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domenica 23 febbraio 2014

Tutto vero.
Si attende smentita.

di Paolo Maria Di Stefano


Mentre scrivo, si attende di ora in ora la lista dei Ministri del primo Governo Renzi.  Ed è probabile che proprio mentre vi giunge questa nota, il Presidente del Consiglio  incaricato la stia presentando al Capo dello Stato. Il vantaggio sicuro sarà che avrà fine il giochino tradizionale dei media, quel toto-ministri che ha imperversato fino ad oggi e che, come accade da sempre, non si capisce bene se serva a bruciare i nomi di volta in volta indicati oppure ad aumentare le probabilità di nomina. Con molta probabilità, non serve a niente altro che a “fare notizia”, forse con gratificazione soprattutto per gli illustri ignoti, come accade per ogni citazione, da sempre e dovunque.
Un altro vantaggio sarà costituito dalla ricerca spasmodica di qualcosa da dire su ciascun nominato, illuminandone la personalità e la carriera utilizzando “politicamente” le luci a disposizione. Ed anche quelle che a disposizione non sono o non dovrebbero essere.
Il che si presta ad un pensiero non del tutto peregrino: io spero – e credo di non essere il solo – che Matteo Renzi abbia approfondito la conoscenza di ciascuno dei candidati ad uno qualsiasi dei ministeri, senza lasciarsi fuorviare da successi di carriera o da titoli accademici, troppo di sovente qui da noi frutto di familismo, di un arrivismo sfrenato e di un egocentrismo che non ammette orizzonti diversi dal proprio ego. Vuol dire chiedersi che cosa di positivo, di costruttivo, di creativo il soggetto ha fatto per la struttura nella quale ha vissuto e dalla quale ha ricevuto i riconoscimenti di carriera, di stipendio, di potere. Troppi, in Italia, riescono a raggiungere traguardi importanti in tempi spesso assolutamente brevi, profittando della educazione e dello spirito democratico o anche soltanto dell’amor di pace di chi li circonda. E soprattutto, con titoli professionali (in senso lato) mediocri quando non insufficienti. Non è un caso che le nostre università siedano agli ultimi gradini della cultura mondiale, come non è un caso che le nostre imprese non possano vantarsi di essere la luce dell’economia del mondo.

“Comunque!” avrebbe concluso Totò.

Il quale avrebbe apprezzato, forse, la gag del proprietario delle cinque stelle, fulgido esempio di comicità surreale e, credo, per una volta inconscia. Ma soprattutto concreta manifestazione non soltanto di ineducazione profonda, ma anche di assoluto disprezzo per tutti coloro che, simpatizzanti di astronomia, avevano deciso che il padrone incontrasse il Presidente incaricato. Cosa che egli ha fatto, fingendo di aderire alla indicazione dei suoi, in realtà qualificandoli come cretini, perché solo un cretino può non essersi accorto della banale e chiassosa farsa messa in atto.
E proseguita con l’occupazione degli spazi di una conferenza stampa nel corso della quale la misura delle banalità inutili si è colmata.
E non ce n’era bisogno alcuno!
E il Presidente del Consiglio incaricato è uscito alla grande da un confronto da alcuni ritenuto pericoloso, così dimostrando, anche, che esistono giovani che valgono enormemente di più dei vecchi e rumorosi tromboni. Che non vuol significare esser dotati di capacità eccezionali, bensì soltanto che la loro (eventuale) incapacità è inferiore a quella degli ottoni citati.

“Checché…”, avrebbe detto ancora Totò.

Devo confessare di intravedere negli ultimissimi eventi una luce di speranza: il giovane ex sindaco di Firenze sembra in grado di reggere , anche se il pericolo maggiore gli viene non tanto e non solo dalla sua giovane età e neppure dal PD, ma anche e soprattutto da coloro che, attraverso circoli costruiti attorno a due o tre nomi -peraltro non di ignoti peregrini- sostengono, proclamano e scrivono:
 “Libertà e Giustizia segue con preoccupazione la nascita del governo di Matteo Renzi sia per le modalità che hanno portato al suo incarico sia perché temiamo che lo sbocco finale rappresenti il patto non scritto tra Renzi e Berlusconi e Verdini: la “seconda maggioranza” che dovrebbe intervenire a rafforzare il governo quando il 2018 sarà meno distante. Aiutaci a vigilare sulle nostre istituzioni e sulla nostra Costituzione.
Primarie per i segretari regionali del PD deserte; astensionismo del 48% alle elezioni sarde. Aumenta di ora in ora la lontananza fra cittadini, questa politica e questi partiti. Ecco il risultato del governo tecnico e dei governi di larghe intese. (omissis) . Matteo Renzi, la cui ascesa alla guida del Governo – secondo Barbara Spinelli - ha il sapore di certi cambi di guardia al Cremlino, ha concluso in queste ore le consultazioni con partiti e movimenti. Silvio Berlusconi all’uscita dall’incontro con il premier incaricato ha rilasciato una lunga dichiarazione alla stampa.  Ascoltando le parole del leader di Forza Italia, condannato in via definitiva, e ricevuto sia al Quirinale che a Montecitorio, la Presidenza di Libertà e Giustizia chiede a Matteo Renzi se il programma di riforma della Costituzione della P2, snocciolato da Berlusconi, sia anche il suo. (omissis).

