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martedì 23 dicembre 2014

LETTURE

Il presente studio condotto da Federica Giulia Sacchi, giovane studentessa (anche se preferirei nel suo caso usare quello di studiosa), nasce dal laboratorio da me tenuto nel secondo semestre dell’anno accademico 2013-2014 presso la Cattedra di Storia della filosofia del Professor Piero Giordanetti, all’Università degli Studi di Milano. Il laboratorio aveva come tema “Flaubert e il concetto di allucinazione nell’Ottocento, al confine tra arte e scienza”. Ogni studente, al termine del laboratorio, doveva produrre un elaborato su un tema affine all’argomento trattato. Data la profonda e puntuale conoscenza di Federica della lingua inglese, le ho proposto di lavorare sul poema di Shelley Alastor, or the Spirit of Solitude, che lei poteva leggere in lingua originale, comparandolo a un progetto di romanzo da Flaubert mai realizzato, intitolato La Spirale (da me tradotto per il Domenicale del Sole24ore lo scorso anno). La studentessa ha subito accolto con passione e impegno il mio invito, e ne è nato questo studio, che credo sia meritevole di essere conosciuto non solo per l’originalità delle tematiche trattate, che si basano su due scritti meno conosciuti sia di Flaubert che di Shelley, ma anche per la padronanza espositiva e per gli accostamenti inediti che la giovane autrice ha saputo sviluppare. Ho dunque ritenuto che lo spazio di Odissea fosse quello migliore per divulgare il primo (e sono certa non ultimo!) lavoro di questa giovane studiosa, come me appassionata di Flaubert (e non solo...).
Colgo l’occasione per augurare a tutti i lettori di “Odissea” un Natale felice e un Nuovo Anno ricco di emozioni, sorprese e gioia!
Chiara Pasetti


LA SPIRALE COME METAFORA DELLA VITA ONIRICA
E DI ITINERARI SPIRITUALI IN FLAUBERT E SHELLEY 
di Federica Giulia Sacchi


Analisi de “La spirale” di Gustave Flaubert e di “Alastor,
or the Spirit of Solitude” di Percy Bysshe Shelley.

Pour la psychologie moderne, la spirale est une image reliée au «processus d’individuation». La recherche spiralique, le plus souvent sous la forme d’une descente, marque le point dans la vie humaine où l’être n’arrive plus à poursuivre tous le chemin de la jeunesse. Toutes le forces prospectives se trouvent frappées de paralysie ou de mort, e la vie ne peut se continuer que si l’homme entreprend une plongée dans sa propre profondeur. […]
Ainsi une renaissance de l’homme est possible par la mort de un partie de son être antérieur.La spirale est l’expression de ce chemin qui va de la vie à la mort pour entrer à nouveau dans la vie.[i]

Applicare questa descrizione psicanalitica del simbolo della spirale, simbolo così evocativo e ricco di implicazioni, alla letteratura, non potrebbe essere più illuminante: nel mezzo del cammino della sua vita, Dante intraprende un viaggio attraverso il tempo e lo spazio nelle viscere della terra che si snodano con la forma di una spirale discendente, per poi risalire verso il cielo seguendo il percorso di una spirale ascendente. Al termine di questo viaggio il poeta è cambiato, una parte di sé è morta ogni volta che ha perso i sensi, e la sua consapevolezza è cambiata essendo passato dalla vita alla morte, e nuovamente alla vita. Victor Hugo dice che la sua poetica fa riferimento a forme e a croci così come a spirali nelle quali si inscrivono le sue visioni[ii]; per Baudelaire e Mallarmé, la spirale sarà vertigine e caduta dell’essere[iii], nonché figura su cui comporre la struttura per le poesie[iv]. Per Edgar Allan Poe si tratta addirittura di una caduta vertiginosa che «amène le silence e la mort»[v].  Gustave Flaubert, autore del sogno e dell’illusione, ha fatto delle implicazioni di questo simbolo[vi] la base dell’ispirazione del plan di un romanzo (mai terminato): un romanzo metafisico[vii] in cui il piano della realtà e quello del sogno si intersecano in un moto vertiginoso e privo di limiti che porta alla conoscenza superiore. Come scrive Chiara Pasetti:

