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giovedì 25 dicembre 2014

ADDIO A GILBERTO FINZI

Gilberto Finzi in una foto di Dino Ignani

Alle 8,35 di questa gelida e luminosa mattina di Natale, si è spento all’ospedale Sacco di Milano dov’era ricoverato, l’amico poeta e critico Gilberto Finzi. Poeta e critico severo, Finzi non era disposto a transigere o fare sconti a chicchessia dal punto di vista estetico e della scrittura. Il rigore che egli applicava a se stesso lo applicava anche agli altri: amici compresi. Indisponibile al compromesso e all’opportunismo (tanto diffusi negli ambienti letterari italiani), questo suo rigore gli ha alienato molte simpatie e fatto perdere molte amicizie. La lettura del suo ultimo libro “Diario del giorno prima” che io ritengo un libro importante, darà il segno profondo di quanto sto qui sostenendo. In fondo quel libro, oltre ad un bilancio esistenziale e poetico, è anche uno spaccato impietoso del mondo delle lettere, dei legami, delle ingratitudini e delle indifferenze. Non va trascurato inoltre, che Finzi è stato un uomo di sinistra e le vergogne della politica italiana lo avevano profondamente disgustato. Le degenerazioni del potere politico fanno il paio con la degenerazione del potere culturale ed editoriale. Lui che è stato un protagonista attivo della scena culturale italiana, non ha mai approfittato del suo potere e si è sempre situato in una posizione marginale. Potrebbe suonare strana questa affermazione per un letterato che ha scritto per il maggiore quotidiano italiano, è stato amico di importanti poeti e uomini di cultura, ha scritto saggi, curato antologie, ha condiretto riviste, ha preso parte a convegni, letture, e così via. La sua scrittura è stata giudicata spesso ostica, e forse lo è, ma non mi pare che sia meno ostica quella di Montale o di Rebora. Come possiamo constatare, la grande editoria è andata orientandosi verso un livello sempre più basso e banale. Ad ogni modo i suoi libri ci sono ed il suo posto di poeta è ben saldo.  Nato a Mantova il 6 giugno del 1927, ha condotto il suo itinerario intellettuale fondamentalmente a Milano, città dove ha poi sempre vissuto. Vicino a “Odissea” sin dalla sua fondazione, non ha voluto far mancare la sua testimonianza in occasione del primo anniversario del passaggio in Rete del giornale, mandandomi una affettuosa lettera-poesia pubblicata, assieme ad una foto scattatagli dal fotografo romano Dino Ignani, nella Rubrica “Campi Elisi” e che qui vogliamo riprodurre. Avrebbe voluto venire per la foto ricordo dei “naviganti” di “Odissea” il 25 Ottobre scorso, sui gradini del monumento a Sandro Pertini, in via Croce Rossa (uscita della Metropolitana Montenapoleone) per festeggiare il I anniversario, ma non stava bene e non aveva potuto. Ho stampato e conservato però la spiritosa e affettuosa lettera-email che mi mandò il 9 Ottobre, per ringraziarmi della nota che avevo fatto per il suo libro “Diario del giorno prima” e che i nostri lettori possono rileggere nella Rubrica “Il pane e le rose”. Voglio invece riprodurre qui in prima pagina la lettera inedita e la poesia scelta da Loredana e dalla figlia Paola, perché è un modo per risentire le sue parole e la sua voce, che per me, e per quanti lo hanno conosciuto, rimane viva e presente.                                  
ANGELO GACCIONE

P.S. “Odissea” darà indicazioni appena possibile sui funerali e il ricordo funebre che Paola e Loredana stanno organizzando, mentre il nostro giornale ospiterà ricordi e testimonianze di vari amici poeti a cui li abbiamo sollecitati, man mano che ci giungeranno.
La cerimonia funebre sarà martedì 30 alle ore 15,30 presso il cimitero di Lambrate.

Gilberto Finzi durante una lettura allo Spazio Scopri Coop
di Milano, organizzata dall'Ass. Culturale "Milanocosa"
dell'instancabile poeta Adam Vaccaro e dal poeta e musicista
Giacomo Guidetti 
  
*
Questo giorno o un altro
con i miei avi in fila
dietro i secoli chiari e oscuri
fino all’accidia del non – fare
conterò
i piccoli spazi tra le cose
che più non vedi, i luoghi
mai visitati, i sensi del mistero
volutamente ignorati,
i fermi voli delle poiane,
le fontane: bere, bere
o affondare nelle riviere dove
la canna cresce, e il fango
fa le isole finte, e sprofonda.


