Da
Bossi a Renzi nel contado di Vanna Marchi
Una spietata analisi sulla politica italiana
del romanziere Cataldo Russo
Nel mio romanzo satirico
Cortigiani,
giullari e mammasantissima del
2010, ho voluto parlare in forma satirica degli ultimi 25 anni di storia
italiana, perché ritenevo questo genere letterario più adatto a esprimere le
contraddizioni, i limiti e i paradossi di una realtà che sembrava essere
diventata la rappresentazione teatrale di tutti i nostri pregi, i nostri
difetti e i nostri limiti. Ponendo in risalto l’inganno, le bugie della
cosiddetta Seconda Repubblica, mi ero illuso di far riflettere gli italiani sul
pericolo che stavano correndo togliendo la politica dalle mani dei politici
che, per carità, nella maggior parte si erano rivelati corrotti, interessati
più a fare i propri interessi e quelli degli amici che non quelli del paese,
per passarla nelle mani di imbonitori alla Vanna Marchi e di demagoghi alla Cola Da Rienzi.
Vanna
Marchi, “Sono proprio figa”
Nel
passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica, non vedevo alcuna autentica
volontà di rottura o desiderio di intraprendere la via della legalità e della
lotta alla corruzione, agli sprechi e al parassitismo. Solo enunciati, promesse
e dichiarazioni di intenti, ma nessun fatto concreto. Inoltre, vedevo troppi
lillipuziani che, sdoganati dalla loro mediocrità dal convincimento sempre più
diffuso nel paese del tanto peggio tanto meglio,
ricalcitravano per assurgere a
capipopolo, a leader di un cambiamento che era soltanto una finzione, un cambio
di scena, il passaggio dal melodramma al dramma.
Anche
se il termine demagogia può significare diverse cose, il significato più comune
di demagogo è la capacità e l’attitudine che una persona evidenzia nel servirsi delle masse popolari, dello
loro passioni e delle loro debolezze, dopo averle eccitate con slogan e
promesse, per realizzare le proprie ambizioni e i propri fini.
Se i
politici della Prima Repubblica potevano apparire come calchi di gesso fra
statue di marmo, se rapportate ai grandi pensatori del passato, i politici
della seconda repubblica appaiono sempre più come rappresentazioni in
polistirolo di quegli stessi calchi.
L’imbonitore
Umberto
Bossi, “Fottetevi!”.
Verso
la fine degli anni ’70 e inizi degli anni ’80, il primo demagogo con forti
connotati populisti e da imbonitore che fece la sua comparsa sul palcoscenico
della politica italiana fu Umberto Bossi, un uomo senza arte né parte, rozzo,
incolto, come incolti saranno i suoi figli che andranno a comperarsi i titoli
di studio in Albania; sanguigno, però, capace, attraverso contumelie, slogan e
promesse, di accendere gli animi di quei
cittadini che volevano essere riscattati dalla loro mediocrità e dai tanti luoghi
comuni e dalle piccole infamie che circolavano sugli italiani.
Egli
aveva capito che se voleva avere il loro consenso incondizionato doveva
riportarli indietro di quasi due secoli, all’Italia pre risorgimentale, dove
esistevano i regni e i comuni, ma non la nazione.
Sapeva
anche che l’abilità di un demagogo sta tutta nella capacità di saper trovare un
nemico da dare in pasto all’opinione pubblica e su di esso costruire la propria
fortuna. I nemici non potevano che essere Roma, in quanto capitale della
nazione, il meridione con le sue contraddizioni e il dipendente pubblico.
Per
raggiungere lo scopo si inventò un’identità fittizia, la Padania, di cui egli
stesso non conosceva nulla, attribuendo spesso ad avidi imprenditori ed evasori di professione attestati di onestà,
laboriosità e capacità in nome del
pedigree. Poi tracciò una linea netta di demarcazione fra il bene e il male,
facendo risiedere il primo nel Nord e il secondo tout court nel Sud. Così molti
cittadini del Nord finirono con il non vedere la corruzione in grande stile che
dilagava, anche nella loro amata Padania, e l’intreccio mafia-imprenditoria che
stava metastatizzando proprio il tessuto di quella entità geografica che
avrebbe dovuto risultarne esente.
