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sabato 20 dicembre 2014

IN MEMORIA DI GINA  
di Angelo Gaccione   
         
Da diversi anni, a ridosso del periodo natalizio, si ripete una bella felice consuetudine. Il poeta Franco Esposito, dalla sua Stresa dove ha sede il quartier generale della rivista “Microprovincia”, una delle riviste letterarie contemporanee più longeve italiane (ha abbondantemente superato i trent’anni di vita e si compiace di essere in parte snob e in parte “irregolare”, oltre che volutamente retrò), invia ai vari amici sparsi in ogni dove, una sua poesia inedita stampata su un unico foglio ripiegato e con la versione anche manoscritta. Si tratta sempre di poesie che hanno come topoi fissi due luoghi memoriali inseparabili dalla biografia del poeta: Sibari (sullo Jonio cosentino) e Stresa (sul versante piemontese del lago Maggiore). Quest’anno ci è arrivata “L’insonnia dei merli”.  
Lo scopo è quello di formulare gli auguri, ma anche di farsi ricordare dagli amici e a sua volta ricordarli. Trovo questa consuetudine un gesto delicato, e immagino faccia piacere, almeno una volta all’anno, essere stati nel pensiero di un vecchio amico.

Gina Lagorio
Da alcuni anni, da quando Gina non c’è più, anche Simonetta e Silvia Lagorio, figlie della scrittrice, hanno dato vita a questa buona pratica. Anche loro, come augurio di Natale, preparano un agile libretto in formato quadrangolare con uno scritto breve di Gina, e lo fanno stampare dalla milanese Àncora arti grafiche, su una bella carta vergatina in 300 copie fuori commercio, che poi inviano a quanti hanno voluto bene a Gina; ne hanno apprezzato il valore di narratrice, il rigore morale e l’impegno civile di donna. Anche quest’anno il libretto è arrivato puntuale: copertina dai bordi blu notte con al centro il ritratto di Gina realizzato da Carlo Gajani, una breve nota esplicativa di Simonetta e Silvia, e, naturalmente, gli auguri. Lo scritto di Gina ha per titolo “Il regalo della musica” ed è tratto da “Inventario”. È una cronaca deliziosa e come sempre lo stile di Gina è magistrale. Verte, come il titolo stesso dichiara, su uno dei grandi amori di Gina, la musica. A questa arte sublime Gina è stata fedele fino alla fine: se ne è nutrita, ne ha scritto, l’ha concretamente e generosamente sostenuta. Le sue frequentazioni alla Scala, al Conservatorio “Giuseppe Verdi”, all’Auditorium di Largo Mahler e negli altri luoghi deputati, si saldano agli aiuti economici di sostenitrice. La sua liberalità e la sua generosità, in questo senso, meriterebbero delle pagine a parte. Ma torniamo al libretto.
In questo scritto Gina ci informa della passione per l’opera lirica da parte di sua madre; lo apprende da un’anziana amica della madre, la centenaria signora Maria, a suo tempo bibliotecaria di Cherasco. Assieme andavano a piedi fino a Bra per farsi inondare di musica; erano poco più che ragazze e quella musica era, per l’appunto, il regalo più bello, un regalo durato tutta la vita.
E un regalo durato tutta la vita è stata la musica per Gina. Sentite con quale maestria descrive la direzione di Carlos Kleiber: “Kleiber non dirige, suscita il suono -la bacchetta dei grandi interpreti è come quella delle fate che trasformano una zucca in carrozza e un ranocchio in principe- carezza l’orchestra, la tira, la frena, la scava, il corpo snello a prolungare la bacchetta, la mano sinistra ora aperta, ora dolcissima, ora dura come una sferza, le gambe scattanti in passo di danza in saltelli di letizia e in balzi seguiti da ricadute come schianti, la bella faccia aperta in un sorriso rapito”.
Leggendo questo librino di Gina, ho provato la gioiosa impressione della sua presenza; come se la sua anima fosse ancora qui con noi, più vitale e battagliera che mai.  


LENTIUS





Lentius

Lentius, profundius, suavius
era il mantra di Alexander Langer,
il più grande tra gli ecologisti
e non soltanto

Con questo quarto “lancio” di “Lentius”
si conclude la riflessione poetica di Giovanni Bianchi,
ve la offriamo come dono di natale  

Chiudete case e sigla.
La passeggiata di villa Geno
e quella di villa Olmo.

Voglio una città
di sole darsene.
Una villa con giardino
a pelo d'acqua.

Svagato sotto il gazebo
a dichiarare al cocktail 
che rivendico il diritto
d'essere infelice.

Non c’è ermo colle
a Sesto Stalingrado,
non silenzi,
solo la brulla montagnetta  
per celebrare i concerti
di Parco Nord.

Qui rapidi tramonti
e infinite transumanze
e profondissime invidie
amazzonie in bianco e nero
deserti tropicali e siberiani
            diritti nani io respiro
e tutta la brutalità dei liquidi
che ha sommerso i ruderi
delle Acciaierie
e l'imbrunire in scatola
ed anche sfuso
la fuga dei conigli 
il terrore dei runners
l'utile menzogna dei laghetti
e le rondini,
le pazze migratrici africane,
in plotoni allineati
da radura a radura
di tetto in tetto
compatte e fedeli
a secolari ripartenze.

Chi non pensa
è comunque iscritto
all'esercito
del Nuovo Re di Prussia.

Oramai i tempi sono vecchissimi
e smaniosa e barbara la fretta
tra i cornetti alla marmellata
(è zitella la fretta) nel buio
della mattina di dicembre.

Eppure tutto sembra essere rimasto
uguale. Erano anni
che non mettevo piede in quel bar:
solo un po' più zoppo
e anche le nuvole destinate
a morire una alla volta.

L'Africa?
Che ho da spartire io
con l’Africa?

Un piede nella sabbia
e un piede nella neve,
ma tutto a caso, anzi,
a casaccio.

Ragazze colorate di irrealtà
e le curve a gomito
del vivere feriale augurandoti
il gol della domenica
e stampe aquilonari.

Finiti i posti.
Chiusa la ditta.

E per favore smetti di aprire
il frigidaire della democrazia:
è vuoto da vent'anni.

Tutto nasce nell'hinterland,
a raffiche o poco a poco,
come una rubrica di lavori sporchi
con audio originale in sottofondo
e traduzione in primo piano audio.

Il pulitore di pannolini
il mungitore di ragni
l'allevatore di dromedari
il registratore di materiche schifezze.

Forse
hai sbagliato anche tu, Totonno,
questa non è l'epoca del rischio,
ma quella del riciclo.

Non bastano pile di coperte
a scacciare il freddo della memoria
e lumini senza senso.

Giovanni Bianchi