Questo giorno o un altro
cercherò di salire, o scendere,
fermo nella terra ignota,
un vulcano in cuore, e nella mente
il solito silenzio

[09,09, 2011]

(Questa poesia scelta da Loredana Bocchio che con Gilberto ha condiviso un lungo tratto di vita standogli vicino fino alla fine, è tratta dall’ultimo splendido libro di Finzi “Diario del giorno prima”, Nomos Edizioni)
                                              *

Lettera-poesia all'amico Gaccione

Caro Amico, ecco i pochi versi
di un poeta vecchio e senza voce.
So la tua premura, e ti ringrazio
per le cose che ancora riesci
a dire nell’infelice mondo che ci circonda.
Sappi che sono con te, pronto
e libero con la mia gola logora:
“Odissea” rispecchia una storia
che mi riguarda, e sento
di doverti parole sincere
dove la poesia è un lusso
che non posso più permettermi,
solo come un astro
che non dà più luce.
Ma mi hai mosso
a scriverti e a ricordarti, e questo
è un fatto che mi riporta
a climi antichi, a Ulisse che ritorna
e i Proci trafigge, sperando
che tutto ritorni vero, e lui
giovane, e i versi un canto
di vittoria.
Per sempre, tuo
Gilberto Finzi

                            *
Lettera inedita
     
Gilberto Finzi (Milano, 9 Ottobre, 2014)
17:58 (21 ore fa)

Caro Angelo, non è che possiamo smarrire qualche altro mio libro? Scusa, ma solo un inizio comico poteva scongiurare la caterva dei ringraziamenti, la massa dei complimenti
per la bellissima recensione al mio Diario. Tanto più che un libro così, di editore esordiente o quasi, di note critiche ne ha avute poche (5  o  6) anche se di spessore e inventive come quella di Zaccuri su “Avvenire”. Anche per questo tengo cara la tua ampia nota, e le citazioni ivi contenute. Non so che altro dirti: posso solo autocitarmi. Con tutto quel che accade nella schifosa vecchiaia e purtroppo nella nostra miserevole politica userò un distico finale di una poesia ironica cha amo:
“Comprerò coi mocassini / Manitù  dai pellerossa”.  
                                      
Ad majora! Un abbraccio, tuo Gilberto                                      

                                                      *
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Corriere della Sera 27 dicembre 2014
pagina della Cultura, testo di Franco Manzoni 

                                                                     *

NEL SEGNO PROFONDO DI UN’AMICIZIA

Anita Sanesi è stata sicuramente la persona che negli ultimi anni, per lo meno a partire dalla scomparsa del marito, il poeta, critico e traduttore Roberto Sanesi, è stata più vicina a Gilberto Finzi. Finzi aveva per Anita affetto e stima e ne era ricambiato. La casa con giardino di via Machiavelli al numero 10, fra le poche case aperte di questa città sempre più affettuosamente avara, è stata sempre aperta a Gilberto, Loredana e ai loro comuni amici, ed era l’unico luogo dove il poeta mantovano andava volentieri. Una casa piena di disegni di Roberto, dei suoi tanti libri, delle sue impronte, dei quadri e sculture di amici artisti, accumulati nei lunghi anni del suo lavoro di critico, e che a noi che continuiamo a frequentarla ci pare pregna e carica dello spirito del suo proprietario, a Finzi doveva apparire molto di più di un luogo familiare. La lunga frequentazione dei due poeti, come segnala Anita in questo emozionante ricordo che ha voluto dedicare a tutti noi; la condivisione di uno stile; la comune passione per la poesia e per la scrittura; la comunanza di vedute sul piano del rigore etico-civile, le tante serate piene di conversazioni e di progetti, hanno nel tempo sedimentata un’amicizia profonda che si è anche tramutata in una sincera fedeltà alla memoria. Di questa fedeltà di Finzi verso lo scomparso amico Sanesi, abbiamo avuto diretta testimonianza, e ora che anche Finzi se n’è andato da questa vita, Anita gli restituisce pubblicamente, con questo ricordo, il segno vero di quell’antica amicizia. (A.G.)

Gilberto Finzi fotografato da Dino Ignani

Il tempo scivola grazioso sulle nostre spalle. Gilberto lo ha accolto con sottile "bonario" sarcasmo…   I due amici  erano lì, insieme. Belli, giovani, inquieti pensosi, fantasiosi e insofferenti dei formalismi borghesi, dell'astiosa compiaciuta ignoranza dei potenti, delle inarrestabili ingiustizie sociali...      
In quel tempo di allora, quando l'anarchico Pinelli veniva suicidato. Riunioni serali, davanti a un risotto di Anna, in contemplazione di una grande utopia morale che, com'è nelle cose della vita, non si è mai avverata.                                                                                      
Un combattente infastidito del combattimento, a cui però con ferma ostinazione non rinunciava.
Un serio infaticabile studioso infastidito dagli ignoranti ai quali rispondeva con pungente destrezza verbale. Ironicamente insofferente dei rimandi, dei dinieghi, del               
come senon saprei, forse, chissà, vedremo, è difficile, non si capisce… Eppure. 

