico e
Unione Europea: insomma all’interno della realtà del “regime democristiano” di
matrice clericale e conservatore?
Interrogativi
che ancora pesano, che ci fanno pensare come lo “stato duale” in realtà fosse
direttamente connaturato proprio con il regime democristiano: l’analisi delle
vicende legate ai 55 giorni del rapimento Moro, nove anni dopo la strage di
Piazza della Fontana, lo dimostra ampiamente sollevando anche il tema del
mutamento di quadro rispetto al confronto tra “partito della fermezza” e
“partito della trattativa” che caratterizzò a quel tempo la fase politica
segnando una faglia decisiva nell’intero sistema politico che ci siamo
trascinati fino alla dissoluzione del sistema dei partiti e all'avvento della
stagione del maggioritario, della personalizzazione, del progressivo distacco
dalla partecipazione politica di grandi masse ulteriormente ingannate dalla “democrazia
diretta” e “dall’uno vale uno”. Oggi nel momento in cui si indurisce il profilo
bipolare in una società inchiodata dalla tecnocrazia, dall’esigenza di
transnazionalità dei livelli decisionali, dal potere delle over the top,
dal progressivo disincanto prodotto dall’individualismo competitivo si tratta
di non demordere dal “cercare ancora” e - assieme - dal non interrompere la
capacità di memoria: ciò che accadde in quel 12 dicembre 1969 non deve essere
regalato all’oblio.