Il protagonista del plan è un pittore, che nel passato aveva avuto l’abitudine dell’hashish ma all’inizio della storia vuole a poco a poco liberarsi da questa dipendenza per riuscire ad abbandonarsi alle sue visioni senza aiuti artificiali. Dotato di ipersensibilità e di un’immaginazione prodigiosa, arriva lentamente a uno stadio di «sonnambulismo permanente», in cui, perennemente allucinato, può passare dal sensibile allo spirituale, dalla vista alla visione.[viii]

V. Hugo "Le Phare des Casquets" 1866

In questo plan riconosciamo delle tematiche e delle caratteristiche che non solo sono tipiche della letteratura romantica, ma che sembrano risentire dell’influenza di un grande poeta, Percy Bysshe Shelley, e in particolare del suo celebre poemetto Alastor, or The Spirit of Solitude. In quest’opera il protagonista non è Alastor, spirito maligno e geniale, ma un poeta, un giovane che incarna le sembianze dell’eroe romantico, solitario e devoto a Madre Natura:

There was a Poet whose untimely tomb
No human hands with pious reverence reared,
But the charmed eddies of autumnal winds
Built o'er his mouldering bones a pyramid
Of mouldering leaves in the waste wilderness:—
A lovely youth,—no mourning maiden decked
With weeping flowers, or votive cypress wreath,
The lone couch of his everlasting sleep:—
Gentle, and brave, and generous,—no lorn bard
Breathed o'er his dark fate one melodious sigh:
He lived, he died, he sung, in solitude.
Strangers have wept to hear his passionate notes,
And virgins, as unknown he passed, have pined
And wasted for fond love of his wild eyes.
The fire of those soft orbs has ceased to burn,
And Silence, too enamoured of that voice,
Locks its mute music in her rugged cell. […]

Rembrandt "Filosofo in meditazione" 1632

Il poeta «when early youth had past» (e dunque, per tornare a Kellen, nel punto della vita in cui l’uomo decide di intraprendere la ricerca «spiralique») decide di partire per un viaggio per scoprire le verità più arcane che la Natura cela. Il luogo da esplorare per farlo è l’Oriente: la descrizione dei luoghi che il poeta visita – le antiche rovine di Atene, Tiro, Gerusalemme e Babilonia – ha una carica mistica che Shelley si cura di non tralasciare, attraverso un repertorio d’immagini che comprende obelischi di alabastro, templi distrutti, sfingi mutilate e demoni di marmo. Aver visto «the thrilling secrets of the birth of time» è il primo passo del poeta verso la conoscenza. Il pittore protagonista del plan di Flaubert possiede anch’egli «una sensibilità esagerata, una grande facoltà di comprensione, è molto buono, servizievole»[ix], e ha già viaggiato in Oriente; l’autore aggiunge poi che ci sarà un grande ballo in una città «(il paese d’Al) che riassume Babilonia e la Cina. – Molto vecchia, sproporzionata per quartieri differenti»[x] come scrive Anne Green:

Image ambiguë, car au plan des symboles, Babyone évoque le triomphe passager d’un monde matériel et sensible qui n’exalte qu’une partie de l’homme, et, en conséquence, le désintègre, tandis la Chine impliquerait plutôt la reconnaissance d’une vénérable et antique sagesse.[xi]

Alla luce di questa analisi risulta davvero fondamentale sottolineare la problematicità che la semplice annotazione «il paese d’Al» comporta. In Alastor il poeta si trova nella valle del Chashmire quando un sogno cambia il suo modo di vedere le cose: la visione di una vergine velata che parla in modo solenne porta con sé la promessa della rivelazione al mondo sovrannaturale. Èuna vera e propria allucinazione quella che si impossessa del poeta, un’allucinazione che comprende la vista di fiamme insieme alla percezione di musica, brezza e del battito del cuore della “veiled maid”:

