Al tempo della crisi finanziaria che, con la sua bancarotta salvata in Usa dall’intervento monetario dallo stato, mostrava un nuovo assetto del capitalismo mondiale, divenne un luogo comune parlare di un “ritorno a Marx”. Poi subito cancellato per il timore, soprattutto nel mondo anglosassone, ma anche europeo, che potesse risorgere politicamente una qualsiasi prospettiva dalla antica tradizione socialista, ritenuta una specie di colpa storica della modernità. Si trattava, più che altro, di trovare un nome e una dottrina classica per qualificare il proprio disagio e la propria protesta. Che cosa voleva dire questo generico e pubblicistico “ritorno a Marx”? Sostanzialmente era il ritorno di una centralità umanistica contro il dominio del denaro che riproduce se stesso e il proprio potere. Questo desiderio di un capovolgimento dell’esito attuale della storia contemporanea mostrava una sua ricchezza retorica: veniva rievocata la “dignità” dell’uomo con una parola che va dal Rinascimento a Kant senza rendersi conto che i significati di valore hanno un senso sociale determinato che è intuitivo solo a un gruppo intellettuale. Spesso questa dignità veniva identificata con i diritti della “persona” che storicamente è una parola decisiva della tradizione religiosa cristiana.
(Fulvio Papi)... continua a leggere nella rubrica Agorà