UNA GIOIOSA FATICA
di Federico
Migliorati
Articolo pubblicato
sul settimanale Il Gazzettino Nuovo di giovedì 6 novembre 2025. Lo proponiamo
ai nostri lettori su gentile concessione.
È un lungo corso in cui spiccano eleganza di forme e
profondità di contenuti quello che Angelo Gaccione, scrittore, poeta,
drammaturgo, ha posto in essere a far data dall’adolescenza e sino ad oggi nel
genere dei versi. Lo si evince da Una gioiosa fatica - 1964-2022 (La Scuola
di Pitagora, 160 pagine, 16 euro, con note di Franco Loi, Tiziano Rossi e
Fulvio Papi), l’autoantologia curata da Giuseppe Langella suddivisa in dodici
sezioni in cui è condensata una produzione vivace e civile, affabulatoria ed
epigrammatica, versatile, insomma, com’è nella conformazione culturale dell’autore.
Gaccione, che fu tra i protagonisti della stagione dell’impegno nel disarmo a
fianco di Carlo Cassola negli anni Settanta-Ottanta, è intellettuale fecondo e
attento a quel “rumore continuo della vita”, per dirla con il creatore de La
ragazza di Bube, a cui ha sempre prestato orecchio: basterebbe citare
“Odissea”, nata su suo impulso nel 2003 e per dieci anni uscita come rivista
cartacea per poi continuare in forma digitale e dove sono ospitati nomi
illustri del panorama italiano e internazionale. Il suo è uno sguardo sul
presente e sul passato, nell’immaginazione e nella realtà, consapevole del
valore della letteratura nella società, uno sguardo mai disgiunto dall’attualità:
i suoi strali contro gli armamenti e i signori delle guerre, contro gli orrori
dei campi di sterminio, le sue crociate in favore di poveri, derelitti,
bambini, emigranti, carcerati, vittime della fame e dei conflitti, ma altresì
la sua battaglia per l’ambiente, per la salvaguardia degli alberi della sua
Acri, contro l’inquinamento, la speculazione edilizia, il malaffare ne fanno
uno scomodo e necessario testimone del nostro tempo, alieno a ogni ritirata
sotto comode e sicure torri eburnee del pensiero. Si definisce “partigiano”,
uomo di “una sola parte”, quella della vita (per tornare a Cassola), come
recupera in uno dei versi della raccolta, contro la “cecità dell’Occidente” e
“l’uomo infame del mio tempo”. Nel prosieguo degli anni Gaccione ha affilato la
sua penna senza tuttavia perdere in incisività ed efficacia: la sua vasta cultura
(“nessun libro mi è ostile”), alimentata anche dal confronto costante con altri
poeti e scrittori, si palesa nei rivoli di versi dedicati a Milano, città
d’adozione “amata-odiata”, “mia città mio cuore”, dove vive dagli anni Settanta
e di cui conosce ogni anfratto, così come alle innumerevoli località che ha
toccato, per diletto o per lavoro, in Italia e altrove e di cui il libro in
oggetto fa menzione. Una poetica forte e battagliera che va di pari passo con
una scrittura più lirica là dove titilla il proprio cuore, negli affetti familiari
e amicali (deliziosa la simil ode all’indimenticabile sacerdote-poeta David
Maria Turoldo con cui fu sempre in simbiosi), nei rimandi a un’epoca di
gioventù o a refoli di una gioia leggera (“Balcone spalancato sfido le ombre/
in agguato e danzanti…”, “lascia che ancora e sempre ti ricordi, /col canto
lieto e vivo nella gola”). Le ultime composizioni, risalenti al 2022 e di
sapore buzzatiano, sono incistate di un’ironia graffiante che nulla toglie in
lucidità di osservazione e di giudizio, quasi sessant’anni dopo i versi
adolescenziali. Il pensatore Gaccione, che misura con la letteratura e la
poesia, la civiltà del nostro tempo, c’è ancora spazio per un’etica del fare e
di un nuovo umanesimo: del resto “sono sempre partito dall’uomo/ e nulla mi ha
più interessato/ quanto il suo cuore”.