[…] He dreamed a veilèd maid
Sate near him, talking in low solemn tones.
Her voice was like the voice of his own soul
Heard in the calm of thought; its music long,
Like woven sounds of streams and breezes, held
His inmost sense suspended in its web
Of many-coloured woof and shifting hues.
Knowledge and truth and virtue were her theme,
And lofty hopes of divine liberty,
Thoughts the most dear to him, and poesy,
Herself a poet. Soon the solemn mood
Of her pure mind kindled through all her frame
A permeating fire: wild numbers then
She raised, with voice stifled in tremulous sobs
Subdued by its own pathos: her fair hands
Were bare alone, sweeping from some strange harp
Strange symphony, and in their branching veins
The eloquent blood told an ineffable tale.
The beating of her heart was heard to fill
The pauses of her music, and her breath
Tumultuously accorded with those fits
Of intermitted song. Sudden she rose,
As if her heart impatiently endured
Its bursting burthen: at the sound he turned,
And saw by the warm light of their own life
Her glowing limbs beneath the sinuous veil
Of woven wind, her outspread arms now bare,
Her dark locks floating in the breath of night,
Her beamy bending eyes, her parted lips
Outstretched, and pale, and quivering eagerly.
His strong heart sunk and sickened with excess
Of love. […]

G. B. Piranesi "Carceri d' Invenzione" 1761

Il giovane eroe percepisce che in quel momento ha acquisito un livello di conoscenza superiore, tesa all’Infinito, all’Assoluto e al sovrannaturale: raggiunta questa consapevolezza non potrà più vedere le cose con gli stessi occhi e vivere come se non fosse successo. Sarebbe dunque ragionevole pensare che, in quanto unione di Cina e Babilonia, “il paese d’Al”, il luogo esotico del mondo immaginario del pittore, si chiami così per creare un rimando al momento in cui l’eroe dei versi di Shelley si è staccato dal mondo sensibile, proiettandosi verso quello soprannaturale, ispirato dal demone Alastor con un’allucinazione, e iniziando così una vita divisa tra la ricerca del sogno e la realtà.
Mentre il giovane poeta non riuscirà più a ricadere volontariamente nello stato di trance che gli ha procurato quella visione, il pittore del plan ha capito come provocarsi le allucinazioni soltanto annusando il barattolo che contiene l’hashish, ma soprattutto capirà che potrà ottenere la felicità nella vita immaginaria del sogno solo attraverso il sacrificio nella vita reale, “più lui sarà sciagurato nei fatti, più sarà felice nel sogno”. Come scrive Anne Green:

A première vue, les ricompenses esquissées par Flaubert restent à un niveau superficiel. S’évadant de ses déceptions quotidiennes, le hèros semble se rèfugier dans un vie fantastique et orientale évoquée par de menus détails stéréotypés.[xii]

Come invece possiamo osservare dall’esplicitazione dello scopo finale del racconto, ossia «provare che la felicità sta nell’immaginazione»[xiii], il ruolo della vita nel sogno, e del sogno stesso, è molto più profondo. Per citare Giorgi, ci troviamo di fronte a un sogno che ha una funzione moralizzatrice:

[…] Flaubert si preoccupa di stabilire un intimo rapporto tra gli eventi della vita reale e quelli della vita immaginaria. Si ricava chiaramente dal Plan che il protagonista non riesce ad aprire la porta dei sogni allorché è tormentato dal rimorso, ma che, in compenso, l’operazione gli riesce assai agevole quando ha la coscienza tranquilla. I sogni hanno dunque una influenza moralizzatrice sulla vita, giacchè il pittore deve agire in un certo modo per poter approdare allo stato onirico, e, d’altra parte la vita ha una diretta influenza sul sogno giacché le visioni allucinate del protagonista […] sono sempre trasfigurazioni degli eventi reali.[xiv]