Uso della parola nuda senza veli, e senza inutili decorative aggiunte.                                        
Uomo di stile in cui la forma è espressione del suo pensiero e del suo comportamento
li attraverso senza urtare il grosso della folla                                                                                        
Di fronte al mito del viaggio, di un viaggio in cui il fisico viene spostato altrove e di cui  molti si inebriano, spesso senza capire le differenze che pur  immobilizzano i  loro occhi, Gilberto ne rovescia il senso e con disprezzo per il movimento che non penetra la diversità, indaga dentro di sé, ricostruisce, immagina, giudica, legge.

 … seguo un'idea lontana/ come un luogo un'isola un sasso/fermi e solidi nel loro limbo inerti

Ha sorretto il suo spirito il grande amore per Loredana e  per  la figlia Paola.                                  
A me, Gilberto ha donato una bella amicizia fatta di attenzione, conoscenza, rispetto: 
una presenza consolatoria nella solitudine.                                                 
Un'Amicizia che ho dolorosamente perduto.
Anita Sanesi

                           *
Una testimonianza di Vincenzo Guarracino


“Noi non siamo vecchi ma solo / diversamente giovani”, dice proprio così uno degli ultimi versi dell’ultimo testo della sua ultima raccolta di Gilberto Finzi Diario del giorno prima, edito da Nomos nel 2012. “Diversamente giovani” oggi, all’indomani della sua morte, avvenuta a Milano in una gelida mattina di Natale del 2014, da aggiornare come “diversamente vivi”. Non è retorica: Gilberto, per chi lo ha conosciuto e apprezzato (amato?) in vita, continua a pronunciare attraverso la sua vasta e complessa opera una fede nella vita («Questa è la vita! L’ebete vita che c’innamora…»), nonostante tutto e comunque essa sia, col suo modo sarcastico di amarla, col suo modo di attraversare i casi della vita, della storia, senza illusioni ma non senza miti. Perché un mito, sì, Finzi lo aveva e ce lo lascia in preziosa eredità: quello dell’intelligenza, acuta, ironica, determinata a sconfiggere ipocrisie.
Un “angelo ironico con la spada sguainata”, lo si definirebbe con le parole con cui Walter Benjamin aveva definito Leopardi: chiuso nella sua corazza (“un’armatura in cui si rispecchia il mondo”) Gilberto con la sua intelligenza ha sempre riguardato tutto, presente e passato, con l’occhio dell’”uomo che giudica” e che “nel centro del futuro” vede solo “il senso oscuro”, una “profonda notte” (non la sua, quella esistenziale, beninteso, ma quella collettiva della perdita del senso), consegnandoci l’idea che ciò che conta sono “i piccoli spazi tra le cose”, la determinazione a giocare le proprie uniche risorse di infinito nel qui-e-ora col proprio “vulcano in cuore”, incuranti dello “scadimento” di valori, del “fango” che progressivamente minaccia. Con lo spirito del Leopardi di Amore e morte, “erta la fronte, armato / e renitente al fato”.

                                 *
Una testimonianza di Daniela e Lidia Riviello
rispettivamente moglie e figlia del poeta lucano

Roma. Gilberto Finzi scriveva che la prosa di Vito Riviello era come attraversata da una prepotenza poetica e fisica tanto da contrastare limiti e trappole di un neo realismo incalzante, come di un orfismo di maniera. Gilberto si occupò del saggio introduttivo alla prima opera di Vito, "Premaman" edito nei primi anni Cinquanta, parlando di 'immemorialità' e di quella magia che nasce dalla memoria.
Lo scorso anno rilasciò al fotografo Dino Ignani una testimonianza audiovisiva su Riviello, per arricchire i materiali del poeta che sono entrati a far parte dell'Archivio del Novecento, presso l'Università La Sapienza di Roma e dove è raccolto un cospicuo numero di lettere inviategli nel corso di parecchi anni. Quel giorno avemmo modo di rivederlo.
Poi leggemmo il bellissimo "Diario del giorno prima", ci scrivemmo nuovamente in seguito alla lettura e ci sentimmo per telefono. Ricordiamo molto spesso quell'incontro così speciale.
Daniela Rampa Riviello e Lidia Riviello


                                     *
Un pensiero di Franco Manzoni
Il poeta Franco Manzoni che di Finzi è stato amico (Gilberto ha fatto anche un’introduzione ad un suo libro), ci ha fatto pervenire questo pensiero che volentieri pubblichiamo.
Questa mattina, alle 8.30, è scomparso il poeta e critico Gilberto Finzi. Che la terra, a cui ritorni, ti accolga con amore nel suo grembo.

