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domenica 24 novembre 2013

Il Vajont nel cuore di Milano

La mano alzata di un bimbo a chiedere “Perché?”, l'imbarazzo di un adulto chiamato a rispondere ad un difficilissimo quesito inatteso, reso ancora più tremendo per l'emozione, il dolore che si rinnovavano all'istante. Così è iniziato lo stravolgimento di un programma dettagliato, sommerso dall'onda della sofferenza individuale sfociata in un susseguirsi di interventi per raccontare di quei corpi martoriati ritrovati sotto il fango , di quelle cronache per quotidiani ,radio, televisioni quasi impossibili anche per le firme più autorevoli.

Giornalisti ed Alpini. Uomini di cultura e semplici cittadini.

Milanesi, Bellunesi, Friulani, Polacchi, Giapponesi, cittadini dell'hinterland, hanno occupato tutti i posti disponibili nella sala liberty del Circolo Filologico di Milano per ricordare, onorare, meditare la tragedia del Vajont.                                                                                                                    Mentre alle spalle  di Lucia Vastano, Luciano Pezzin e Tullio Filippin scorrevano le immagini di allora, l'interesse ed il desiderio di conoscere, capire aspetti taciuti per anni dell' ”evento” si accendevano; sui visi di molti del pubblico lo stupore, la perplessità, l'incredulità della persona onesta incapace di tollerare, sopportare un'impresa tanto deprecabile di soprusi perpetrati dai potenti nei confronti di una popolazione tranquilla, raggirata con promesse di sviluppo  turistico di quel territorio così avaro di soddisfazioni economiche.

Lacrime sulle gote di molti alla proiezione del documentario
girato nel periodo natalizio del 1963.

A Tullio Filippin il compito di spiegare l'antefatto: non una sterile sequenza di studi, eventi, divergenza di pensiero ma l'appassionato racconto della vita quotidiana della popolazione costretta a rinunciare alla propria casa, alla propria attività, alle proprie abitudini mentre le scosse di terremoto  sempre più frequenti rendevano difficile mantenere l'equilibrio nel proprio intimo e l'invaso su alla diga veniva forgiato; a Lucia Vastano, con la franchezza che la contraddistingue, il puntualizzare, completare, integrare i fatti citati da Filippin a tragedia avvenuta, nel lungo periodo in cui l'omertà, i l rimescolamento delle carte sembrava avere la meglio; a Luciano Pezzin, sindaco di Erto, il metter a nudo la tragedia nella tragedia, ovvero lo smembramento del paese di Erto la cui comunità chiamata a dover scegliere se restare ad abitare il paese o sfollare in altra località si è divisa, messe famiglie contro famiglie, devastato  ogni legame parentale ed affettivo.                           Ecco l'onda lunga del Vajont! Col suo cargo di silenzio, di verità nascosta, di sofferenza che si perpetua nelle generazioni di figli e nipoti i quali non hanno tombe autentiche su cui piangere e pregare, non hanno vecchie mura fra le quali ritrovare i ricordi di famiglia, ancora si abbatte all'improvviso sul cuore ,esonda nella mente. 
Chopin: agili ed abili dita accarezzano i tasti dell'antico piano, si diffondono le celebri note a completare l'armonia di un pomeriggio che non lascia spazio a distrazioni, a superficialità.            La maestria dell'interpretazione è dote di Chitose Matsumoto, musicista e soprano, rappresentante dei musicisti ospiti di Casa Verdi in un ideale continuum con le celebrazioni svoltesi a Longarone.               Non vi è tempo per la proiezione di altri filmati.  Milano stessa si eleva a protagonista dell'amore per una terra le cui ferite sono nella sua memoria, nel ricordo di serene vacanze, di amicizie perdute in quel mare di fango ladro consapevole di affetti del quale i Milanesi non riescono a rimuovere le immagini. Sono le foto di giovani sorridenti là fra i boschi del monte Toc, sul greto del Vajont che passano di mano in mano  mentre fra tutti si propaga l'invito a vegliare affinché non vi siano altri Vajont in nessun altro angolo di mondo: la loro esistenza terrena negata trova ora riscatto nel ricordo perenne di chi sfiora quei cartoncini in un gesto di tenere carezze."
Tiziana Faoro