Dicevamo che il giovane poeta di Alastor, contrariamente al pittore, non trova il modo di procurarsi le allucinazioni, e anzi vive il resto del viaggio nel ricordo vivido della visione della donna velata che gli ha mostrato l’ingresso alle porte dell’ignoto, cercando di ritrovarla senza però riuscirvi. Possiamo dunque affermare che il pittore di Flaubert sia un personaggio che ha imparato dal poeta di Shelley a governare il sogno – seppur tramite il sacrificio. Possiamo aggiungere che anche la vita del poeta si articola in una spirale, ma essa non è tra la vita reale e allucinatoria, bensì tra la vita reale e la ricerca perenne di quella allucinatoria. Il poeta cerca allora di capire la Natura e i suoi misteri, tuttavia il nuovo livello di consapevolezza raggiunto fa sì che l’eroe cominci a pensare che l’unico modo di riavvicinarsi al «Vero»[xv] sfiorato nella visione sia la morte. Proseguendo nel suo vagare incontra una piccola imbarcazione, «little shallop» vicino alla riva. Vi si avvicina, come guidato da un impulso irrefrenabile alla ricerca di quel sogno:

[…] Startled by his own thoughts he looked around.
There was no fair fiend near him, not a sight
Or sound of awe but in his own deep mind.
A little shallop floating near the shore
Caught the impatient wandering of his gaze.
It had been long abandoned, for its sides
Gaped wide with many a rift, and its frail joints
Swayed with the undulations of the tide.
A restless impulse urged him to embark
And meet lone Death on the drear ocean's waste;
For well he knew that mighty Shadow loves
The slimy caverns of the populous deep. […]


L’immagine della spirale si fa ricorrente nella descrizione dell’imbarcazione vittima della tempesta: folate di vento scritte come «whirlwind», gorghi marini descritti come «whirpool» e l’immagine efficacissima delle creste delle onde paragonate a «serpents struggling in a vulture’s grasp». La vicinanza del poeta alla morte fa sì che egli riesca a percepire la verità della Natura, l’infinito e il soprannaturale attraverso l’immaginazione. Sotto lo sguardo della luna esclama:

[…] "Vision and Love!"
The Poet cried aloud, "I have beheld
The path of thy departure. Sleep and death
Shall not divide us long!" […]


Attraverso la morte dunque, si ricongiunge all’assoluto, alla consapevolezza della verità e supera l’empasse della visione, non il sonno (dunque le visioni attraverso il sogno che non riusciva a governare) e nemmeno la morte che ormai è pronto ad abbracciare lo dividono dalla felicità della verità. È interessante notare che questo passaggio definitivo avviene proprio sotto i raggi della luna, l’astro che più di ogni altro, da Dante, ad Ariosto, a Leopardi, suscita un sentimento di colloquio e di confidenza. Non solo la luna è l’astro narrante «che racconta del cosmo e della sua armonia»[xvi], de tempo, dello spazio e delle sue profondità, «l’astro dove, da sempre, scienza e immaginazione si incontrano»[xvii], ma è anche un astro mistico per i popoli e per le religioni: per gli Egizi il Sole e la Luna viaggiano in cielo su due barche, e il quindicesimo giorno di ogni mese l’imbarcazione della luna viene assalita da una scrofa che la ferisce e la uccide, procurandole quindici giorni di agonia e pallore. Poi però la luna rinasce e il ciclo ricomincia[xviii]. La fascinazione di Flaubert nei confronti della luna viene esplicitata non nel plan, ma nella Salammbô: la luna è una Dea, e con la sua luce divina illumina e impreziosce tutto. Salammbô le è devota e le si rivolge così:

