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venerdì 13 febbraio 2015

LIBERTÀ E FOTOGRAFIA
di Angelo Gaccione


                                Piazza Tien An Men: “A mani nude per la libertà”
                                Un manifestante solitario sfida i carri armati cinesi.

Numerosi sono i simboli della lotta per la libertà immortalati nel corso della storia, da quando per la prima volta è apparsa la fotografia. Negli anni a noi più vicini, la foto del ragazzo cinese che reggendo fra le mani due sacchetti di plastica (presumibilmente con la spesa da poco acquistata in uno dei negozi lì attorno), si para davanti ad una fila di minacciosi carri armati, sulla piazza Tien An Men il 5 giugno a mezzogiorno del 1989, inveendo risolutamente contro i soldati, ha dello straordinario. Ricordiamoci che il giorno prima quei tank, agli ordini del regime comunista, si erano resi già protagonisti della carneficina di studenti e operai su quella stessa piazza. Di quell’intrepido disarmato piccolo eroe, il mondo non sa nulla; con molta probabilità il regime comunista lo ha seppellito in qualche lager per farlo successivamente sparire, assassinandolo. Nel corso degli anni si è cercato di dare un volto e un’identità a questo giovane ribelle, ma senza successo. Impostori e speculatori hanno cercato di intorbidare le acque: chi spacciandosi per lui, chi inventandogli un nome poi risultato falso. Dunque il mondo non possiede di lui che l’incredibile fotografia che il fotografo Jeff Widener della Associated Press gli ha scattato dalla finestra di un albergo di Pechino che si affacciava sulla piazza, e che lo coglie di spalle. Non sappiamo nulla di lui, e tuttavia c’è in quella foto tutta la forza della libertà che promana da un piccolo uomo disarmato, ritto ai piedi di un gigante di acciaio munito di cannone, e si erge, sovrasta e spaventa quel mostruoso simbolo di oppressione, che infatti non spara. Tenta di schivarlo con goffe e pachidermiche virate a destra e a sinistra, finché è costretto a fermarsi. L’uomo della calotta non spara; vorrei tanto illudermi che se ha desistito, se ha contravvenuto ad un ordine criminale ed ingiusto dei superiori, lo ha fatto non solo perché era un ordine ingiusto, un crimine contro un ragazzo disarmato, ma perché è prevalso il lui la sua essenza umana. E perché, come nella poesia del poeta e drammaturgo tedesco Berltolt Brecht, l’uomo ha un difetto: può pensare



LA MUSICA CONTRO I TIRANNI


“Pianoforte per il Berkut”. Un manifestante di Euromaidan suona per gli uomini delle forze speciali (le squadre Berkut). La foto è stata scattata 7 dicembre 2013 da Oleg Mazech.

Invitato dalla mia amica ucraina, Marta Dyachyshyn, sono stato recentemente al Consolato Generale dell’Ucraina di Milano a vedere una dolorosa e tragica mostra sui martiri di piazza Maidan del dicembre 2013, ora ribattezzata “Euromaidan” per ricordare al mondo che i manifestanti avevano solo una colpa: chiedere di essere ritenuti parte integrante della nazione europea, perché tali si sentono per cultura, sentimenti e fede. Come siano andate le cose lo abbiamo visto, e la situazione è precipitata, purtroppo, rapidamente verso la guerra. Fra le foto di quella mostra ce n’è una che, come il giovane oppositore di piazza Tien An Men assurge, a mio avviso, a simbolo altrettanto perentorio di nonviolenza e di libertà. Come la foto che ritrae il giovane cinese, anche questa ha dell’incredibile e del miracoloso. In una piazza spettrale di un inverno gelido e livido, un musicista solitario, un pianista, sfida con le sue note, con la dolcezza della sua musica, un ventaglio di poliziotti (le famigerate squadre speciali Berkut) schierati minacciosi davanti a lui. Anche questo splendido simbolo di libertà è colto di spalle dal fotografo Oleg Mazech, e anche di lui non conosciamo il nome. Marta non è riuscita a scoprirne l’identità, ma a noi basta il suo gesto, la sua presenza nella piazza, il suo pianoforte e le note che volano in alto, verso il cielo.