Bossi
verrà smentito dai fatti e smascherato, perché preso con le mani nella marmellata, come tanti altri
politici. Gli arresti e gli avvisi di garanzia fra dirigenti, parlamentari,
consiglieri e presidenti di province e regioni della Lega, evidenziarono in
maniera impietosa l’inganno di questo movimento, che aveva fatto dell’onestà la
propria bandiera, ma che nei fatti non si comportava in maniera diversa dai
cosiddetti partiti romani, contro i quali aveva sputato fango a iosa.
I
danni fatti dalle varie leghe e lighe al Nord
in tutti questi anni sono stati incalcolabili. Concentrate sulla ricerca
di un’ipotetica identità padana e sull’attribuzione di un pedigree, leghe e
lighe hanno finito con l’accelerare e favorire il tracollo economico proprio
del Nord, facendo credere che il nemico fosse, di volta in volta, il
meridionale, l’extracomunitario, il non leghista, quando invece i veri nemici
erano la finanza criminale, la delocalizzazione selvaggia, la disoccupazione,
la precarietà, l’estrema povertà dei paesi del terzo mondo, le paghe da miseria
dei lavoratori indiani, cinesi, pachistani, rumeni, eccetera .
L’unto
del Signore
Verso
la metà degli anni ’80 faceva il suo ingresso trionfale sulla scena politica
italiana il populismo da crociera dell’unto del Signore. Il cavaliere di Arcore in brevissimo tempo
assurgeva, grazie ai numerosi giornali e alle televisioni, di cui era
proprietario incontrastato, e al fiume di denaro messo in campo, di cui non si
è mai capito l’origine, a dignità di parlamentare.
L’Italia,
sotto la sua guida, è diventata un paese da operetta, perdendo la stima che si
era faticosamente accreditata nel passato.
Berlusconi
ha piegato il largo consenso di cui ha goduto, non per risolvere i problemi del
paese, ma alle proprie schizofrenie, recitando, di volta in volta, il ruolo di
taumaturgo, di sciamano, di statista, di perseguitato politico, di vittima
sacrificale di una giustizia colpevole, a suo dire, di volerlo considerare come gli altri nelle
aule dei tribunali e non un privilegiato e, come tale, non perseguibile.
Strabiliante
l’abilità e la disinvoltura con cui prometteva milioni di posti di lavoro,
mentre le aziende chiudevano o delocalizzavano, nell’assoluta indifferenza dei
governi da lui presieduti, mettendo sul lastrico milioni di lavoratori;
dichiarava di ridurre le tasse, mentre di fatto le aumentava; giurava di far
rientrare i capitali dai paradisi fiscali, mentre ne favoriva la fuga. Ma l’elenco dei
fatti contrari agli enunciati è talmente lungo che occorrerebbero pagine e
pagine di analisi.
Egli
in politica ha portato anche il nuovo, è vero, ma quel nuovo non era
rappresentato dalla competenza, dall’onestà, dall’ardore giovanile, dalla
freschezza mentale, ma da un esercito di lacchè e ragazze coccodè pronto ad
assecondarlo e imbandirlo in ogni modo.
Il
comico demagogo
Negli
ultimi anni, un altro demagogo, Grillo, si è affacciato alla ribalta mietendo
successi a man bassa. Contrariamente a Bossi, egli non gioca sul concetto di
identità, ma sulla denigrazione tout court dell’avversario, rappresentato
genericamente dal politico, senza alcuna distinzione, e dal dipendente
pubblico. La rappresentazione che egli fa dell’Italia dal suo blog è a dir poco
grottesca, quasi surreale. Politici, prelati, uomini di cultura, giornalisti,
ma anche semplici lavoratori, insomma tutti coloro che non la pensavano come
lui, finiscono alla gogna, passando attraverso il tritacarne della maldicenza e
dell’ingiuria. In pochi anni egli è
stato capace di trasformare gli slogan in palle di cannone, le contumelie in
frecce avvelenate, le insinuazioni in raggi laser e la denigrazione in napalm. O con me o contro di me sembra essere lo
slogan di Grillo. Sono in molti a non aver compreso questo suo gioco al
massacro e continuano a strizzargli l’occhio, pensando che un giorno, domato
nei furori distruttivi, egli possa diventare l’alleato o la mano armata contro
il nemico da annichilire. Oggi l’Italia appare sempre più come una polveriera,
che può esplodere da un momento all’altro.