Con quale leggerezza ruoti, sostenuta dall’etere impalpabile! Esso si leviga intorno a te, ed è il suo moto a dispensare i venti e le rugiade feconde. A seconda che tu cresca o decresca, si fanno più grandi o più piccoli gli occhi dei gatti e le macchie delle pantere. Le spose urlano il tuo nome nelle doglie del parto! Tu fecondi le conchiglie! Fai ribollire i vini, fai imputridire i cadaveri! Formi le perle in fondo al mare!
E tutti i germi, o Dea! fermentano nelle oscure profondità delle tue umidità.
Quando tu appari, sulla terra si diffonde la quiete; si formano i fiori, si placano i flutti, gli uomini affaticati giacciono con il petto rivolto verso di te, e il mondo, con i suoi oceani e le sue montagne, si riflette nelle tue immagini come un uno specchio. Tu sei bianca, soave, luminosa, immacolata, ausiliatrice, purificatrice, serena.[xix]

L’invocazione della principessa è molto eloquente e precisa nell’elencazione di tutte le caratteristiche dell’astro a cui è devota, e nelle sue parole possiamo trovare, almeno in parte, alcune delle ragioni per cui il giovane poeta lascia la terra guardando la luna[xx].
Nel plan, invece, anche Flaubert pone l’accento come Shelley sulla tematica della morte una volta raggiunta la conoscenza. Per ben due volte annuncia quale sia lo scopo del romanzo, ovvero «provare che la felicità sta nell’immaginazione» e che

La felicità consiste nell’essere Folle (o ciò che così viene chiamato) cioè nel vedere il Vero, l’insieme del tempo, l’assoluto – [xxi]

L’eroe del poemetto di Shelley è di fatto un folle che raggiunge l’assoluto tramite l’immaginazione che gli viene eccitata dalla vicinanza alla morte.
Anche il pittore del plan raggiunge il Vero  dopo «molto tempo per arrivarci – sono state necessarie delle prove e delle culture» e anche il pittore è destinato alla morte. Flaubert scrive:
Cominciare con una lettera finale dell’eroe, che riassuma la sua opinione su tutto e annunci il suo Suicidio. È il suo testamento. (Lì ci vuole un po’ di storia) -poi si presenta un’occasione per fare del bene- e l’azione si avvia.[xxii]
Coloro che raggiungono l’assoluto, che toccano con mano la Verità e la felicità non sono destinati a vivere in armonia con esse: come nell’antica Grecia coloro che vedevano gli Dei morivano subito dopo perché la vista del divino non era sostenibile per i mortali, l’acquisizione di una coscienza superiore non sembra essere sostenibile da parte degli eroi, o meglio, forse lo è soltanto se perpetrata all’interno dei binari di realtà e immaginazione della spirale.






Note al testo
[i] Keller: 243.
[ii] Keller: 197.
[iii] Keller: 198.
[iv] Vediamo in particolare l’analisi che Giorgetto fa del pantoun di Baudelaire Harmonie du soir: «Nel poema si attua infatti lo sviluppo di due temi paralleli attraverso l’incrociarsi del movimento rotatorio ascensionale di due versi ripetuti (il secondo e il quarto di ogni strofa diventano rispettivamente il primo e il terzo della seguente). La struttura a spirale della pièce si identifica così perfettamente con i movimenti elicoidali che il suo contenuto ci suggerisce».
[v] Keller: 208.
[vi] Le spirali tornano in Salammbô a p. 146 come uno stormo di corvi che “a volte di colpo si rompeva, disegnando in lontananza grandi spirali nere” e a p. 10 come spirali bianche di fumo.
[vii] Pasetti: 51.
[viii] Pasetti: 51.
[ix] Flaubert, trad. Pasetti: 51.
[x] Flaubert, trad. Pasetti: 51.
[xi] Green: 123.
[xii] Green: 126.
[xiii] Flaubert, trad. Pasetti: 51.
[xiv] Giorgi: 38-39.
[xv] Flaubert, trad. Pasetti: 51
[xvi] Greco: Prologo.
[xvii] Greco: Prologo.
[xviii] Greco: 36.
[xix] Flaubert: 40.
[xx] Una ricerca più approfondita su questo tema risulterà più appropriato in un’altra sede.
[xxi] Flaubert, trad. Pasetti: 51.
[xxii] Flaubert, trad. Pasetti: 51.