                           *
Un ricordo fotografico di Dino Ignani

G. Finzi in una foto di Dino Ignani

Roma, 25 dicembre 2014
Caro Angelo, una gran brutta notizia.
Tra l’altro nella notte è mancato anche Julio Monteiro Martins.
Ti allego tre fotografie di Gilberto Finzi, scegli tu quella che ti sembra più
rappresentativa.
Il mio ricordo sarà l’immagine che sceglierai. Lo fotografai con trasporto perché è
stato moto gentile e disponibile nelle due ore in cui ci siamo conosciuti.
ciao Dino                         
                                           *

Un messaggio di Gio Ferri
Caro Gaccione,
in questi giorni fra le mie reiterate malattie che non vogliono lasciarmi in pace e la morte di Gilberto non sono riuscito a combinare nulla di serio. Scusami. Non so se sai che l'omaggio di una cerimonia laica si terrà al,Cimitero Di Lambrate martedì prossimo alle ore 15,30. Verrà cremato e le ceneri trasferite subito a Mantova.
Il nostro programma è quello di dare breve notizia in TESTUALE 54  ora alla stampa preannunciando il n. 56 a lui dedicato. Scusami se in questi giorni abbastanza tristi e agitati non ti ho risposto subito: ma so che hai dato immediata notizia in ODISSEA
Grazie e un abbraccio.
Gio Ferri
                                      *

Claudia Azzola
Certo, Angelo, prendo nota. L'annuncio mi è arrivato anche da altre parti. Non voglio fare panegirici, perché conosciamo il valore dell'uomo, ma questa è proprio una grossa perdita.
Ciao, Claudia

***
Mirna Miglioranzi
Da poche ore Gilberto Finzi non è più insieme a noi; a noi è rimasto il grande patrimonio dei suoi pensieri poetici. Le poesie degli ultimi anni, quelle di una età non accettata, piene di presagi, la morte è vicina a lui e lui la sente. Vive la contemporaneità con dolorosa chiarezza la vita lo tormenta, gli accadimenti lo fanno soffrire. Scrive il patimento.

 "Sul mio nome già comincia
 ad accumularsi il nero
 del Tempo - chiamo senza risposta,
 affermo o nego vanamente -
 sono un antenato senza gloria,
 un sopravvissuto perlomeno,
 che non ringrazia il cielo per questo
 tenerlo sulla corda tesa della vita."

Sento profondamente questa assenza questa umana voce di uomo ricco di ingegno che aiuta tutti noi che lo abbiamo conosciuto a pensare alla vita con il suo straordinario sguardo.
Grazie di tutto questo con infinita tristezza e grande ammirazione.

***
  



VERTIGINI DI VITA NELLA LUNA NERA (*)
Lettura de L’oscura verdità del nero (e di Altro) di Gilberto Finzi
di Adam Vaccaro


Il verso che dà l’avvio al libro (Garzanti, 1987) tende a una sintesi tematica e stilistica dello svolgimento successivo: “tutto marcisce per un’altra vita” (p.11). Tempo presente del verbo, paratassi scabra, descrittività vestita di obiettività che appare indiscutibile, parascientifica. Lo sguardo e l’occhio sono, in tutta e prima evidenza, quelli delle modalità di linguaggio dell’Io (Mod-Io). Con alone, quindi, di ideologia della verità. Ma è bene procedere con cautela. Perché già il titolo della (prima) sezione – Arcani –  contraddice col suo richiamo a bordi irrazionali e imperscrutabili. Il ritmo, con ripetuti doppi spazi bianchi che intervallano due o più versi, procede infatti in ansimi che qualificano un tessuto testuale pieno di buchi: la serenità non abita qui, tanto meno la gioia. A strattoni esplode la rabbia, e in tinte disperate. Proseguiamo per prime verifiche nella lettura del componimento di p. 11 di cui abbiamo citato l’incipit; che subito seguito da una striscia di bianco, primo significante dell’altro (rispetto al verso), così prosegue:

la rigorosa perdita del pensiero coinvolge
il morbido sfiorire del cuore e del sesso
vivrò per vedere altri morire
altri amare altri sfiorire?