Grillo e i grillini sembrano tanto abili a picconare e demolire quanto più
si dimostrano incapaci e maldestri nel proporre soluzioni e costruire.
L’Italia,
in questo momento, è attraversata anche da una voglia di catarsi che non ha
precedenti, sembra disposta a tutto pur di liberarsi del fardello di una classe
politica insopportabile, fatta per lo più da bellimbusti e incapaci, anche se,
per dirla alla Tomaso di Lampedusa, probabilmente poco o nulla cambierà nella
sostanza, perché gli italiani non hanno il coraggio di andare fino in fondo,
come hanno fatto altri stati. La verità è che noi siamo fondamentalmente dei
conservatori, ma abbiamo paura di apparire tali, per questo, da veri istrioni,
spalanchiamo facilmente le braccia a chi promette le soluzioni più radicali, ma
altrettanto facilmente sappiamo tenerle conserte.
Rottamatore
o venditore di pezzi di ricambio?
In
questo contesto, quale slogan poteva apparire più innovativo e dirompente di
quello del populista alla Giamburrasca Matteo Renzi di rottamare la vecchia
classe politica, ritenuta responsabile di tutti i mali, e di soppiantarla…, Con
cosa? Con chi?
Renzi,
come Bossi, Berlusconi, Grillo, è tanto abile a demolire, rottamare, quanto più sembra incapace di proporre soluzioni in
grado di raddrizzare le sorti dell’Italia.
Ci
sono un paio di metafore che bene si adattano al nuovo segretario del PD: la
prima è tratta dal film Gli intoccabili di
Brian De Palma, Solo chiacchiere e
distintivo, la seconda è mediata dalla tradizione popolare siciliana, un nuddu miscatu cu’ nenti.
Il
PD oggi ci appare come un partito smarrito, confuso, privo di identità. Il
problema, quindi, sarebbe
quello di costruirgli un’immagine, una fisionomia, anziché adoperarsi, come sta
facendo Renzi, per trasformare un
vertebrato affetto da osteoporosi in un
mollusco.
Renzi
non ha un retroterra culturale forte, non ha convincimenti di lungo termine ma,
soprattutto, non ha una visione del futuro in grado di portare la Nave Italia fuori dalla tempesta. Egli,
come un miope, vede solo in vicinanza, interpreta l’oggi ad uso e consumo
proprio. Pensa di potersi barcamenare nell’oceano tempestoso della politica
italiana con uno slogan al giorno o con una strizzatina d’occhio a Berlusconi e
una frecciatina a Letta, giusto per far vedere che è abile a tenere i piedi in
due scarpe.
La
cosa che rattrista maggiormente in questo momento è la consapevolezza che a
fare le spese della politica degli slogan e delle soluzioni facili sono, e
saranno, ancora una volta i giovani, il cui futuro si fa di giorno dopo giorno
più buio e incerto. Quei giovani che, per fattori contingenti, non trovano il
coraggio di prendere in mano il loro futuro da protagonisti anziché delegarlo
al demagogo o all’imbonitore più abile.
Renzi,
pur facendo parte a pieno titolo del teatrino di questa politica, essendone
diventato l’anima, recita, in maniera sguaiata quanto tragica, la parte
dell’uomo con il cerino in mano in grado di dare fuoco alla polveriera Italia.
Egli più che rottamare alla fine altro non sarà che un venditore di pezzi di
ricambio di un partito sacrificato alle proprie ambizioni e sogni di gloria.
Cataldo Russo