Riferimenti Bibliografici

Bonaccorso, G. (1981), L’oriente nella narrativa di Gustave Flaubert – Parte Prima, Vol. II, L’influenza dell’oriente ne “L’education”, in “Trois contes” e “Bouvard e Pécuchet”, Messina: Edizioni Dott. Antonino Sfameni.

Flaubert, G. (2002), Salambò, Trad. E. K. Imberciadori, Milano: Garzanti;
(2013), La Spirale, Trad. C. Pasetti, Il Sole 24 Ore, n. 302, 3 novembre 2013, p. 51.

Giorgi, G. (1969), Stendhal, Flaubert, Proust (proposte e orientamenti), Varese: Istituto Editoriale Cisalpino.

Greco, P. (2009), L’astro narrante – La Luna nella scienza e nella letteratura italiana, Milano: Springer.

Green, A. (1991), “Les spirales de Flaubert” in Création littéraire et tradition ésotériques, Actes du Colloquie International de Pau, pp. 119-129.

Keller, L. (1966), Piranése e les romantiques français – le mythe des escaliers an spirale, Paris: Librairie José Corti.

Pasetti, C. (2013), “Una vertigine metafisica”, Il Sole 24 Ore, n. 302, 3 novembre 2013, p. 51.

Pietromarchi, L. (1990), L’illusione orientale – Gustave Flaubert e l’esotismo romantico, Milano: Studio Guerini.

Shelley, P. B. (1816),Alastor, or the Spirite of Solitude, disponibile in http://www.poetryfoundation.org/poem/174380


Federica Giulia Sacchi
Nata a Milano nel 1990
Grazie alla grande passione per la letteratura decido di frequentare il liceo classico A. Manzoni di Milano e in seguito decido di dedicare i miei studi alle humanae litterae iscrivendomi alla facoltà di lettere moderne all'Università Statale. Mi interessano letteratura italiana contemporanea, letteratura francese dell’Ottocento, dal cinema, teatro e arte dell’Ottocento. Ho viaggiato negli Stati Uniti, in Inghilterra e Francia, sia per fare esperienze formative, sia per studio. Mi sono laureata con una tesi in storia del cinema e sto scrivendo la mia tesi magistrale sull’odepòrica del ‘700.

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Nota alla tavola del Piranesi detta "Il ponte levatoio
Le Carceri sono l’espressione più compiuta della vena visionaria di Piranesi, e non a caso influenzeranno gli scrittori romantici e simbolisti. L’ottimo studio di Luzius Keller (di cui si auspica una traduzione italiana) Piranèse et les romantiques français. Le mythe des escaliers en spirale (edizioni Corti, 1966) mostra come con Piranesi al tema delle scale si aggiunga quello della spirale, che si imprimerà fortemente nell’immaginario degli scrittori del XIX secolo, inaugurando un filone che da Balzac a Mallarmé, passando attraverso Musset, Nodier, Gautier, Hugo e Baudelaire, farà della spirale il simbolo della profondità dell’animo umano, e l’espressione di una vertigine ontologica, di una discesa e di una caduta assoluta dell’essere. In questo ampio quadro tracciato da Keller, tuttavia, Flaubert con il suo plan de La Spirale non viene inserito (semplice oblio, o scelta precisa, poiché le spirali di Flaubert, essendo orientate sia verso il basso -la caduta nell’abisso-, sia verso l’alto -la ri-salita-, acquistano un significato diverso rispetto a quello attribuito loro dagli altri autori dell’epoca?) Chiara Pasetti