IN MEMORIA DI GINA
di Angelo Gaccione
Da diversi
anni, a ridosso del periodo natalizio, si ripete una bella felice consuetudine.
Il poeta Franco Esposito, dalla sua Stresa dove ha sede il quartier generale della
rivista “Microprovincia”, una delle
riviste letterarie contemporanee più longeve italiane (ha abbondantemente
superato i trent’anni di vita e si compiace di essere in parte snob e in parte
“irregolare”, oltre che volutamente retrò), invia ai vari amici sparsi in ogni
dove, una sua poesia inedita stampata su un unico foglio ripiegato e con la
versione anche manoscritta. Si tratta sempre di poesie che hanno come topoi fissi due luoghi memoriali
inseparabili dalla biografia del poeta: Sibari (sullo Jonio cosentino) e Stresa
(sul versante piemontese del lago Maggiore). Quest’anno ci è arrivata “L’insonnia dei merli”.
Lo scopo è quello di formulare gli auguri, ma anche di farsi ricordare dagli amici e a sua volta ricordarli. Trovo questa consuetudine un gesto delicato, e immagino faccia piacere, almeno una volta all’anno, essere stati nel pensiero di un vecchio amico.
Lo scopo è quello di formulare gli auguri, ma anche di farsi ricordare dagli amici e a sua volta ricordarli. Trovo questa consuetudine un gesto delicato, e immagino faccia piacere, almeno una volta all’anno, essere stati nel pensiero di un vecchio amico.
Gina Lagorio |
Da alcuni
anni, da quando Gina non c’è più, anche Simonetta e Silvia Lagorio, figlie
della scrittrice, hanno dato vita a questa buona pratica. Anche loro, come
augurio di Natale, preparano un agile libretto in formato quadrangolare con uno
scritto breve di Gina, e lo fanno stampare dalla milanese Àncora arti grafiche,
su una bella carta vergatina in 300 copie fuori commercio, che poi inviano a
quanti hanno voluto bene a Gina; ne hanno apprezzato il valore di narratrice, il
rigore morale e l’impegno civile di donna. Anche quest’anno il libretto è
arrivato puntuale: copertina dai bordi blu notte con al centro il ritratto di
Gina realizzato da Carlo Gajani, una breve nota esplicativa di Simonetta e
Silvia, e, naturalmente, gli auguri. Lo scritto di Gina ha per titolo “Il regalo della musica” ed è tratto da “Inventario”. È una cronaca deliziosa e
come sempre lo stile di Gina è magistrale. Verte, come il titolo stesso
dichiara, su uno dei grandi amori di Gina, la musica. A questa arte sublime
Gina è stata fedele fino alla fine: se ne è nutrita, ne ha scritto, l’ha
concretamente e generosamente sostenuta. Le sue frequentazioni alla Scala, al
Conservatorio “Giuseppe Verdi”, all’Auditorium di Largo Mahler e negli altri
luoghi deputati, si saldano agli aiuti economici di sostenitrice. La sua
liberalità e la sua generosità, in questo senso, meriterebbero delle pagine a
parte. Ma torniamo al libretto.
In questo scritto Gina ci informa della passione per
l’opera lirica da parte di sua madre; lo apprende da un’anziana amica della
madre, la centenaria signora Maria, a suo tempo bibliotecaria di Cherasco.
Assieme andavano a piedi fino a Bra per farsi inondare di musica; erano poco
più che ragazze e quella musica era, per l’appunto, il regalo più bello, un
regalo durato tutta la vita.
E un regalo durato tutta la vita è stata la musica per
Gina. Sentite con quale maestria descrive la direzione di Carlos Kleiber: “Kleiber non dirige, suscita il suono -la bacchetta dei grandi interpreti è come
quella delle fate che trasformano una zucca in carrozza e un ranocchio in
principe- carezza l’orchestra, la tira, la frena, la scava, il corpo snello a
prolungare la bacchetta, la mano sinistra ora aperta, ora dolcissima, ora dura
come una sferza, le gambe scattanti in passo di danza in saltelli di letizia e
in balzi seguiti da ricadute come schianti, la bella faccia aperta in un
sorriso rapito”.
Leggendo questo librino di Gina, ho provato la gioiosa
impressione della sua presenza; come se la sua anima fosse ancora qui con noi,
più vitale e battagliera che mai.
LENTIUS
LENTIUS
Lentius
Lentius, profundius, suavius
era il mantra di Alexander Langer,
il più grande tra gli ecologisti
e non soltanto
Con questo quarto “lancio” di “Lentius”
si conclude la riflessione poetica di
Giovanni Bianchi,
ve la offriamo come dono di natale
Chiudete case e
sigla.
La passeggiata
di villa Geno
e quella di
villa Olmo.
Voglio una città
di sole darsene.
Una villa con
giardino
a pelo d'acqua.
Svagato sotto il
gazebo
a dichiarare al
cocktail
che rivendico il
diritto
d'essere
infelice.
Non c’è ermo
colle
a Sesto
Stalingrado,
non silenzi,
solo la brulla
montagnetta
per celebrare i
concerti
di Parco Nord.
Qui rapidi
tramonti
e infinite
transumanze
e profondissime
invidie
amazzonie in
bianco e nero
deserti
tropicali e siberiani
diritti nani io respiro
e tutta la
brutalità dei liquidi
che ha sommerso
i ruderi
delle Acciaierie
e l'imbrunire in
scatola
ed anche sfuso
la fuga dei
conigli
il terrore dei
runners
l'utile menzogna
dei laghetti
e le rondini,
le pazze
migratrici africane,
in plotoni
allineati
da radura a
radura
di tetto in
tetto
compatte e
fedeli
a secolari
ripartenze.
Chi non pensa
è comunque
iscritto
all'esercito
del Nuovo Re di
Prussia.
Oramai i tempi
sono vecchissimi
e smaniosa e
barbara la fretta
tra i cornetti
alla marmellata
(è zitella la
fretta) nel buio
della mattina di
dicembre.
Eppure tutto
sembra essere rimasto
uguale. Erano
anni
che non mettevo
piede in quel bar:
solo un po' più
zoppo
e anche le
nuvole destinate
a morire una
alla volta.
L'Africa?
Che ho da
spartire io
con l’Africa?
Un piede nella
sabbia
e un piede nella
neve,
ma tutto a caso,
anzi,
a casaccio.
Ragazze colorate
di irrealtà
e le curve a
gomito
del vivere
feriale augurandoti
il gol della
domenica
e stampe
aquilonari.
Finiti i posti.
Chiusa la ditta.
E per favore
smetti di aprire
il frigidaire
della democrazia:
è vuoto da
vent'anni.
Tutto nasce
nell'hinterland,
a raffiche o
poco a poco,
come una rubrica
di lavori sporchi
con audio
originale in sottofondo
e traduzione in
primo piano audio.
Il pulitore di
pannolini
il mungitore di
ragni
l'allevatore di
dromedari
il registratore
di materiche schifezze.
Forse
hai sbagliato
anche tu, Totonno,
questa non è
l'epoca del rischio,
ma quella del
riciclo.
Non bastano pile
di coperte
a scacciare il
freddo della memoria
e lumini senza
senso.
Giovanni Bianchi