Il rigore descrittivo e il tempo presente scivolano con movimento franoso dal loro ipotetico trono di freddo pensiero; il quale, costretto a denunciare la graduale perdita di sé, cerca appigli in parallele sfioriture affettive e fisiche. Da notare come rigorosa perdita e morbido sfiorire funzionano da reciproci contraltari che si contraddicono (rigorosa/morbido), si specchiano (perdita/sfiorire) e si consolano. In questo intreccio, il richiamo allitterante delle erre di rigorosa perdita può suggerire un sapore di resistenza e fatica che trova riposo, ma anche strazio disperato, in morbido sfiorire. Insomma, il rigore analitico produce, a cominciare dall’area dell’Io, panico che si dilata e cerca (può cercare) consolazioni e morbidezze (solo) ai piani più bassi; anche qui, però, trova solo conferme che tendono a chiudere, anziché ad aprire, il cerchio disperante.
Il movimento rimane ad ogni modo dall’alto al basso, tendente a una sorta di invito a danzare in nero rivolto all’area mentale e alle corrispondenti modalità di linguaggio (Mod-Es) dominate da corporalità e affettività. Tuttavia le Mod-Es operano ancora sotto la superficie del testo: si manifestano in segni di ritorno di rimosso formale, esibito ad es. dalle rinunce a titolazione, maiuscole e punteggiatura. Perciò le Mod-Io resistono e, anzi, rilanciano tentando di coinvolgere le modalità di linguaggio dell’area mentale etica (Mod-Superìo). Infatti, il secondo distico, che segue un altro spazio di lingua tagliata, passa dal tempo presente al futuro. Ma la forma interrogativa segna e conferma ansia montante, che funziona da pneuma (o vuoto/pausa) che attira le Mod-Es.
Quindi, da questo primo assaggio, il piano descrittivo è solo una pedana d’abbrivo; che consente di far risaltare ancor più i crescenti successivi sprofondi d’angoscia, nei quali si evidenzia al centro il rapporto con la Morte o, meglio, il complesso intreccio vita/morte.
Dopo altri due distici di conferma e ulteriore accumulo dei sensi e dei ritmi precedenti, il crescendo angoscioso esplode e raggiunge il climax con i primi due versi dell’ultima strofe, un endecasillabo spezzato in senario e quinario più adeguati a vestire il respiro affannoso e la lacerazione irrisolta:

foglia foglia foglia
merda del tempo

È il primo grumo di indissolubilità vita/morte, in cui le Mod-Es emergono con forza, attraverso la ripetizione e la funzione metonimica del ritmo trocaico, martellante. Il tono di rabbiosa e impotente invettiva esprime però anche una ricerca di qualche forma di uscita da quell’abbraccio; di cui i due versi compongono anche un’immagine spaziale: la vita (del primo) che decade verso l’irreparabile conclusione del secondo.
Il furioso accesso non può frenare la discesa agli inferi, ma subito dopo conferma l’implicita ricerca. Questa trova la sua forma con il terz’ultimo e penultimo verso, dove ricompone ritmi più distesi con persino una qualche cantabilità, da endecasillabo a minore (primo emistichio quinario):

barrica il vento melodiosa magione
verza che spunti verminoso fiore
su terre spente della rovina

E nel sintagma melodiosa magione, cioè la poesia, la spiegazione. È come un recupero di atmosfere familiari cui attingere un minimo di consolazione: lampo di vita che non si arrende, (se è) capace di inventare e diventare luogo di metamorfosi, fiore che rinasce dove tutto marcisce, anche nella terra più spenta della rovina. La tendenza è dunque al tocco del “rovescio del plenilunio“ (p.12), al disegno di un panorama desolato, anzi di una esplicita (con inclusa citazione eliotiana) “terra desolata dal sole e dal nord“ (p.13). Ma qui troviamo il luogo dei luoghi, della complessità e degli, appunto, illuminanti rovesciamenti.
Non a caso la descrizione si riferisce alla “città del lilio“ (ibidem), Mantova, “Manto indovina” (ibidem) che è “l’Acquaferma” (ibidem) della propria origine. E’ in tale metafora di immobile primopunto della propria nascita e del proprio panorama mentale – punto più prossimo e insieme irraggiungibile – che vita e morte trovano il più indissolubile incrocio. Quel punto, dove risiede l’accecante nerità del nostro mistero, è l’arcano di tutti gli arcani: costituisce per ognuno “la città della vertigine (ibidem), sempre presente e sempre passata: è il punto di massima malia, verso cui cerchiamo di ritornare, sempre e quanto più ci avviciniamo alla Fine, o cresce in noi la coscienza di non poterlo (più) fare.
È questo il luogo, per tutti, del potere più oscuro e abbagliante, cui abbiamo bisogno di rivolgerci per illuminare e indovinare il futuro; perché esso possiede in effetti tutti i segreti del nostro successivo cammino, ma mai li svelerà completamente: li lascerà sempre (in parte) coperti come un “un desiderio dentro un’ombra” (ibidem). E qui subentrano snodi cruciali con impliciti inviti al movimento opposto a quello disegnato all’inizio di questa lettura: dal basso verso l’alto. Con successive domande: da dove viene la luce, e dov’è invece l’ombra?