Domande certamente legittime, come certamente legittimo è il diritto di criticare e di dubitare. Ed è anche vero che il giovane Presidente del Consiglio si è mosso con la grazia di un elefante e facendo largo uso dei trucchi di un mestiere – quale è la politica italiana – che non brilla certo per lealtà e chiarezza, e neppure per rispetto degli avversari, se non a parole. E allora, una domanda da parte mia: ma la scuola politica da cui Renzi è uscito non è stata forse quella fatta tutta di pratiche di corridoio, di menzogne, di polvere negli occhi, di demonizzazione degli avversari, di attenzione spasmodica agli interessi propri e dei componenti la banda di riferimento, di pezze a colori e di tutto quanto – questo sì!- ha allontanato la gente dalla Politica (e dalle urne)? Al giovane rampante, reo confesso di ambizione smodata, possiamo forse rimproverare di aver imparato la lezione?

Certo che è doloroso, ed anche preoccupante,  ma cosa ciascuno di noi ha fatto per impedirlo? Il responsabile avvocato del circolo di Libertà e Giustizia al quale per due anni sono stato ingenuamente iscritto ha preferito schierarsi tra i servi acritici dei fondatori, invece di conquistare al circolo il compito di “consulente” e di “luogo di creatività”. Non solo, ma quando ho cercato di far presente la cosa, sono stato accusato di “aver sparato a palle incatenate” e di “esser rimasto silente” e di altro assolutamente frutto di pura invenzione.
Che è uno dei metodi classici di una politica becera e onesta non più che tanto, e la cui documentazione scritta io conservo a futura memoria, se mai mi tornasse il desiderio di collaborare attivamente.
E chi ci assicura che le critiche e le condanne non siano espressione del rammarico – se non della rabbia – di non esser riusciti a precederlo, Renzi, e neppure ad opporsi in maniera credibile? E, soprattutto, non sono – queste critiche anche rabbiose – il sintomo, questo sì preoccupante, di una guerra già scatenata nel partito e probabilmente capace di impedire il raggiungimento di obbiettivi che non è detto siano negativi?
E ancora: Renzi non solo parla di programmi e non di pianificazioni, ma, almeno fino ad ora, non ha detto nulla di nuovo e nulla che non sia stato detto da tutti i Partiti ed i movimenti attivi in Italia, e dunque anche i programmi non brillano per chiarezza e neppure per originalità. Ma è stato sempre così, è quello che gli è stato insegnato, ed è già tanto ch’egli sia riuscito a ragionare in termini di “tempi”. Male, ma lo ha fatto. Perché una cosa è certa: pianificare la gestione di fatti e situazioni imponenti quali le riforme che concernono il lavoro, il fisco, la giustizia, l’economia non è cosa che si possa fare “una al mese”. Ripeto: si possono enunciare programmi, tanto in Politica lasciano il tempo che trovano e non costa nulla proclamare – come è accaduto – che in poche ore sarebbero stati creati milioni di posti di lavoro; si possono enunciare programmi, dicevo, ma elaborare pianificazioni di gestione è tutt’altra questione, e non c’è dubbio che, a parte l’indirizzo, il compito dei “politici” è in materia abbastanza contenuto.
Anche perché di politici pianificatori dotati di cultura della gestione c’è carenza.
Mentre abbondano quelli dotati di arrivismo e di pelo sullo stomaco, in genere anche improvvisati ed improvvisatori.
Ed è forse questo che giustifica il ricorso ai cosiddetti “tecnici”, dei quali si presume almeno un’ombra di preparazione e di professionalità.
Soprattutto necessari – tecnici e professionalità, sembra – quando si tratti di economia.
E sarebbe giusto e bello, se non si desse il caso che i cosiddetti tecnici sono protesi a ricostruire la situazione quo ante, ignorando che il problema della economia non è più ritornare al passato, bensì innovare un sistema ormai in gran parte obsoleto e condannato a morte.
Che non si sa quanto lenta, ma che certamente andrebbe pilotata in modo tale da consentire la sostituzione dell’attuale sistema evitando per quanto possibile il maggior numero di traumi.
Quanto alle larghe intese, occorre ricordare che, se ben fondate e meglio perseguite, possono essere un ottimo mezzo per cercare la migliore soluzione possibile.
Che è l’essenza di ogni pianificazione di gestione.