La lettura in profondità del testo tende in effetti a un rovesciamento delle consuete categorie dell’io occidentale. Sono proprio le aree mentali dell’Io (e del Superìo) che diventano fonti di nero; mentre questo può rivoltarsi in luce nei luoghi più tipici del suo regno: corpo e sogni, desideri senza fine e terrori della fine, inarrivabili archetipi di vita e di morte. La conoscenza, insomma, non può venire (solo) da un rigore analitico, ma (di nuovo) da un incrocio col suo contrario: con tutte quelle che appaiono oscurità insuperabili e che non lo sono, se non cadiamo nella presunzione di una soggettività monodeterminata, di dominarle dall’alto.
Il senso emergente dal testo è dunque esattamente contrario a quello apparente. È questo senso che ci porta all’immagine del luogo (di luce) capace di un possibile presagio: “Manto indovina”. Ma la luminazione è problematica e profetica al tempo stesso, perché è da cercare nella sottoimmagine di Acquaferma: metafora non più, solo, del più profondo sé, ma di tutto il mondo contemporaneo.
È solo con questo collegamento che possiamo capire le rabbiose e coatte oscillazioni di fiera in gabbia de “la disordinata dòmina dell’io”(p.34), che dal suo “nero di nera luna”(p.24) vede una “Terra – strafertile morte”(p.23) dove trionfa “il coito nero col Niente”(p.14); è dalla denuncia (che coinvolge quindi l’area mentale del Superìo) di lugubri pratiche e massacri di sogni, che esplode il noi e la profezia disperante: “(non vedremo nessun futuro da qui)” (p.34).
È questo il punto di collegamento di profondità e superficie, di lontano passato e impossibile futuro, coagulato ne “l’oscura verdità del nero”(p.21) di un’acquaferma, da cui è sempre più difficile far partire navi di canto. Da qui prendono infatti forma le sezioni Stanze nere (mentali e poetiche), cui seguono gli squarci con colpi di sbeffeggianti sforbiciate di Misteri o cronache e di Comportamenti, che evidenziano ancor più il corpo a corpo tra questo io e questo Mondo di tempo chiuso: un tempo che rende sempre più difficile “fare bello e caro il non veduto”(p.15), per cui una minima pietas è dovuta (a quell’io): o mio di me non farti più / lo sciocco io del tempo”(p.80). Ulteriore segno della tensione alla ricerca (dentro e fuori di sé) dell’Altro.


Conferma di tutto questo – se pure ce ne fosse bisogno – la troviamo nella nota introduttiva stilata dallo stesso Finzi per la selezione di (19+2) poesie scritte fra il 1953 e 1959, (ri)pubblicate nel 1997 da Vanni Scheiwiller (All’insegna del pesce d’oro) e raccolte sotto il titolo di POESIE LAGHISTE. Ebbene in tale nota Finzi confessa di non essere riuscito a rinunciare a queste poesie perché erano quelle che, rispetto ad altre, incartavano e incarnavano di più “una suggestione quasi ossessiva dell’acqua ferma e di chi, pesce, uccello, o uomo, ci viveva. “Poesie laghiste”, dunque, scritte fra le grandi estati e gli autunni rossi e gialli del triplice lago formato dal Mincio a Mantova…quando la provincia era un’isola, con i suoi pescatori, le lavandaie e i “poveri” degli Anni Cinquanta”.
La presa pressoché in diretta di questa nota con le nervature costitutive del Soggetto Storicoreale (SSR) fornisce il sentore di tutta la complessità che un territorio ha per la costruzione di una mappa mentale. I testi di questa raccolta sono poi preziosi, perché danno conto di tutti i termini – etici, razionali e affettivi – intrecciati in quel primopunto, rimasto e ritrovato poi nei testi del libro che stiamo cercando di penetrare.
Nell’acqua ferma delle Poesie laghiste (ri)troviamo ben di più della metafora di un luogo; ritroviamo la metafora del mondo e di tutto il suo inestricabile intreccio vita/morte: acqua amniotica e marcescenze, fango e sangue, folaghe e cacciatori, partigiani e aguzzini, guerra e pace, amori e campi di concentramento. Tuttavia, inevitabilmente, i colori restituiscono la maggiore levità (non solo per la minore età di chi ne scrive) di quegli anni: anni di minore disponibilità di cose e maggiori speranze. Anni da cui traspare il panorama mentale di un Soggetto Scrivente (SS) che sente “qui ancora a guardia del futuro / lo stento il sonno e il sogno.” (p.47); che annota “Come una vecchia madre” che “la terra trema e si sfoglia” (p.69) e vede già “come corre la sera dietro al sole” (p.64) o come “lungo il corso / del Mincio anche la gloria / ha fermato il suo volo”. Si evidenziano perciò robuste aree dell’Io e del Superìo, che analizzano il presente, lo valutano e guardano al futuro, ma accusano già ventate di disincanto, prendono nota di erosioni e caducità, per cui quell’Acquaferma diventa l’immagine dell’archetipo della Grande madre, di una terra consolante e, insieme, ammorbante. Una doppietà senza uscita, di delizie e fascinata tensione al nero, che rimarrà per sempre l’immagine, non da capire semplicemente da accogliere, di quella che alcuni (come lo psicologo americano James Hillman) chiamano anima.
Anima quindi priva di spiritualismi religiosi, o di sensi animistici da new age e simili; anima che potrebbe trovare corrispondenze in tutt’altri termini e versanti di indagini, quale è quello della metodologia operativa (leggi Scuola Operativa Italiana di Silvio Ceccato e altri), che ha definito il (nucleo) costitutivo di un’identità, rispetto allo sviluppo (o inviluppo) consecutivo successivo. In ogni caso, è in tali luoghi che risiedono le fonti della creatività e dunque della poesia; ritroviamo così, riguardo a quest’ultima, la radice fondante della definizione e dell’invito di Zanzotto: nient’altro che accogliere.
È in tali luoghi che la categorizzazione razionale incontra l’altro da sé, e scopre che il Sé non è una costruzione stabile, ma un campo di circolazione energetica, di cui possiamo fruire solo se lo concepiamo in termini di massima provvisorietà, continuamente morto e rinato, sempre uguale e sempre diverso, da disfare ricostituire e rifare, come il letto, ogni mattina.
Solo nell’accoglimento di tale circolazione, attiva e passiva a un tempo, possiamo trovare attimi di pacificazione e di gioia, di recupero vitale oltre che di ricongiungimento della nostra (piccola) vicenda nella storia più grande e generale. E riusciamo persino a cogliere qualche presagio illuminante, qualche divinazione dalla Manto indovina di ognuno.
I lampi delle possibilità vitali non sono da cercare perciò (solo) tra le elucubrazioni e i razionalismi dell’io: da sole ci dividono e distanziano, assicurandoci tutto il dolore dell’alienazione. Esse risiedono nell’accoglimento e nella fruizione delle apparenti oscurità del corpo, dove è posto lo scrigno della nostra memoria profonda. Quanto più il SS riesce ad aprirlo e a coinvolgerlo fa aumentare la qualità dei testi, perché tocca il segreto del fascino di ciò che da millenni chiamiamo poesia. Che coincide con un logos fantasticante capace di dare forma alla phisis: il linguaggio diventa così luogo di vertigine dolorosa-gioiosa e dell’ossimoro (apparente) di una parola materiale e lirica. È a questo credo si riferisse Leopardi, quando parlava di poesia corporale materiale e fantastica (rispetto a quella metafisica ragionevole e spirituale attribuita ai romantici milanesi), fondata sull’invenzione di analogie tra le cose le più lontane, nascoste e insondabili (Zibaldone).
Tornando alle modalità specifiche della tensione adiacente (tra le lingue del proprio universo mentale) individuata nei testi di Finzi, se questo azzardo interpretativo ha minimi fondamenti, esse devono risaltare e risultare – come per ogni SS – traccia marcante in tutto il percorso di scrittura. Soprattutto se questo percorso è lungo, tali modalità diventano traccia di stile, codice genetico della continuità e dei cambiamenti, persino fonte di presagio per il futuro (del SS). (1)


Abbiamo già fatto qualche verifica nei testi di più vecchia datazione, ma ulteriori conferme possiamo trarle anche da un testo lontano per oggetto: Dèmone se vuoi (Book Editore, 1994). Testo di efflorescenze amorose, dalle intense connotazioni e risonanze fisiche. L’esondazione della gioia più acuta con esplicite connotazioni sessuali, porta a evidenziare nel SS che “il tuo-mio / ‘io’ è un dinosauro dell’età salgariana” (p.35), con l’immagine conseguente di una benefica riduzione dell’area dell’Io. Eppure questa non demorde: tallona tutti i lampi di vita. Anche nel caldo di un abbraccio porta il suo raggio freddo e verde: “un caldo di rugiada sui tuoi seni e sùbito / un verde pallido di luna colorata / traccia sul sole una notte fonda” (p.34).
Sono le Mod-Io che enumerano, misurano costruiscono sequenze, in particolare rispetto al Tempo (per le Mod-Es il tempo come sequenza notoriamente non esiste, essendo sempre passato e sempre presente); per cui sono esse che rifiutano un termine, una fine: quell’amore “da rosse arterie inventato” (p.38) rischia così di vedere che “il nero-neve abbatte un Eros senza più ali, / un essere ferito, offeso e fatto savio / dal vero battere del Tempo” (p.42); rischia continuamente di essere azzannato e sopraffatto dal pensiero de “…l’ora ultima / il tempo e la morta stagione – che no non / continua il gioco, il bacio, il matto chiude, il nero vince, /…/ ‘ultimo’ è una parola / orribile, ultimo amore mio - / non pronunciamola (ibidem).
Sono le Mod-Io che esprimono il terrore della Morte, anche tra le lenzuola: “nel tuo letto: sogni, spettri, misirizzi, /…/ e infando dolore (a p.81); “la tua nera notte / con l’incubo e il mostro dentro” (p.78); “la Morte è fra noi come un sogno” (p.83).

È opportuno vedere una sequenza particolarmente riuscita di questa sorta di tango macabro tra gioia e io che insegue inseguito dalle sue ossessioni: “svegliandomi da te, con te / al fianco, e chiedendomi dove / dov’è dov’era il limite certo / fra vita e vita – o piuttosto / fra vita e morte – o anche (meglio) fra / due specie di morte o due / estraneità di vita, lì, chiuse le mani / su te – fermo per un attimo (l’attimo / in cui tutto è simile al simile / ma diverso da chi e da cosa) / avvenne che a scendere fu (incredibile) / lo stesso paradiso” (p.28).
È un tessuto testuale di intensità fisica e lirica dominata dalle Mod-Io, che persistono nonostante la riduzione (inevitabile) della loro area mentale, che ansimano e si insinuano nell’Altro: lo testimonia la forma, colma di virgole, incisi e subordinate, tipica di un processo elucubrante; al polo opposto l’attimo in cui avvenne che a scendere fu…lo stesso paradiso: proprio incredibile e bellissima, la vittoria di quell’attimo e della poesia. Da notare che dall’abbrivo di un gerundio, recante il senso presente delle Mod-Io, l’attimo della (vittoria della) gioia deve sprofondare nel passato remoto (tempo delle Mod-Es).


(1) Al fine di fornire almeno qualche elemento del percorso complessivo citiamo la raccolta Costume e pattume (Armando, Roma 1990), che sono importanti perché danno conto specificamente della robustezza e della qualità dell’area del Superìo: densi di passione civile, completano una figura di scrittore che non vuole assolutamente chiudersi nel letterario, interessata anzi a “scoprire un punto di passaggio tra ‘civile’ e ‘letterario’; servendomi da nuovo Calibano, di una certa violenza intellettuale, trattenendola nella scrittura. Puntando con forza contro l’azzeramento culturale degli anni ‘80”. È un libro che mostra una capacità di scrittura a 360 gradi e di un uomo che vuole misurarsi con i mille orrori, tumori e pustole di un tempo sospeso tra velocità, affollamento e smemoratezza.
Ma a questo versante storicosociale occorre aggiungere una estensione altrettanto notevole di saggistica letteraria, aggrumata in testi e interventi vari, prefazioni e traduzioni, Antologie curate da solo o in collaborazione con Altri. Da questo insieme di testi emerge con forza la radicata convinzione che “lo stile è un’identità attraverso il linguaggio”, da cui discende la necessità, per la scrittura in generale e per la poesia in particolare, della “elaborazione di strumenti appositi, che implicano la ricerca (per quell’identità e per la poesia) di una “scienza in sé, di sé (Il prossimo villaggio, intervento al Convegno Letteratura e scienza, organizzato da Testuale e Il Segnale nel 1993, Atti 1995).
Anche come segno contro il giulivo effimero di mille simulacri metropolitani che si affannano a smemorarci e distanziarci dalla nostra vita, segue un elenco selezionato di opere.

Poesia: La Nuova Arca, Rizzoli 1965; L’alto Medioevo nel suo più brutale ricorso, ai nostri giorni, “A spese degli Amici” 1970; Morire di pace (autobiografia), Shakespeare & Co., 1977 (Riediz. Campanotto 1992; Tre formule del desiderio, pref. di Giuliano Gramigna, Spirali 1981; L’oscura verdità del nero, Garzanti 1987; Demone se vuoi, Book Ed. 1994; Poesie laghiste (1953-1959), Scheiwiller 1997; Soldatino d’aria, Marsilio 2000.
In inglese: lifeline (Traduz. Vanna Tessier), Snowapple Press, Edmonton (Canada) 1993.
Narrativa: O barare o volare, Garzanti 1977; L'ultimo valzer di Chopin, La Vita Felice 1995 (Traduz. Inglese di Vanna Tessier, The.Last Waltz of Chopin, Snowapple Press, Edmonton, Canada 1999).
Saggistica: Lo Spirito del '45, Giordano 1967; Invito alla Lettura di Quasimodo, Mursia 1972 (6a ediz. 1995); L'utopia letteraria, Marsilio 1973; “La luna e i falò” di Pavese, Mursia I976 (5a Ediz.1997); Poesia in Italia – Montale, Novissimi, PostNovissimi (1959-1978), Mursia 1979; Crepuscolo della Scrittura, Mursia 1991.
Saggistica varia: Costume e pattume, Armando 1990.
Ha curato inoltre l'opera omnia del Nobel S. Quasimodo: Poesie e Dscorsi sulla poesia, Meridiani Mondadori 1971; X ediz. riveduta e ampliata, 1996) e varie opere singole del poeta.
Tra le antologie, da citare i due voll. Novelle italiane -L'Ottocento, Garzanti 1985 e Novelle Italiane -Il Novecento, Garzanti 1991. Numerosi i lavori sulla Scapigliatura e su autori dell’800 e del '900, con due traduzioni.
(*) Cfr A. Vaccaro, Ricerche e forme di Adiacenza, Asefi, Milano 2001